Una crisi che sembrava aver risparmiato, almeno in parte, il consumo di carne bovina in genere e di vitellone in particolare.
Con la riapertura di hotel e ristoranti il peggio sembrava alle spalle. Ma la ripresa è lenta e alla fine anche per le carni di vitellone i mercati hanno virato verso il basso, innescando una crisi dalla quale è sempre più difficile uscire.
Non va meglio per le carni suine, dove la crisi è partita ancor prima dell'emergenza sanitaria, in conseguenza dei mutati assetti sul mercato globale, dopo che la peste suina africana ha decimato gli allevamenti cinesi.
I primi aiuti
Una situazione difficile, questa del mercato delle carni, che ha trovato parziale risposta nei sostegni previsti dal decreto Rilancio, nelle agevolazioni sul fronte previdenziale, nelle dilazioni per assolvere gli impegni con il fisco e con gli istituti di credito.Sul fronte delle carni suine sono arrivate al momento giusto anche le nuove regole sull'etichettatura di salumi e insaccati, con l'obbligo di indicare la provenienza delle carni.
Solo una "sperimentazione", quella concessa da Bruxelles, ma utile per dare ai consumatori gli strumenti per scegliere ciò che italiano è davvero.
Tutti interventi importanti, apprezzati dagli operatori del settore delle carni rappresentate da Uniceb, il cui presidente, Carlo Siciliani, plaude ai 426 milioni destinati all'esonero dai versamenti dei contributi previdenziali, come pure ai 90 milioni del fondo emergenziale per le filiere in crisi.
In particolare per i vitelli sono stati messi a disposizione 20 milioni di euro come premio alla macellazione dei vitelli di età inferiore a 8 mesi, con il limite massimo di 110 euro a capo.
Altri 15 milioni sono destinati all'ammasso privato di carni fresche o refrigerate di vitello.
Il nodo della distribuzione
Si teme tuttavia che questi interventi possano dimostrarsi insufficienti a chiudere la falla che si è aperta sul fronte delle carni bovine, dove emergono tensioni di mercato alla cui origine è estranea l'emergenza da coronavirus.Il dito è puntato verso le distorsioni generate dal sistema distributivo e dalle speculazioni che stanno spingendo sotto il costo di produzione anche le carni bovine di maggior pregio.
Questa crisi, affermano gli operatori del settore delle carni bovine, deve trasformarsi in un'occasione per rivedere con una politica di investimenti strutturali tutto il segmento produttivo.
Al contempo è sempre più pressante l'esigenza di un dialogo con la grande distribuzione organizzata, che potrebbe essere mediato dal ministero per le Politiche agricole.
Suini, cosa fare
Più profonde le trasformazioni che occorre imprimere al settore suinicolo.Ne è convinto Nicola Levoni, presidente di Assica, l'associazione delle industrie delle carni, che chiede uno sforzo più articolato per sostenere il settore industriale, che oggi, con le nuove disposizioni sulle etichette, si trova ad affrontare un aggravio di costi.
Gli fa eco dal suo ruolo di vicepresidente di Uniceb Lorenzo Levoni, che lancia l'ipotesi di un ripensamento della "filosofia" produttiva della filiera delle carni suine, oggi strettamente connessa al circuito delle Dop.
Sua la proposta, già lanciata negli scorsi anni senza successo, di puntare sulla produzione di un suino "intermedio", fra i 140 e i 150 kg di peso vivo, rigorosamente italiano, per la produzione di carne fresca.
Un suino del quale occorre mettere a punto la genetica, diversa da quella destinata al circuito dei trasformati a denominazione di origine.
Un piano per la carne
Non solo i suini, ma più in generale per l'intero comparto delle carni, si rende sempre più evidente la necessità di un piano di sostegno strutturale che rilanci e valorizzi la produzione italiana anche sui mercati internazionali.E' quanto propone Oicb, l'Organizzazione interprofessionale della carne bovina, per la quale si attende il riconoscimento formale.
Al suo interno figurano fra le più importanti sigle delle organizzazioni del mondo agroalimentare, come Assalzoo, Assograssi, Cia-Agricoltori italiani, Confagricoltura, Copagri, Fiesa-Confesercenti e Uniceb.
La filiera è ben rappresentata e ha tutte le carte in regola per porsi come autorevole interlocutore al tavolo delle scelte di politica agricola nel comparto delle carni. Non resta che mettersi al lavoro con lena.