Innanzitutto, caro Ivano, complimenti. Che effetto ti fa questa cooptazione nel gotha dell'agricoltura?
"Sono molto onorato. Ho la stessa impressione che ha un fedele quando entra nella basilica di San Pietro e la trova vuota, come in quest'epoca di Covid-19: senti 'il grande' che ti sovrasta e tu sei piccolissimo. Ecco, con l'Accademia dei Georgofili ciò che ti sovrasta è la conoscenza in agricoltura, ma cogli una visione tale per cui, nell'accettare la tua piccolezza, capisci quante cose si possono fare assieme, grazie alle conoscenze e alle esperienze maturate in anni di storia. Tutto questo per me è un incentivo a impegnarmi ancora di più al servizio dell'agricoltura. L'agricoltura, d'altronde, è tra tutti i settori quello più tradizionale. Puoi cambiare i gusti o persino l'etica delle persone, ma difficilmente potrai cambiare i ritmi della natura".
Sei stato un pioniere dell'informatica applicata all'agricoltura. Oggi la sfida è sull'agricoltura digitale. Qual è lo stato dell'arte?
"Sembra un paradosso, ma oggi siamo in una fase in cui, per la prima volta nella storia, c'è una diffusione dell'agricoltura digitale superiore a quella che un agricoltore medio è in grado di comprendere, capire e utilizzare".
Spiegati meglio.
"Abbiamo assistito negli ultimi anni a una corsa irrazionale al digitale, solo perché c'erano i contributi all'acquisto".
Non reputi positiva la diffusione dell'agricoltura digitale?
"Dipende. Quello che abbiamo visto con il programma Agricoltura 4.0, pur nobile negli intenti, è stata una caccia all'acquisto di apparati tecnologici non meglio certificati".
Qual è il limite dell'agricoltura digitale?
"Oggi il limite è la mancanza di un dizionario comune. Significa che molte volte gli agricoltori, i contoterzisti e chi utilizza strumenti di raccolta e rilevazione dei dati ha in potenza delle informazioni che potrebbero essere fantastiche, ma che sono collocate in mondi chiusi, blindati, che non comunicano fra loro. È come avere un applicativo che parla in arabo, uno in cinese e uno in greco antico: con quali benefici?".
Perché, secondo te, i produttori di software non comunicano fra loro?
"Perché sviluppare software in Italia è più complicato che nel resto del mondo. E chi produce software ha maggiore convenienza ad affinare uno strumento che raccoglie dati sulla soia, la cui superficie a livello mondiale è intorno ai 217 milioni di ettari, anziché concentrarsi sull'Italia, dove sussistono trecento colture diverse in soli 14 milioni di ettari. Dove troverai maggiori risposte e un migliore ritorno economico?".
Da pochi giorni Image Line ha festeggiato i primi 33 anni di vita. Come è cambiata?
"C'è stata una evoluzione con un cambio radicale di mentalità, approccio e visione. In 33 anni è inevitabile. Sono partito con le banche dati sugli agrofarmaci e ricordo che all'epoca era incomprensibile il servizio che volevo dare, perché non si pensava proprio che l'agricoltura potesse utilizzare l'informatica. Internet non esisteva, ma già allora avevamo la consapevolezza che l'agricoltura fosse centrale nella vita dell'uomo e che fosse un mondo che avrebbe potuto trarre beneficio dalle informazioni".
Un'era geologica fa.
"Di fatto, sì. Fummo percepiti come coloro che raccoglievano dati e aiutavano gli agricoltori a non fare errori durante le loro attività. Abbiamo creato banche dati uniche nel loro genere. Non è stato semplice, perché per ricreare l'agricoltura all'interno dei computer dovevamo osservare tutto, registrare tutto e riprodurre tutto. Far interagire le azioni in campo, i bisogni all'interno delle singole filiere, catalogare ogni singolo prodotto, ogni fase fenologica, ogni avversità, ogni mezzo tecnico utilizzabile. Attraverso questo lungo e complesso percorso di mappatura ci siamo resi conto che le esigenze del produttore sono diverse da quelle del consumatore, da quelle del trasformatore, dei tecnici, dei consulenti. Ma i bisogni e le risposte di un produttore di albicocche a Faenza sono diversi da quelli di un risicoltore di Mantova. I dati da raccogliere ed elaborare sono differenti, seppure si resti all'interno del mondo agricolo".
Quali sono gli aspetti più complessi?
"Creare un'ontologia dell'agricoltura digitale e organizzarne un dizionario comune".
Qual è il vantaggio per l'agricoltore?
"Possedere i dati, perché è l'agricoltore la fonte di tutti i dati. Tutto parte dall'azienda agricola. Quando si parla di blockchain, invece, non sempre si parte dall'inizio, ma dalla fine. Come nel caso del vino o della pasta: spesso si parte dalla cantina o dal pastificio e non dal campo. È un approccio inverso. Il nostro impegno è invece fare in modo che i dati vengano raccolti dagli agricoltori".
Quali saranno i benefici delle nuove tecnologie?
"I benefici sono legati al fatto che tutti quegli eventi che per il singolo agricoltore sono a sé stanti, attraverso la tecnologia possono essere documentati, raccontati, studiati e si possono creare tutte le situazioni per prevenirli la volta successiva. Un esempio concreto: un agricoltore per proteggersi da una determinata avversità deve conoscerla ed essere in grado di affrontarla. Se l'agricoltura digitale aiutasse in anticipo a capire come prevenire il problema, forniremmo un aiuto, senza per questo togliere dignità all'agricoltore o al tecnico, i quali avranno comunque la libertà di decidere come meglio operare".
Quali nuovi progetti hai in corso?
"Moltissimi. Il più importante è legato alla creazione del dizionario comune delle colture tipiche italiane. E considerata la biodiversità del nostro Paese, significa realizzare un dizionario comune per tutte le colture del mondo, con esclusione di alcune tropicali, visto che abbiamo mappato anche coltivazioni di banano, mango e avocado in Sicilia. Un altro progetto molto interessante è legato al mondo di AgroNotizie. Vogliamo approfondire tutte le colture, così da raccontare da un lato l'agricoltura italiana nelle sue dinamiche principali e allo stesso tempo per fornire informazioni sempre più specifiche e collegate all'analisi dei dati delle filiere. Desideriamo che i singoli produttori abbiano gli strumenti per dialogare con la catena di approvvigionamento con la possibilità di gestire i propri standard informativi".
Con QdC® - Quaderno di Campagna® state avendo risposte molto positive.
"Sì. Siamo partiti 22 anni fa e l'anno scorso sono stati gestiti attraverso questa soluzione digitale circa 605mila ettari. Gli agricoltori sanno cosa hanno coltivato, quali trattamenti hanno fatto, qual è stata l'evoluzione della produzione, il momento della raccolta: vogliamo fare in modo che tutte queste informazioni raggiungano gli anelli successivi della catena produttiva, fino al consumatore".
Tutti parlano di sostenibilità, oggi. Cosa ne pensi?
"La sostenibilità o è basata sui dati oppure non ha senso. Oggi va molto di moda lo storytelling dei prodotti, ma molti sottovalutano il fatto che la parola 'raccontare' ha un'origine etimologica interessante, che parte da 'contare': e si contano solo i numeri (ovvero i dati…). Quindi, per raccontare un prodotto devi avere preventivamente raccolto i dati. Altrimenti sei in un altro campo, che non è quello del raccontare, ma del narrare o recitare.
Noi dobbiamo raccontare la storia del prodotto, partendo dal campo, sapendo che l'agricoltura italiana è evoluta e sana, al primo posto nelle classifiche della Commissione Ue per la sicurezza delle proprie produzioni e da questi dati dobbiamo partire. Dobbiamo essere consapevoli che produciamo specialty e non commodity. Anche quando facciamo il grano… se prodotto in Italia non è una commodity, dobbiamo lavorare sulla consapevolezza data dai numeri e sulle peculiarità del made in Italy, che vanno oltre il bene in sé, perché abbracciano la storia, la cultura, l'arte, il paesaggio".
L'analisi dei dati non deve dimenticare gli aspetti etici. Non trovi?
"Assolutamente. Ma i dati, di per sé, non hanno una connotazione negativa, dipende dall'etica dell'imprenditore e dalle norme che vengono scritte, affinché l'imprenditore possa lavorare in modo etico. Per questo è auspicabile che tutto ciò che ha a che fare con l'informatica venga gestito da persone che hanno questo tipo di sensibilità. L'informatica deve essere utilizzata per aiutare gli agricoltori, non per soggiogarli. Ma, a ben vedere, la questione della tecnologia legata all'etica non riguarda solamente l'agricoltura. Pensiamo a Whatsapp, strumento immediato per comunicare, che in alcuni casi è stato il veicolo del bullismo: non è colpa dello strumento, ma la responsabilità è di chi lo utilizza.
È tutto legato all'uomo e fare parte dell'Accademia dei Georgofili è per me motivo di orgoglio e impegno a lavorare insieme, in modo etico, per il progresso degli agricoltori e dell'agricoltura italiana".
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