L’assessore all’Agricoltura della Lombardia, Gianni Fava, circa 10 mesi fa lo aveva scritto su Twitter: “Il proibizionismo ha fallito, credo valga la pena cominciare a parlarne”. Schietto e senza bizantinismi, come sempre, sulla questione della legalizzazione della cannabis si era riaperto il dibattito, rigorosamente fra le due sponde del sì e del no.

Al Forum internazionale di Cernobbio, organizzato da Coldiretti in collaborazione con lo Studio Ambrosetti, il presidente Roberto Moncalvo ha illustrato una ricerca commissionata a Ixé, che mette in evidenza come quasi due italiani su tre si dichiarino favorevoli alla coltivazione della cannabis, per motivi di salute ma anche economici e occupazionali.

Le opportunità, dice Coldiretti, volendo ci sono da subito, con “circa 1.000 ettari di serre abbandonate o dismesse a causa della crisi dell’ortofloricoltura”. Superfici utili per sperimentare “la coltivazione a scopo terapeutico della cannabis”. Con quali effetti? Diecimila posti di lavoro compresa la trasformazione e il commercio, grazie ai quali generare un giro d’affari di 1,4 miliardi di euro.

Una provocazione? Potrebbe, ma a leggere i numeri si potrebbe anche cogliere la palla al balzo. Coldiretti dice che si tratta di una opportunità da valutare “attentamente  per uscire dalla dipendenza dall’estero e avviare un progetto di filiera italiana al 100% che unisca l’agricoltura all’industria farmaceutica”.
Anche perché oggi il Tetra-idro-cannabinolo, il principio attivo della cannabis, viene acquistato all’estero dal ministero della Salute alla cifra di circa 15 euro al grammo.  

Potrebbe anche essere un modo per contrastare la criminalità organizzata, preso atto – dice Coldiretti, che fra le proprie fila annovera come consulente (sulla contraffazione alimentare) l’ex procuratore capo di Palermo e Torino, Gian Carlo Caselli – che i servizi antidroga del ministero dell’Interno nel 2012 hanno registrato il sequestro di oltre 4 milioni di piante, con un balzo del 308% rispetto all’anno precedente, quando i sequestri si fermarono a un milione circa di piante.

L’agricoltura italiana – afferma il numero uno di Coldiretti, Moncalvo - è pronta a recepire le disposizioni emanate dal governo e a collaborare per la creazione di una filiera controllata, capace di far fronte a una precisa richiesta di prodotti per la cura delle persone affette da malattia”.
Anche perché, ricorda il presidente del sindacato di Palazzo Rospigliosi, l’Italia negli anni Quaranta “con 100mila ettari coltivati di cannabis sativa, era il secondo produttore mondiale”. Basterebbe ritornare al passato e, con l’aiuto delle coltivazioni in serra, più facilmente controllabili, far partire la sperimentazione.