Per la serie mai porre limiti alla provvidenza.
Per l'agroalimentare italiano potrebbe valere la stessa dose di ottimismo. Qualche settimana fa abbiamo qui considerato che la cucina italiana è la seconda al mondo con un numero impressionante di ristoranti e pizzerie ubicati in ogni dove; ma solo la quinta in Europa (abbondantemente dietro anche alla Germania) per quanto riguarda l'export agroalimentare.
Le possibilità di crescita ci sono.
E la constatazione viene confermata dai dati riguardanti i primi 5 mesi del 2018 diffusi dall'AgriFood monitor di Nomisma-Crif. Mentre l'attività di import/export agroalimentare nel mondo rallenta fra liti daziarie, neo-protezionismo rampante e accordi di libero scambio non ratificati, l'export italiano continua imperterrito ad aumentare, segnando a valore un +3,5% sullo stesso periodo dell'anno scorso.
Fra i grandi esportatori mondiali fa meglio di noi solo la Francia (+4%) che non solo ha prodotti molto apprezzati (la cucina no, non va più di moda) ma, giova sempre ricordarlo, può contare su di un apparato di promozione internazionale assolutamente formidabile (UbiFrance e Sopexa).
L'Italia va alla grande non solo nelle piazze usuali (Usa e Canada, peraltro paesi che hanno abbassato di molto le importazioni) ma anche per esempio in Messico (+23%), Corea del Sud (+20%), Romania (+13%) o Polonia (+8% con un +46% negli ultimi 5 anni); paesi in attiva crescita, dove il nostro cibo è apprezzatissimo.
Poi c'è il Giappone, con il quale si è appena chiuso l'accordo di partenariato (Jefta) e su cui si possono, giustamente, riporre ancora molte speranze di crescita.
Tornando all'ad di Coca Cola: l'obiettivo italiano (lo scriviamo per l'ennesima volta) può essere quello dei 100 miliardi di euro/anno. E allora siamo persuasi, il cambiamento in meglio nelle campagne italiane sarebbe evidente.
L'ottimismo, diceva un poeta, è il sale della vita.