Dicono che questo non sia un paese per cereali.

Da cinefili la battuta ci piace (lo scenario agricolo è di fatto da Grand Guignol) ma vorremmo essere un poco più speranzosi.

 

In Borsa Merci a Bologna faccio le consuete due chiacchiere con il suo presidente, Valerio Filetti.

La situazione secondo Valerio è di impasse profonda e si può supporre che lo rimarrà per i prossimi 5-6 mesi. I prezzi del grano tenero e duro hanno già raggiunto un limite sotto il quale (speriamo bene) difficilmente si potrà andare. Difficile anche pensare a una situazione migliorativa.

 

L'offerta sul mercato mondiale quest'anno è particolarmente abbondante e si riscontra in generale anche una buona qualità. Per il grano duro vi sono stati ottimi raccolti in Canada e negli Usa - ma oggi bisogna calcolare anche paesi outsider, ma molto più prossimi a noi, come Ungheria e Ucraina. Qui si producono addirittura varietà italiane per il mercato italiano.

 

Il grano tenero è praticamente in competizione con il mais per la nutrizione animale. In tanti paesi il mais ha, a sua volta, dei problemi sempre più frequenti per quanto riguarda le micotossine e sempre più spesso se ne va a produrre biogas.

 

Il problema italiano, lo sanno tutti, sono i costi di produzione. Noi da sempre siamo convinti, e periodicamente lo scriviamo, che l'unica soluzione (non ne vediamo onestamente altre) siano i contratti di filiera assieme alla valorizzazione dei prodotti di origine italiana. Vediamo che recentemente alcuni grandi produttori di pasta stanno meglio valorizzando sia la sostenibilità sia l'origine. Questa è, a prescindere, una buona cosa - a patto ovviamente che un pezzettino del premium price vada al produttore agricolo.

 

La speranza è l'ultima a morire.