Una produzione superiore alla media ha fatto scendere il prezzo medio alla produzione fino allo 0,25 euro al chilo, mettendo in ginocchio i produttori, soprattutto quelli nell'area Adriatica, convincendoli a diminuire o a convertire le superfici dedicate alle pesche.
Ma il problema non ha coinvolto solo i produttori italiani, cali importanti si sono registrati anche in Spagna e in Grecia. Per questo motivo la tematica è stata affrontata mettendo a confronto rappresentanti europei sulle prospettive relative alla nuova stagione 2018, cercando di capire se, a livello europeo, sia possibile lavorare per una programmazione di più ampio respiro che garantisca maggiore soddisfazione al produttore, faccia aumentare i consumi interni e vada alla ricerca di mercati stranieri.
"Il 2017 è stato un anno terribile per gli agricoltori di pesche italiani - ha confermato Elisa Macchi di Cso Italy - con produzioni superiori alla media (+9% di pesche, +26% di percocche e +5% di nettarine). La crescita si deve in gran parte all'incremento della produzione nel sud Italia. Per quanto riguarda le previsioni relative al 2018 quelle definitive saranno rese note il prossimo 24 maggio in Spagna".
Uno dei problemi italiani riguarda anche il fatto che il picco di produzione (giugno e luglio) da qualche anno coincide con quello spagnolo, prima concentrati soprattutto sulle precoci. Negli ultimi tre anni l'Italia ha perso il 12% di export nelle pesche e il prezzo è calato del 5%.
Anche la Spagna non sta meglio a costo medio di produzione (che ha toccato 0,14 euro al chilo) ma dalla sua parte ha performance di export molto alte e in continua crescita. Primo paese la Germania, secondo la Francia.
A parlare di squilibrio strutturale è stato Javier Basols (Cooperativas agro alimentarias Espana) che ha dato come dato positivo la previsione di un calo del 10% della produzione totale di pesche spagnole.
"Ci preoccupa anche il calo dei consumi di pesche in Spagna - spiega Basols - da 7/8 chili all'anno procapite di qualche anno fa siamo passati a 4 chili. E su 50 milioni di abitanti sono milioni di chili di produzione persa. Va tentato di recuperare anche il mercato interno".
Restando sul prezzo medio alla produzione anche la Grecia nel 2017 non se l'è passata meglio.
"Grande delusione per i produttori nel 2017 - ha spiegato Christos Giannakakis delle Cooperative agricole di Imathia - che sono arrivati a prendere 0,15 centesimi al chilo con gravi perdite. Per il 2018 anche noi prevediamo cali di produzione dovuti soprattutto alle condizioni meteorologiche avverse che hanno danneggiato almeno 13 mila ettari".
I francesi, invece, dal 2009 si sono sottratti alla competizione interna all'Europa e si sono rivolti principalmente al mercato interno, curando la comunicazione e la qualità del prodotto.
"Sono gli stessi consumatori che chiedono il prodotto francese; frutto di anni di campagne di comunicazioni ben riuscite" ha spiegato Bruno Darnaud della Féderation fruits et légumese d'Occitanie peches et abricots de France.
Ma come uscire dall'empasse in cui da qualche anno versa il settore peschicolo in Italia? ha chiesto il moderatore Duccio Caccioni a Ilenio Bastoni di Apofruit durante la tavola rotonda, nella seconda parte dell’incontro.
"Negli ultimi 10 anni abbiamo assistito a una produzione stabile di pesche, ma a una contrazione del mercato - ha spiegato Bastoni - con maggiore competizione tra diverse specie di frutta nel periodo estivo: dall'uva precoce alle albicocche. La previsione per i prossimi 4/5 anni è molto simile a quella registrata in questi anni, nessun cambiamento sostanziale. Una possibilità di uscire dalla crisi è guardare a quello che è accaduto alla fragola. Ha avuto un momento di grande crisi, poi i produttori hanno iniziato a lavorare sulla varietà migliorando la qualità e la fragola è tornata sulle tavole degli italiani. Se pensiamo alla varietà delle pesche, in questi anni ci si è concentrati molto per migliorare la conservazione ma non la qualità. Penso che concentrarsi sulla bontà del frutto sia un passo fondamentale".
"Dobbiamo anche lavorare sul calibro e non permettere la commercializzazione di pesche calibro D - gli ha fatto eco Gabriele Ferri, dell'organizzazione Interprofessionale ortofrutta Italia - Ma non solo. Il consumatore va messo al centro dell'informazione per non creare aspettative poi disattese".
"Un'idea per rilanciare il settore è seguire l'esempio del vino - ha invece detto Giancarlo Minguzzi di Fruitimprese Emilia Romagna - 25 anni fa era in una profonda crisi nell'export tra metanolo e bassa qualità, poi si è rimesso in piedi lavorando proprio sul prodotto, sull'eccellenza. La pesca deve fare la stessa cosa".
A lavorare sulla qualità ci sta provando Aop Luce, Consorzio campano che porta nei negozi frutta fresca che non sia passata dal frigo.
"Qualche risultato in più l'abbiamo ottenuto - spiega Giacomo Galdiero - è un progetto su cui stiamo lavorando e vediamo che il consumatore apprezza molto".
Ultimo intervento quello di Davide Vernocchi di Aci Settore Ortofrutticolo che ha parlato di quanto sarebbe fondamentale avere un catasto dei terreni per capire come cambia la peschicoltura in modo veloce e dinamico.
"Solo avendo sotto gli occhi la situazione a livello italiano in tempi reali è possibile fare una programmazione strutturata e previsioni utili a evitare annate disastrose come quella appena passata".
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Fonte: Macfrut