La crescita di un'azienda può talvolta passare attraverso acquisizioni di altre realtà industriali se queste offrono caratteristiche di elevata complementarità, tali da integrare e ampliare le attività precedenti.

 

Questo è successo quando Gowan ha deciso di acquisire Isagro Spa, marchio italiano che deteneva diversi asset di alto interesse agli occhi americani, come pure una cultura fitoiatrica di elevato interesse per il brand statunitense. 


Il processo di integrazione di Isagro in Gowan è stato condiviso a Bologna grazie a un evento orientato soprattutto alla rete distributiva, pur coinvolgendo tecnici ed esponenti del mondo universitario.

 

"L'evoluzione di Gowan in un mercato che cambia", questo il titolo dell'evento, si è tenuto presso il Museo Ferruccio Lamborghini di Funo, in provincia di Bologna. Moderato da Donatello Sandroni, giornalista e divulgatore scientifico in ambito agricolo e fitosanitario, l'incontro ha visto la partecipazione di Jean Philippe Pollet, manager del Gruppo Gowan per Europa, Middle East e Africa, cui sono seguiti gli interventi di Piersilvio Paiero, direttore generale di Gowan Italia; Roberto Bonetti, quale Global Manufacturing manager, e Ilaria Ferri, Marketing & Development manager.

 

Ospite d'eccezione Gabriele Canali, docente di Economia e Politica Agraria presso l'Università del Sacro Cuore di Piacenza.

 

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Presentazione della nuova struttura organizzativa e aziendale presso il Museo Ferruccio Lamborghini a Funo, in provincia di Bologna

(Fonte: Gowan Italia) 


Gowan: una storia che parte da lontano

Non è per caso se uno dei caratteri distintivi di Gowan sia il claim "Muddy Boots", ovvero stivali fangosi. L'azienda statunitense nacque infatti nel 1962 dall'opera di consulente agronomo di Jon Jessen, esperto soprattutto di insetticidi. Jessen ben presto comprese le potenzialità commerciali dei prodotti per la difesa e dei fertilizzanti e quindi si organizzò anche in tal senso, creando la Dune Co. In seguito, dal semplice commercio Jessen volle evolversi anche in chiave produttiva fondando la Gowan Milling a Yuma, in Arizona. 

 

Da americana a globale

Dal 1971, anno della fondazione, di tempo ne è passato e oggi Gowan è divenuta una società che commercializza non solo agrofarmaci, bensì anche fertilizzanti (inizio del business nel 1989) e sementi di colture orticole, dal 1996. Risale invece al 1990 l'acquisizione della prima sostanza attiva di proprietà, ovvero il fosmet.


Continua si è rivelata la crescita dei fatturati nel tempo, sino all'attuale miliardo di dollari come Gruppo, di cui circa 700 milioni derivano dalla difesa delle colture. Ampliata nel tempo anche la presenza a livello globale, sbarcando in Italia nel 2008 tramite l'acquisizione della faentina Sariaf, dapprima parziale, poi completa. 

 

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Piersilvio Paiero, general manager Gowan Italia, e Jean Philippe Pollet, Eumea manager del Gruppo Gowan

(Fonte: Gowan)


Sette stabilimenti, quattro in Italia

Dopo la partenza in Arizona, con il primo stabilimento a Yuma, Gowan ha ampliato la propria base produttiva nel 2016 con un impianto per la produzione di erbicidi, in Canada, entrando anche nel settore dei prodotti di origine naturale acquisendo gli asset della colombiana Ecoflora, nel 2011. Ciò permise alla Casa statunitense di entrare nel mercato dei biologicals adeguatamente attrezzata. 


Da tre a sette, però, il passaggio è stato brusco. Ciò grazie all'acquisizione di Isagro Spa, forte appunto di quattro impianti nello Stivale, cui si aggiunge un centro di ricerca e sviluppo altamente specializzato a Galliera, in provincia di Bologna. 


L'insediamento di Novara, oltre al sito produttivo, vanta anche un moderno laboratorio di ricerca e sviluppo sul fronte dei biologicals, possedendo il necessario know how e l'impiantistica per operare le più opportune fermentazioni microbiologiche. A Bussi, in Abruzzo, è sito l'impianto per la sintesi di tetraconazolo, mentre ad Aprilia, nel Lazio si opera sul fronte delle formulazioni, del packaging e della logistica. 


Lasciato per ultimo, ma solo per via della sua grande importanza strategica, lo stabilimento di Adria, in Veneto. Fondato da Caffaro negli anni '70 è oggi divenuto il polo produttivo per Gowan di tutti i suoi formulati rameici. Una produzione di circa 15mila tonnellate l'anno, ottenute esclusivamente tramite il riciclo di materiali rameici di risulta. Ciò nel pieno rispetto delle più moderne strategie di economia circolare. 

 

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Roberto Bonetti, Global Manufacturing manager del gruppo Gowan

(Fonte: Gowan)


Un catalogo in continua espansione

Dalla prima molecola di proprietà, il fosmet, Gowan ha arricchito il proprio portfolio con i marchi Zoxium, a base di zoxamide, anch'essa di proprietà e presente in molteplici miscele con altri antiperonosporici.

 

Sempre di proprietà Gowan le sostanze attive formetanate, fenazaquin, benzobicyclon, triallate, benfluralin, fenamidone, pencycuron, spirodiclofen e tetraconazolo, nonché gli storici marchi rameici come Airone, Pasta Caffaro e Fantic, solo per citarne alcuni. 


Alcuni specifici accordi di distribuzione hanno poi permesso a Gowan di commercializzare anche prodotti a base di amisulbrom, pyridaben, quizalofop-p-etile e 1,3-Dicloropropene.


Da evidenziare anche il rafforzamento nella linea biologicals, con soluzioni quali Polyversum (Pythium oligandrum - ceppo M1) e Remedier (Trichoderma asperellum e Trichoderma gamsii. Ormai in vista anche l'arrivo di Perimeter, l'antioidico e antibotritico naturale derivante dalle foglie di Swinglea glutinosa, pianta della famiglia delle rutacee. Rivelatosi in grado di contenere anche i marciumi acidi della vite, questa biosoluzione è esente da Lmr, offre una nuova modalità d'azione e presenta un eccellente profilo tossicologico e ambientale. 


All'offerta di Gowan non mancano nemmeno le soluzioni biostimolanti, come per esempio Tamarack, a base di epitelio animale idrolizzato. Grazie a tali espansioni strutturali e di catalogo, Gowan Italia è oggi salita dal decimo al settimo posto nel ranking nel Belpaese quanto ad aziende. 

 

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Ilaria Ferri, responsabile marketing e sviluppo di Gowan Italia

(Fonte: Gowan)


Mercato agrofarmaci: meno quantità, più valore

Il continuo calo nei volumi venduti non è corrisposto però a un calo dei fatturati. Fatto 100 il 2021, nel 2022 i volumi sono infatti scesi del 4,8%, mentre il controvalore è salito del 14,2%. Ciò a causa anche dei rincari imprevisti del settore energetico e quindi produttivo. Il price index è quindi aumentato del 19%.


Materie prime e filiere agroalimentari: la parola all'esperto

Gabriele Canali ha condiviso con la platea una ricca messe di numeri relativi ai mercati internazionali delle materie prime energetiche e dei fertilizzanti. Per esempio, dal maggio 2020 al giugno 2022 il petrolio è salito da meno di 20 $ al barile sino a oltre 120, calando poi leggermente negli ultimi mesi sino alla soglia di 90 $ circa verso fine settembre. Un aumento di sei volte tanto che non poteva non impattare molteplici settori produttivi. Decuplicati invece i prezzi del gas naturale fra il gennaio 2021 e l'agosto 2022. 


Ciò si è ripercosso per esempio sui prezzi dell'urea, fertilizzante di ampio uso in agricoltura. Se questa era prezzata 200 euro/tonnellata a dicembre 2020, prezzo stabile da circa un anno, a marzo 2022 ha toccato gli 850 euro circa. Più che quadruplicata.

 

Non da meno i fosfati, passati nel medesimo lasso temporale da circa 70 euro/tonnellata a 315. Cioè quattro volte e mezza in più. Analoghi trend per il cloruro di potassio, con prezzi che sono saliti da circa 180 a 560 euro/tonnellata, sempre fra dicembre 2020 e agosto 2022. Più che triplicati. 


Nel frattempo, gli stock agroalimentari mondiali hanno visto una tendenza all'accumulo da parte della Cina, che oggi è il primo Paese al mondo per il frumento, con 142.166 milioni di tonnellate, ovvero più della somma degli altri quattro Paesi che seguono nel ranking che messi insieme assommano solo 65.851 milioni di tonnellate. Meno della metà di quanto accumulato dall'ex Celeste impero. Uno scenario che deve quindi preoccupare non tanto per la disponibilità mondiale di stock, quanto per la loro concentrazione in una sola mano. 


Un occhio di riguardo è stato poi riservato da Gabriele Canali ai rischi di una riduzione dell'uso degli agrofarmaci, obiettivo cui mirano le recenti politiche europee. Da uno studio VSafe, spinoff dell'Università di Piacenza, è emerso come le rese delle diverse colture calerebbero drasticamente in assenza di trattamenti.

 

Di frumento ne resterebbe solo il 43%, di mele il 33%, con valori simili (38%) per uva da tavola e olio di oliva. Il più penalizzato sarebbero riso, pere, mais e pomodoro da mensa, con solo il 16, il 14, il 13 e il 12% rimasto rispetto all'ipotesi con trattamenti. L'impatto complessivo annuo sulle filiere agroalimentari è stato invece calcolato in oltre 51 miliardi di euro


Ovviamente, tale simulazione considera lo scenario di totale assenza di trattamenti, ma chiunque capisca qualche cosa di fitoiatria sa bene come basti anche sbagliare qualche trattamento, pur effettuandolo, per vedere in campo perdite a due cifre percentuali. Un punto del quale forse ancora non si è presa completa contezza né a Bruxelles, né in Italia, vista la proposta di ridurre del 62% l'uso di agrofarmaci nello Stivale. 

 

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Gabriele Canali, professore di Economia e Politica Agraria, Università di Piacenza

(Fonte: Gowan)


Fake News Vs numeri reali

A conclusione dell'evento, Donatello Sandroni ha fornito una disamina delle più comuni fake news circolanti a danno del mondo agricolo, evidenziando come a fronte di crescenti misure di sicurezza ambientale e quindi sanitaria, la percezione del pubblico si stia progressivamente spostando verso scenari sempre più pessimistici. Ovvero il contrario di quanto dovrebbe essere.


Nonostante l'uso degli agrofarmaci in Italia si sia praticamente dimezzato negli ultimi trent'anni, l'informazione dei media generalisti continua ad alimentare percezioni alterate degli scenari. Basti pensare al dato di 275 volte superiore fornito da Data Room di Milena Gabanelli circa l'impiego della chimica agraria in Italia. Per giunta, cumulando agrofarmaci e fertilizzanti, ovvero due raggruppamenti di prodotti del tutto differenti. 


Peggio ancora quanto successo recentemente in Veneto, ove è stato Marcos Orellana, inviato dell'Alto Commissariato per i Diritti umani, a fornire un dato 267 volte superiore al reale circa l'impiego di agrofarmaci in Veneto. Il tutto, ovviamente, ripreso dalla stampa locale con le prevedibili conseguenze in termini di percezione popolare. 


Forse meglio sarebbe che la stampa condividesse informazioni di ben altra caratura, come quella che vede la superficie coltivabile procapite italiana scesa del 67% nell'ultimo secolo, di cui il 46,8% dal 1961. Oggi restano cioè poco più di duemila metri quadri coltivabili per ogni italiano. Da questi va estratto il cibo da fornirgli. Cibo italiano: poiché questo il consumatore afferma di volere. 


Peccato che con tali trend l'autosufficienza agroalimentare italiana sia destinata a calare ulteriormente, a tutto vantaggio dei Paesi che rimpiazzeranno quelle perdite con le proprie produzioni eccedentarie. 


Non meno preoccupanti i cali in termini di sostanze attive di sintesi disponibili per la difesa fitosanitaria delle colture. Se queste erano 441 nel 2000, oggi sono calate a sole 212, più che dimezzate. I soli insetticidi sono diminuiti del 70% circa. Normale quindi che a fronte di un simile taglio ai modi d'azione disponibili si siano moltiplicati anche i fenomeni di resistenza che rendono sempre più complicati i programmi di difesa delle colture.