Il settore agroalimentare, e in particolare il biologico, può essere davvero una leva potente per uscire dalla crisi economica. L’Italia è al primo posto in Europa per numero di aziende e superfici dedicate al bio, con un fatturato che ci colloca in sesta posizione nella classifica mondiale. Ecco perché ora è necessario che le istituzioni agiscano in modo da eliminare gli ostacoli alla produzione biologica ancora presenti nell’Ue e nel contempo siano capaci di mantenere e migliorare la fiducia dei consumatori sul comparto”.

Lo ha detto il presidente di Anabio Federico Marchini, ringraziando l’Assemblea elettiva che ieri a Roma, presso l’Auditorium “Giuseppe Avolio”, lo ha confermato alla guida dell’associazione per l’agricoltura biologica della Cia - Confederazione italiana agricoltori. Al suo fianco, assume l’incarico di direttore di Anabio Antonio Sposicchi.

L’agricoltura negli ultimi anni è entrata con forza nella traiettoria dell’innovazione, che ha prodotto profondi mutamenti nel comparto: dal prodotto indifferenziato ai prodotti tipici del territorio; da grande utilizzatore di input chimici ed energetici a produttore di chimica verde ed energie rinnovabili, dal passaggio di aree marginali ad aree rurali contraddistinte da elevati stili di vita e di benessere - ha osservato Marchini - E proprio il segmento del biologico è stato uno dei protagonisti di questa grande innovazione, avendo assunto un’importanza sempre più rilevante caratterizzata da una sostenuta crescita dei consumi”.

Secondo l’analisi di Anabio-Cia, dal 2007 in poi l’offerta di prodotti biologici si è progressivamente avvicinata alla domanda, facendosi più accessibile nella distribuzione, nei prezzi, nella gamma di offerta. Negli ultimi due anni i listini al dettaglio dei prodotti bio sono rimasti stabili (+0,3 per cento) e questo ha contribuito a far crescere la domanda. Un universo di consumatori assai più ampio si è affacciato sul mercato del biologico, che ha guadagnato quote di mercato ed è cresciuto per fatturato e numero di operatori. Oggi il giro d’affari complessivo del bio in Italia ammonta a 3,1 miliardi di euro; nell’ultimo anno gli acquisti sono cresciuti dell’8 per cento (+25 per cento nei discount) e gli operatori della filiera bio sono saliti a quota 49.709. Anche la superficie dedicata è aumentata, per un totale di 1,1 milioni di ettari lavorati, e attualmente la produzione con metodo biologico nel Belpaese copre il 9 per cento della superficie agricola utilizzata.

Da movimento circoscritto, per lo più locale e poco organizzato - ha riassunto Marchini - il biologico è diventato un fenomeno esteso e tendenzialmente di massa”. Di conseguenza, “il settore sta evolvendo e si sta riorganizzando al suo interno, imponendo un nuovo modello, più strutturato sia da un punto di vista dimensionale che economico”.

Già oggi, infatti, le imprese biologiche italiane hanno una Sau maggiore (la media aziendale del biologico è di 26 ettari contro i 7,9 delle aziende tradizionali) e quasi il 20 per cento delle imprese bio può vantare un giro economico superiore ai 100 mila euro, contro il 5,5 per cento del totale delle aziende. In più, il biologico ha caratteristiche fortemente innovative, soprattutto se messe a confronto con la situazione generale dell’agricoltura: un’alta percentuale di donne imprenditrici (25 per cento), di giovani (il 50 per cento ha meno di 50 anni), di imprenditori agricoli aventi un livello di istruzione elevato (il 50 per cento dei produttori biologici ha il diploma, il 17 per cento la laurea).

Per questi motivi ora serve che le istituzioni, in primis quelle europee, si impegnino per aggiornare e adeguare le norme, consentendo al comparto di svilupparsi ulteriormente e far fronte alle sfide future - ha evidenziato il presidente della Cia, Dino Scanavino, chiudendo i lavori dell’assemblea - In questo senso, le proposte di Bruxelles per rivedere la legislazione comunitaria sul bio rappresentano un grande passo avanti. Al settore serve una nuova regolamentazione, che punti a semplificare la burocrazia e i meccanismi di certificazione, aprendo il mercato anche ai piccoli produttori; a rafforzare i controlli; a creare una concorrenza più leale all’interno e all’esterno dell’Europa. Solo così si possono garantire sul serio gli agricoltori e i consumatori”.