"E' sconcertante apprendere che il Comitato tecnico permanente agricoltura della Conferenza Stato-Regioni ha espresso parere favorevole alla soppressione dell'obbligo di impiegare seme certificato per accedere ai contributi previsti dall'art. 68 per il grano duro".  E' questa la prima reazione di Assosementi, l'associazione nazionale delle aziende sementiere, al comunicato diffuso nei giorni scorsi dal Ministero delle politiche agricole. 

"Con questa decisione, se ratificata dalla Conferenza – sottolinea Carlo Invernizzi, presidente della Sezione sementi di cereali – si sconfessa la politica di qualità sviluppata negli ultimi vent'anni dal Ministero, iniziata con l'introduzione della lista di varietà che potevano percepire l'aiuto sino all'obbligo dell'utilizzo di sementi certificate. Grazie a queste scelte condivise anche dalla Comunità, l'impiego di sementi certificate è salito da un misero 30% ad un uso pressoché generalizzato, con positive ricadute sulla qualità della produzione nazionale".

"Senza i proventi che derivano dalla vendite di seme certificato si condanna a morte il miglioramento genetico in un settore strategico per molte Regioni del centro-sud" aggiunge Invernizzi, che non manca di criticare l'atteggiamento remissivo di alcune amministrazioni regionali.

"Pensavamo di essere riusciti a far comprendere, purtroppo dopo l'health check solo per il frumento duro, il ruolo del seme certificato quale mezzo fondamentale per ottenere produzioni sane e sicure, nonchè pratico strumento per il controllo dell'applicazione delle norme sulla rotazione colturale. Mentre infuriano le polemiche sull'apertura alle colture ogm, l'Italia pensa invece di togliere un incentivo all'uso di seme certificato, che rappresenta il primo strumento alla base di ogni percorso di tracciabilità, indispensabile a garantire la sicurezza alimentare in una produzione tipica come quelle della pasta".

"Non ci resta ora che confidare in un gesto di lungimiranza da parte dei presidenti delle Regioni – conclude Invernizzi – affinché respingano questa proposta che va contro l'interesse di una delle tipicità che il nostro Paese vanta e che rischia di essere legata sempre meno a produzioni nazionali".