L'onere fino al 2016 gravava solo sulle grandi aziende, tra le 2mila o 3mila unità in tutto il paese, a seconda delle stime, e comunque con titoli Pac superiori a 150mila euro l'anno.
Ora, con il nuovo limite la pletora si estende a 100mila - 300mila imprese, anche in questo caso le stime variano a seconda delle fonti.
E la nuova norma ha valore retroattivo, poiché la certificazione dovrà essere presentata entro il 30 novembre prossimo per la campagna 2017. Questo perché, inizialmente, il Codice antimafia, modificato nel luglio dello scorso anno, aveva esteso a tutte le aziende agricole questa incombenza, senza eccezione alcuna.
La soglia che obbliga alla produzione del certificato antimafia solo le imprese che percepiscano più di 5mila euro è stata introdotta solo da un emendamento approvato dalla Commissione Bilancio del Senato della Repubblica, al disegno di legge di conversione del decreto legge 148/2017, contenente "Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili", il cosiddetto decreto fiscale.
Ma la nuova norma non accontenta tutte le organizzazioni agricole - in particolare la Cia - e al Sud, dove le piccole e medie imprese sono tante e spesso coincidono con il perimetro di piccole aziende, il problema è più sentito.
Da martedì prossimo il decreto passa all'esame della Camera dei Deputati dove potrebbe rendersi necessario un secondo intervento correttivo sul Codice antimafia.
"Eliminata la certificazione antimafia per 800mila micro imprese agricole per contributi sotto i 5mila euro", annuncia il 15 novembre scorso Silvio Lai, il senatore sardo che ha presentato l'emendamento. "Il Codice antimafia, modificato nel luglio scorso aveva esteso a chiunque avesse ricevuto contributi attraverso la Pac, anche solo di cento euro, a presentare entro il 30 novembre l'apposita certificazione - ricorda il parlamentare, che aggiunge - dopo la segnalazione delle associazioni agricole, abbiamo potuto verificare che il ministero degli Interni e dell'Agricoltura avrebbero dovuto predisporre, a fronte delle 2mila del 2016, ben 900mila dichiarazioni entro novembre e altre 900mila in primavera, numeri che, oltre al ritardo dei pagamenti per gli agricoltori, avrebbero paralizzato le prefetture di tutta Italia".
Ma la Cia non ci sta, e pur apprezzando l'emendamento sottolinea: "Considerando che fino a oggi l'obbligo della certificazione antimafia era applicato solo per aiuti superiori a 150mila euro e che il numero esiguo, stimato intorno alle 3mila antimafia richieste all'anno, rappresentava un ostacolo burocratico complicatissimo, chiediamo ai legislatori di immaginare la produzione di alcune centinaia di migliaia di antimafia quali impatti burocratici determinerebbe" scrive l'organizzazione in una nota.
Sempre secondo la Cia: "La legge è sperequativa perché orientata solo al settore agricolo, come se questo fosse particolarmente a rischio mafia, una legge che entra in vigore con pagamenti della campagna 2017 in atto e che quindi creerà un inaccettabile differente trattamento tra agricoltori che hanno percepito l'aiuto senza l'antimafia, ed altri che dovranno attendere mesi per produrre tale documentazione".