Una critica dura, ma non senza appello, perché questi mesi potrebbero essere determinanti per imprimere una svolta, se non nell'immediatezza di una complicata Health Check, una verifica sullo stato di salute, nell'ottica della fase post 2020, relativamente alla quale si aprono incognite di budget e di impostazione.
"Bisognerebbe ripensare una Pac che tenga conto del fatto che, in una situazione come quella attuale, con prezzi così bassi e una domanda che non tira né sul fronte interno né esterno, è necessario investire nella ricerca, per sostenere la produttività in agricoltura - afferma Casati -. Il segreto dell'agricoltura degli ultimi 60 anni è stato proprio l'incremento di produttività, che ha permesso di superare la fame in Europa dopo la Seconda guerra mondiale".
AgroNotizie ha intervistato il professor Casati, non soltanto su questioni legate alla Pac.
Professore, si ricomincia a parlare di messa a punto della Pac. Francia e Germania non si smentiscono e confermano un asse di dialogo privilegiato.
"Come sempre, sebbene siano agricolture molto diverse. In questa occasione la posizione dei due paesi è accomunata dal fatto che si sta avvicinando per entrambi il periodo elettorale".
In una recente intervista al quotidiano Les Echos, Xavier Beulin, presidente della Fnsea, il sindacato agricolo francese, ha lanciato l'allarme sulla crisi che il settore sta attraversando, con una flessione dei redditi molto preoccupante.
"Ho letto quell'intervista, rilasciata in occasione della presentazione del libro di Beulin La nostra agricoltura è in pericolo, e la trovo condivisibile in toto, non solo quando lamenta appunto la diminuzione di redditività e di competitività delle imprese agricole, ma anche quando parla della Brexit, della progressiva perdita di considerazione del mondo agricolo agli occhi della politica, del gigantismo della burocrazia e del numero esorbitante di norme che soffocano l'impresa e gravano sui costi. Ci sono anche elementi sui quali mi interrogo".
Quali, in particolare?
"La Fnsea chiede un ritorno per certi aspetti alla vecchia Pac. C'è da chiedersi, però, se sia questa la strada, anche alla luce delle nuove dinamiche internazionali.
Condivido il pensiero di Beulin quando dichiara che l'agricoltura francese non ha smesso di indebolirsi negli ultimi quindici anni, aspetto comune anche all'Italia e ad altri paesi in Europa, ma quando dichiara che il rischio è di vedere chiudere definitivamente nel 2017 una considerevole percentuale di imprese agricole e che i numeri riguarderebbero almeno 20mila delle 400mila aziende esistenti in Francia, bisognerà vedere quali sono. Non si tratterà di certo delle aziende più competitive, ma al contrario di quelle che non hanno saputo innovarsi e stare al passo con le sfide che di volta in volta il mercato mette loro davanti".
Gli agricoltori tedeschi hanno chiesto che non vengano più dirottati i contributi dal Primo al Secondo pilastro, come è avvenuto nella programmazione attuale per molti paesi, fra i quali anche la Germania. Cosa pensa?
"Penso che vogliano appigliarsi alla vecchia formula della Pac, impostata su logiche protezionistiche. In linea teorica potrebbe anche essere comprensibile la difesa, da parte degli agricoltori, degli aiuti diretti, ma siamo ancora sicuri che sia una scelta efficace?
Bisogna valutare attentamente e saper leggere che cosa potrebbe avvenire nei sette anni successivi al 2021".
Lei su cosa punterebbe?
"La soluzione migliore sarebbe investire per l'innovazione, per un vero ammodernamento dell'agricoltura. Ma non con i fondi risibili che il nostro governo mette a disposizione per le startup, delle quali solo l'1% ha un futuro. Non dobbiamo mai dimenticare che in agricoltura la conoscenza è diffusa: il risultato è per tutti".
Lasceranno usare agli agricoltori il risultato della tecnologia o no?
"Me lo auguro. L'innovazione oggi si fa prevalentemente nei settori dell'elettronica e della genetica. Ci sono nuove tecnologie non Ogm, come la cis-genetica, che consentirebbero anche di superare tutte quelle polemiche ideologiche che, proprio con queste nuove tecnologie, non avrebbero più alcun senso.
Accanto a tali innovazioni, nel caso italiano dovremmo puntare anche alle infrastrutture per l'agricoltura, come col vecchio piano Feoga. Chiaramente senza sprecare denaro con cattedrali nel deserto. Abbiamo bisogno di una nuova rivoluzione verde, a tutto tondo".
Cosa si aspetta succederà, quindi, con il dibattito sulla revisione della Pac?
"Allo stato attuale, e se ascoltiamo anche uno che la Pac la vive dal di dentro come Paolo De Castro, vicepresidente della Commissione Agricoltura al Parlamento europeo, non è possibile fare previsioni. Quest'anno si getteranno le basi per un dibattito che coinvolgerà anche l'opinione pubblica, che ha un concetto di agricoltura e di sviluppo rurale molto diverso dagli operatori, dai produttori, per intenderci.
Nel 2018 avremo una specie di Health Check, come era stata chiamata la fase di controllo sul funzionamento ai tempi del commissario danese Mariann Fischer Boel".
Quindi secondo lei non cambierà molto?
"E' troppo presto per dirlo. Non voglio fare il misterioso, ma vi sono molti aspetti ancora nebulosi. Quanti soldi avremo a disposizione per la prossima Politica agricola comune? Certamente l'uscita del Regno Unito dall'Ue peserà. E il negoziato per la Brexit finirà entro due anni o no? Sono passati più di sei mesi dal voto e ancora non è stata avviata alcuna trattativa. Anzi, proprio pochi giorni fa la Corte suprema di Londra ha disposto in via definitiva che la notifica dell'articolo 50 del Trattato di Lisbona per l'avvio dei negoziati con l'Ue dovrà essere autorizzata da un voto del Parlamento britannico.
Sembra tutto molto più complicato di quanto ci saremmo inizialmente aspettati, anche perché la sterlina nel frattempo ha perso il 15% del proprio valore. Aumenterà l'export dal Regno Unito, metteranno a punto politiche specifiche di sostegno dell'economia interna, magari il feeling fra il primo ministro britannico Theresa May e il neo presidente americano Donald Trump porterà a un canale commerciale e di dialogo privilegiato per Londra, ma l'impressione che emerge nonostante tutto è che il paese fosse veramente impreparato alla vittoria del Leave".
Gli inglesi sognano di metter insieme il Commonwealth.
"Così sostengono, ma sono secondo me dichiarazioni di facciata".
Sbaglio o la sensazione è che l'Italia sia molto silenziosa sul tema Pac?
"No, non sbaglia. L'Italia non dice niente".
Ad oggi è nota la posizione del commissario all'Agricoltura Phil Hogan, il quale fa leva su tre elementi costitutivi della prossima Politica agricola comune. Essi sono: migliorare l'accesso al credito, garantire un contesto lavorativo stabile e prevedibile e abbattere la burocrazia. Secondo lei è sufficiente come ricetta?
"Le rispondo con una domanda: l'accesso al credito chi lo dà agli agricoltori? Le banche i soldi li avrebbero, ma non li prestano, perché devono coprire i loro buchi. Quello auspicato dal commissario Hogan mi sembra, sulle prime, un piccolo cambiamento. L'aspetto più inquietante è che siamo impapocchiati negli accordi internazionali, a livello mondiale sta soffiando il vento del protezionismo e gli accordi Gatt o in seno al Wto sembrano ormai impossibili da raggiungere".
Il futuro, secondo lei, sarà caratterizzato da accordi bilaterali?
"Staremo a vedere, ma credo che il bilateralismo sia una via più semplice rispetto al multilateralismo. Almeno in alcuni frangenti".
Il greening, elemento alquanto avversato dagli agricoltori, almeno nelle latitudini più a Sud dell'Unione europea, non è stato un grande successo…
"Direi tutt'altro che un successo. Quali effetti avrebbe sortito? Ritengo nessun beneficio per l'ambiente e altrettanto per gli agricoltori. Una misura assolutamente fuori dal coro, totalmente stonata".
L'altro elemento riguarda la burocrazia. La volontà dell'Ue è quella di avversarla.
"Obiettivo ammirevole, ma ritengo molto complicato. La burocrazia, una volta creata, tende a mantenersi e, anzi, secondo la legge di Parkinson, il lavoro si espande in modo da riempire il tempo a disposizione per il suo completamento. In altre parole, significa che più gli apparati burocratici si espandono, più tendono a diventare inefficienti.
Quanto alla Pac la sfida è mantenere in equilibrio i controlli, che i cittadini comunque richiedono per l'agricoltura, e i costi. Bisognerà fare i conti anche con gli euro-burocrati, che sembrano essere favorevoli al mantenimento della Pac attuale".
Qual è, secondo lei, il punto debole della Politica agricola comune?
"E' che l'agricoltura europea, in realtà, non ha una sua strategia. E' una Pac senza idee, è semplicemente l'atto finale della riforma Mac Sharry, ma sappiamo tutti che ci troviamo a dover fare i conti con una Politica agricola comune che non sostiene gli agricoltori e non dà indirizzi veri alla multiforme agricoltura europea.
L'Europa si è di fatto esposta al mercato mondiale, senza tuttavia avere alcuna strategia e nessuna alternativa alle turbolenze della globalizzazione".
Spostiamoci oltreoceano: quali saranno le sfide che il nuovo segretario del dipartimento all'Agricoltura degli Stati Uniti, Sonny Perdue, dovrà affrontare?
"Se mi concede una battuta, la sfida principale sarà sopravvivere con Trump. Bisogna però riconoscere che l'inquilino della Casa Bianca ha costruito un impero, sa far lavorare i dipendenti e scegliere i collaboratori".
Lei ha dunque fiducia negli Usa?
"Sì. Io ho una grande fiducia nell'America, perché alla fine gli Stati Uniti vincono sempre. Mi è dispiaciuto vedere che nella parte finale del suo mandato il comportamento del presidente Obama si è europeizzato. Non è la politica alla quale l'America ci ha abituato".
Ora vedremo con Trump.
"Sì. Sono comunque fiducioso. Ci ritroveremo sulle prime ad assistere a un gioco a metà fra gli scacchi e il Risiko, su scala mondiale. Si cominciano a mettere in campo le prime pedine. Con conseguenze anche per l'agricoltura".