Tutto questo accade dopo che l’economia meridionale è uscita troppo lentamente dalla grande recessione originata dalla crisi finanziaria mondiale del 2008. Rispetto ad allora un nuovo ed antico spettro si aggira per il Sud: torna con forza il dramma dell’emigrazione. Continua infatti la fuga dei meridionali verso il Centro-Nord e l’estero (132.187 nel solo 2017), non bilanciata dai pur non bassi flussi migratori verso il Sud di cittadini stranieri (75.305 nello stesso anno). Ne consegue un saldo negativo dei residenti di ben 56.882 abitanti nel solo 2017, come se una città media fosse scomparsa nel giro di un solo anno.
In questo quadro non certo felice, l’economia agricola meridionale appare ancora una volta in tutta la sua fragilità: incrementi di Pil bassi nelle regioni dove cresce nel 2018, in altri casi con vistose cadute, mentre non ha fine la crisi dei consumi; le famiglie meridionali tagliano ancora una volta il budget proprio per la spesa alimentare (-0,5% nel 2018). E all’orizzonte c’è il rallentamento dell’economia mondiale e l’innalzamento della barriere tariffarie, che incideranno negativamente nei mesi a venire sulle esportazioni.
Sono questi gli aspetti dell’economia agricola meridionale balzati agli occhi scorrendo le anticipazioni del Rapporto Svimez, che ha rilanciato con forza il tema della nuova accentuazione del divario territoriale tra Nord e Sud del Paese. A cominciare da quello della diversa propensione agli investimenti in macchinari ed attrezzature: +0,1% al Sud e +4,9% al Centro-Nord nel 2018.
In questo scenario non facile, si inseriscono i Piani di sviluppo rurale 2014-2020, che si avvicinano lentamente all’obiettivo di rendicontazione finale della spesa e che si dimostrano lenti nella risposta, almeno fino all’anno considerato. Il peso del contributo alla crescita del Pil nelle varie regioni del Mezzogiorno da parte dell’agricoltura è quanto mai vario ed in un caso è determinante.
Il Pil agricolo nel Mezzogiorno d'Italia
Il caso determinante è quello della Calabria, “unica regione non solo meridionale ma italiana, ad accusare una flessione del Pil nel 2018, -0,3%, dovuta però prevalentemente alla performance negativa del settore agricolo (-12,1%)" è scritto in una nota diffusa alla stampa da Svimez. Qui ad incidere sono non solo i danni all'agricoltura prodotti dagli eventi meteo avversi, quanto il deprimersi dei prezzi, dovuto al crollo anche qualitativo dei raccolti, come nel caso degli agrumi, colpiti proprio nel 2018 dalle muffe, dovute all'eccesso di pioggia.In Molise, dove l’economia cresce nel 2018 di appena l’1%, con un Pil dell’industria che segna un ottimo +5,4%, l’agricoltura perde un significativo -2,3%, con un plausibile effetto di riduzione sul risultato economico complessivo della regione.
Al contrario, in Campania, dove il Pil regionale 2018 ha conosciuto la crescita zero, è forse proprio l’agricoltura ad evitare un andamento recessivo, atteso che nella regione, “le costruzioni vanno bene (+4,7%), l’agricoltura si attesta a +1,1%, mentre l’industria in senso stretto realizza un modesto +0,5%. In controtendenza i servizi, che pesano molto sul complesso dell’economia campana, in calo di -0,3%" è scritto nella nota Svimez. Va detto che nel 2018 in questa regione si erano registrati ripetuti incrementi delle esportazioni agricole.
Nell’Abruzzo che vede invece un Pil 2018 svettare al +1,7%, l’agricoltura ristagna segnando un -0,3%.
In Puglia – Pil 2018 a +1,3% - l’unico settore in perdita è quello agricolo, con un Pil di settore che va in negativo dell’1% secco, complici la Xylella fastidiosa e i bassi prezzi dei prodotti agricoli.
In Sardegna, dove il Pil 2018 segna un +1,2%, l’agricoltura – nonostante i danni da gelo e siccità ed eventi eccezionali – fa segnare una crescita pari a zero.
In Basilicata il valore dell’economia agricola cresce nel 2018 del 2,2%, ed è parte di una ripresa complessiva del sistema Basilicata, che si ferma comunque al +1%.
Infine, è pessima la performance 2018 del settore agricolo in Sicilia (-4,2%) legato soprattutto al cattivo andamento dei prezzi delle derrate, a cominciare dall’ortofrutta, passando per gli agrumi e – in ultimo - all’uva da vino.
Le possibili soluzioni sul tappeto
Ma cosa dovranno fare le politiche di sviluppo rurale e le politiche agricole in futuro per rilanciare il settore primario, che secondo Svimez resta uno dei possibili driver di sviluppo, ricco come è di tipicità nei prodotti e vitalità settoriale? La risposta al quesito è tutta nell’analisi: occorre rilanciare gli investimenti nelle aree ad agricoltura forte, per rendere sempre più innovative e competitive le imprese che esportano, ma anche trovare il modo di arginare la nuova diaspora del popolo meridionale, che parte soprattutto dalle aree interne, dove il lavoro nei campi e nei boschi in collina e montagna è essenziale per il presidio idrogeologico del territorio.Un dato su cui riflettere è il seguente: la riduzione della popolazione nel Mezzogiorno d’Italia nei Comuni con meno di 5000 abitanti, che tra 2003 e 2017 è stata complessivamente di oltre 256mila e 300 unità, si colloca ampiamente in collina (-148mila e 600 abitanti), un po' meno in montagna (-78mila abitanti) e in misura marginale nei piccoli comuni di pianura, che perdono solo 29mila e 600 abitanti in questi 15 anni.