Considerazioni di Roberto Volpi
In un recente convegno un esponente del ministero ha ribadito una tesi assai nota che il settore primario producendo beni pubblici ha pieno titolo a ricevere indennizzi dallo stato.
Le pratiche agronomiche di coltivazioni regolano, come è noto, il deflusso delle acque meteoriche. La sistemazione dei terreni, il drenaggio, la cura dei prati stabili, dei pascoli e dei boschi concorrono a migliorare le condizione del suolo.
Nelle aree collinari e montane esse garantiscono la stabilità per evitarne il degrado ed il dissesto idrologico.
Nel produrre gli alimenti il settore primario quindi svolge contemporaneamente un servizio utile alla collettività; inoltre esso modella il paesaggio agrario ed in molti casi svolge anche una funzione di conservazione e difesa del lavoro di bonifica, di dissodamento, e di tutto ciò che le generazioni passate hanno costruito per il loro sostentamento, come ad esempio gli oliveti che coprono gli Appennini.
Gli agricoltori italiani ricevono oggi dalla EU aiuti globali per un totale di 3,8 miliardi di € giustificati come un contributo sostitutivo al sostegno dei prezzi, oggi quasi del tutto soppresso, il disaccoppiamento, come indennizzo per il controllo dei nitrati in aree a rischio, ed infine per il servizio ambientale noto come "condizionalità".
E' un insieme di operazioni per salvaguardare il buono stato di salute dei terreni coltivati e del territorio nel suo complesso. Il denaro ricevuto per questo specifico compito dovrebbe rappresentare meno del 10% della totale somma erogata.
Le aziende beneficiarie del flusso finanziario sono oltre 1,3 milioni comprendendo sia quelle professionali ed autonome, circa 300.000 mila, che quelle part-time.
Quando lo stato dà soldi al privato ha il dovere di controllare che essi siano stati impiegati correttamente ed esclusivamente per le pratiche agronomiche previste dalle leggi e dalle norme.
Il 2% circa dei beneficiari sono stati sottoposti a verifica, anche se questa valutazione è assai complessa, se non problematica sul piano metodologico e su questo tema poco sono state fino ad ora le discussioni fra esperti e politici.
In questo convegno sono stati portati alcuni risultati che proverebbero come essi hanno inciso notevolmente sulla stabilità di aree a rischio. Come questi effetti sono stati valutati e la tecnica impiegata non sono noti.
Il nostro paese è prevalentemente collinare e montano, mentre l'attività agricola più intensiva e remunerativa è concentrata nelle aree di piano, che l'urbanizzazione va però assottigliando di anno in anno. Meno di un terzo della superficie è pianeggiante, la metà è classificata come montana.
Il clima subtropicale che sembra affermarsi anche da noi ha portato a piogge sempre più intense che nelle aree declivi sono particolarmente pericolose.
I danni sono ovviamente assai maggiori ove terreni hanno coperture vegetali insufficienti, se non del tutto assenti, le acque non hanno una corretta regimentazione e la rete di canali per il loro smaltimento è assente o non è adeguata.
Ne consegue che un aiuto pubblico ai proprietari ed ai coltivatori per custodire e gestire questa grande superficie è del tutto giustificato, tenendo anche conto che si tratta di un'agricoltura parcellizzata e frammentata, assai poco remunerativa, i cui redditi sono decisamente modesti.
I fondi stanziati per questo servizio sono quindi del tutto insufficienti e sarebbe assai più saggio dare meno denaro all'agricoltore ed all'allevatore professionale in base agli ettari di superficie coltivabile che possiede, dirottarne una parte più consistente ai tanti piccoli coltivatori che in aree disagiate e sensibili svolgono questa utile funzione.
Anche considerazioni di carattere etico giustificano questa scelta che porterebbe ad una riduzione di squilibri di reddito spaziale e concorrerebbe a stabilizzare una popolazione in via di rapido invecchiamento e che ovviamente va gradatamente declinando.
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