Si è svolto lo scorso 29 ottobre a Bologna (nell’Aula Magna della Regione Emilia-Romagna) il convegno sul tema “L’agrobiodiversità in Emilia Romagna”, promosso da Crpv (Centro ricerca produzioni vegetali), Crpa (Centro ricerca produzioni animali) e dalla stessa Regione, quale atto conclusivo dei progetti di valorizzazione delle varietà vegetali e animali autoctone, previsti e finanziati all’interno del Programma di Sviluppo Rurale 207/2013.
 
Daniele Missere, Crpv

Dopo l’introduzione di Daniele Missere (Crpv) è intervenuto Giancarlo Cargioli (Regione Emilia-Romagna) che ha puntualizzato l’attività regionale in materia di agrobiodiversità prevista dalla legge 1/2008, che ha istituito il Repertorio regionale delle risorse genetiche agrarie (con circa 150 accessioni registrate tra razze animali e varietà vegetali), e promosso interventi per la conservazione ex situ delle risorse genetiche, per la conservazione in situ presso gli agricoltori custodi e diverse attività e progetti per la conservazione della memoria storica al fine valorizzare saperi, tecniche e consuetudini legate all'agrobiodiversità. L’ammontare complessivo dei finanziamenti, di cui hanno beneficiato imprese agricole, enti e amministrazioni provinciali ammonta a circa 2.800.000,00 euro, di cui 483.000,00 specifici per la caratterizzazione morfologica e genetica di varietà vegetali (frutticole e vite) e di razze animali autoctone, oltre per la divulgazione di tali attività di ricerca, oggetto del convegno.
A livello divulgativo – ha concluso Cargioli– abbiamo appena realizzato e pubblicato un sito web (all’indirizzo agricoltura.regione.emilia-romagna.it/agrobiodiversita) nel quale sono riportati contenuti tecnici (schede, immagini, descrizioni delle accessioni iscritte al Registro), culturali (cultura rurale e musei tematici) e informazioni dedicate ai territori e agli organismi che si dedicano alla valorizzazione dell’agrobiodiversità, al fine di realizzare una piazza virtuale, finalizzata alla costruzione di una rete regionale partecipata su questo importante patrimonio”.
 
Giancarlo Cargioli, Regione Emilia-Romagna

L’attività in campo viticoloha spiegato Marisa Fontana, ricercatrice Crpv – ha interessato la ricognizione e la caratterizzazione morfologica, le relative analisi molecolari e il supporto al mantenimento in collezione delle varietà autoctone: azioni svolte in collaborazione con gli Organismi custodi ex-situ. In Emilia Romagna sono 36 le varietà iscritte al Repertorio, ma stanno diventando 38; l’attività di ricerca ha interessato ben 229 accessioni, di cui 79 risultate iscritte al Registro Nazionale, 33 risultate identiche ad altre già iscritte sia in italia che all’estero, e 91 non ancora identificate”.

L’analisi di Fontana poi ha riguardato le sinonimie accertate nella fase di ricerca che hanno portato alla luce interessanti risultati. E’ il caso di varietà quali Melara, presente in Val d’Arda di cui sono presenti documentazioni recenti e Lecco, più antica, le cui caratteristiche genetiche collimano: si tratta di un vitigno dolce come il miele (da qui il nome Melara) e molto gustoso (in antichità Lecco era sinonimo di ghiottoneria). Altre interessanti sinonimie, frutti di ricercas cientifica/storica riguardano Besgano, Burghisaga e Grillone o anche Albanella Tellarini, Colombina e Marzemina Bianca: storie che si intrecciano con la cultura rurale, creando suggestivi puzzle fra vari territori regionali ed extraregionali. Interessanti anche gli studi su Barbesino e le sue affinità con Spergola e qualche tratto comune anche con Pellegrina (ma non una sinonimia, in quanto i tratti genetici presentano alcune differenze): di Barbesino, come anche di Russiola sono stati effettuati anche processi di microvinificazione (realizzati da Astra), mettendo in luce caratteristiche significative, fra cui (per Russiola) l’interessante possibilità di vinificazione in modalità lambrusco con risultati speziati e fruttati di assoluto valore.
Indefinitiva – ha concluso Fontana c’è ancora un mondo da scoprire, un mondo affascinante, perché più si conosce, più emergono dubbi e il desiderio di approfondire ancora. Una cosa è certa però: questa attività di ricerca offre spunti molto interessanti per qualificare l’offerta enologica regionale”.
 
 Marisa Fontana, ricercatrice Crpv

L’ambito frutticolo è stato trattato da Claudio Buscaroli (anch’egli ricercatore Crpv), che ha esordito affermando che le varietà autoctone regionali sono antichissime: alcune affondano le proprie origini prima del 1000 (la pera Spadone Invernale) o in epoca rinascimentale (Pesca Noce e le mele Musabò e Fiore di Cassia) e in taluni casi rivestono un ruolo importante per la resistenza a patologie e cambiamenti climatici, tanto da farne varietà ideali per la frutticoltura biologica o a basso impatto ambientale (è il caso della mela Durello che presenta una forte resistenza alla ticchiolatura).
Ad oggi – ha affermato Buscaroli – sono circa 50 le varietà iscritte al Repertorio regionale, ma tante altre sono in fase di studio e valutazione: un problema ricorrente è l’esiguità di campioni, per cui è fondamentale provvedere alla moltiplicazione per non rischiare l’estinzione. L’iter per giungere all’iscrizione prevede un’indagine bibiografica, la caratterizzazione morfologica e l’analisi del Dna, che seppur non obbligatoria, in molti casi è stata necessaria”.

Attualmente i soggetti conservatori per le varietà frutticole sono 8, con altre collezioni presenti all’interno del Museo della Civiltà contadina dell’Università di Bologna e al Cra (Forlì): successivamente Buscaroli ha preso in esame alcune varietà divise per ente conservatore, mettendone in rilievo la storia secolare e le integrazioni con i territori: è il caso per esempio della mela Verdone (Ente Parco Boschi di Carrega – Parma), varietà di qualità eccelsa, coltivata in grande quantità fino alla fine dell ‘800 o della mela Azzarola (az. Agricola Daniele Ghetti, Faenza), profumatissima e richiesta per nicchie di mercato, oltre che valutata con punteggi qualitativi elevati. Un ruolo, infine, strategico, è quello svolto da cosiddetti “agricoltori custodi”, che provvedono alla conservazione in situ di varietà a rischio di estinzione: in certi casi grazie a loro è stato possibile salvare cultivar conservate in un unico esemplare, favorendone la moltiplicazione. “L’analisi molecolare – ha concluso Buscaroli – è stata effettuata su 200 esemplari, riscontrando una variabilità genetica superiore alle aspettative e che un numero consistente di accessioni sono genotipi autoctoni, potenzialmente iscrivibili al Repertorio regionale. Molto c’è da fare in termini di valorizzazione: qualche azienda agricola si sta muovendo con esperienze di vendita diretta con descrizione delle varietà antiche, si moltiplicano, poi, le sagre paesane e in alcune località (ad esempio Casola Valsenio) vengono creati percorsi naturalistici alla scoperta di alberi secolari (è il caso del Farinaccio, che presenta una pera estiva di buon livello qualitativo)”.
 
Alessio Zanon, Crpa
 
L’ultima parte del convegno ha riguardato la valorizzazione delle razze animali autoctone: a questo proposito Alessio Zanon (Crpa) ha illustrato l’attività che il proprio ente svolge per la riproduzione di capi, spesso ridotti allo stato di “reliquia”. Il progetto riguarda razze autoctone bovine (Garfagnina, Pontremolese, Ottonese) e una ovina (Modenese o Pavullese). “La maggior difficoltàha affermato Zanon – riguarda la fase di riproduzione, in quanto gli animali che nascono risultano deboli con caratteristiche morfologiche non ideali alla moltiplicazione, per cui si stanno utilizzando due percorsi: il primo riguarda la cosiddetta riproduzione in purezza, mentre il secondo contempla una moltiplicazione di derivati, ossia l’incrocio di capi autoctoni con altri, giungendo alla creazione di animali meticci, che a loro volta possono essere messi in accoppiamento con la razza madre. L’attività Crpa, poi, abbraccia anche il supporto agli allevatori nel perseguire questo progetto di salvaguardia, in contesti come quello dell’appennino piacentino in particolare, dove ci sono le condizioni per una valorizzazione che contempli non solo l’implementazione dei capi, ma anche la produzione di seme di tori con linee genetiche non imparentate con quelli presenti sul territorio. E’ un processo lungo e lento, di cui ora cominciamo a vedere i primi risultati”.
 
In conclusione l’augurio, sia per il comparto vegetale come per quello animale, è che il nuovo Psr 2014/2020 preveda risorse per continuare questo prezioso progetto di valorizzazione di varietà e razze che affondano le radici nel territorio regionale: non c’è nulla di definitivo, ma – sono parole di Giancarlo Cargioli – sull’agrobiodiversità si deve andare avanti e gli spazi per poterlo fare verranno certamente identificati.