Il clima, il rischio della siccità e di temperature fuori controllo, le proiezioni dei mercati (al netto della volatilità), i costi di produzione restano le variabili maggiormente in grado di influenzare le decisioni di semina degli agricoltori. Vale in Europa, e vale, naturalmente, anche in Italia.
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Pesano anche le nuove linee della riforma della Politica Agricola Comune (Pac), entrata in vigore lo scorso gennaio. Dove possibile, spiega infatti Marco Speziali, presidente di Confai Mantova e uno dei più importanti contoterzisti a livello nazionale, "gli agricoltori si stanno orientando verso l'agricoltura di precisione, dalla minima lavorazione alla semina su sodo, con l'obiettivo di ridurre i costi legati al lavoro, agli input, al gasolio utilizzato, puntando dunque su benefici di natura economica, ambientale, sociale e, quando previsti, sui contributi dei Programmi di Sviluppo Rurale che incentivano pratiche agronomiche a basso impatto". Allo stesso tempo, in parte anche i contributi spingono, almeno un po', le semine da una parte o dall'altra.
Un altro fattore che influisce sulle semine primaverili per l'annata 2023 è legato a quanto è già stato seminato lo scorso autunno. "Dal nostro Osservatorio - dichiara Annachiara Saguatti, senior Market Analyst di Areté - abbiamo registrato un aumento delle semine di cereali autunno vernini, tanto per il frumento tenero quanto per il frumento duro".
Le stime di Areté evidenziano una crescita delle superfici seminate a grano duro nell'ordine del 10-15% nel Centro Nord, con minori oscillazioni al Sud, dove la coltura è storicamente più presente, e un'accelerazione del frumento tenero fra il +7% e il +9%. "Gli orientamenti degli agricoltori verso i grani autunno vernini si spiegano con prezzi di mercato che all'epoca delle semine erano addirittura più favorevoli rispetto alle quotazioni attuali - prosegue Annachiara Saguatti - ma anche per fattori agronomici, legati a un minore fabbisogno idrico, all'epoca di raccolta che avviene fra giugno e luglio, e una minore richiesta di fertilizzanti che, per quanto i prezzi siano calati del 40% rispetto all'anno scorso, si posizionano pur sempre su valori elevati".
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Secondo i dati elaborati da Areté, la campagna primaverile dovrebbe portare ad una ulteriore leggera riduzione delle superfici a mais, concentrate nell'area padana, dove è più forte la zootecnia, con un assestamento al di sotto dei 600mila ettari.
Resta il fatto che, come mette in luce Ivan Nardone, responsabile nazionale delle Colture Cerealicole per Cia - Agricoltori Italiani, "la campagna del 2022 ha visto il più basso livello di superfici coltivate a mais, con minimo storico di 564mila ettari. Le condizioni climatiche con una siccità estiva senza precedenti, hanno ridotto la produzione italiana ad appena 4,7 milioni di tonnellate di mais da granella, la stessa produzione del 1972". Numeri che indicano che "forse per la prima volta il Paese è sotto il 50% del tasso di approvvigionamento".
Pesa anche l'elemento Politica Agricola Comune. "Sul fronte Pac - chiarisce Nardone -, il quinquennio 2023-2027 apre una stagione con nuove regole, impegni aggiuntivi e pagamenti in contrazione: per il mais il taglio sui pagamenti diretti arriva al 40% e si hanno pochi strumenti di integrazione. L'Ecoschema 4 permette di recuperare poche risorse con l'utilizzo dell'agricoltura integrata, mentre non sono previsti pagamenti accoppiati e lo stesso premio ridistributivo per i primi 14 ettari, difficilmente coinvolgerà tanti maidicoltori, poiché la misura è prevista per le sole aziende sotto i 50 ettari". Lo scenario, dunque, è di incertezza, anche in questa fase a ridosso delle semine.
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Secondo le previsioni del Coceral, l'Associazione europea che si occupa di trading di cereali e semi oleosi, l'Italia dovrebbe attestarsi sui 560mila ettari coltivati a mais, -3% rispetto al 2022. Quello che invece sembra abbastanza certo, almeno a sentire alcuni agricoltori, è che "la scelta delle sementi cade su varietà precoci, così da cercare di ridurre lo stress idrico, in caso di siccità", sostiene Fabio Perini, presidente di FedagriPesca Lombardia. E sul fronte razionalizzazione dell'acqua, è stato ridotto il flusso di uscita dell'acqua dal Lago di Garda, un bacino di primaria importanza per il Nord Italia, proprio allo scopo di mantenere le riserve nel bacino lacustre.
A livello di Unione Europea, le stime del Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti, riportate da Teseo, indicano un calo delle produzioni nei 27 Paesi del 23,6% rispetto al 2022, legato inevitabilmente a una contrazione delle superfici e, forse, all'impatto di una siccità e di un aumento delle temperature che i meteorologi - a partire dal fenomeno de El Niño - danno sempre più spesso per probabile.
Freccia rossa anche per il riso, una delle colture più a rischio in caso di siccità. L'Ente Nazionale Risi, che ancora non ha emesso un dato ufficiale, parla di una flessione possibile del 4% rispetto al 2022, con le maggiori riduzioni nell'area fra Piemonte e Lomellina, un anno fa duramente messe alla prova dalla carenza idrica. Per Coldiretti, a causa della siccità verranno coltivati quest'anno in Italia quasi 8mila ettari di riso in meno per un totale di appena 211mila ettari, ai minimi da trenta anni.
Stime in crescita, invece, per soia e semi oleosi. "Dovremmo attestarci - preconizza Annachiara Saguatti di Areté - sui 370mila ettari per la soia e 115mila ettari per il girasole". Anche in questo caso, sono le proiezioni dei mercati, con quotazioni che dovrebbero mantenersi elevate, a dare una spinta decisiva nelle scelte degli agricoltori.
Secondo Areté sembra ci sia un rimbalzo positivo delle semine anche di erba medica, che dovrebbe risalire oltre i 700mila ettari. Un incremento nell'ordine del 4% su base tendenziale, che segue a il calo del 2022.
Anche la barbabietola, in parte spinta dalla possibilità di una valorizzazione dei sottoprodotti a scopo energetico, potrebbe fare ritorno sui campi italiani, per quanto la decimazione avvenuta con la riforma dell'Ocm Zucchero all'epoca del commissario Mariann Fischer-Boel, abbia fortemente ridotto la capacità industriale italiana, lasciando la maggior parte del mercato saccarifero in mano ai colossi operanti in Francia, Germania, Austria.
Stime in crescita anche per le produzioni di pomodoro da industria, con gli agricoltori ormai da anni alle prese con semine all'oscuro dei contratti di conferimento, che vengono sistematicamente siglati con i vivai già colmi di piantine. Secondo il World Processing Tomato Council, le produzioni italiane (si parla di produzioni e non di superfici, Ndr) dovrebbero crescere del 3-4% rispetto all'anno scorso. Una campagna, quella del 2022, caratterizzata da picchi produttivi non forse entusiasmanti per l'eccessivo calore delle temperature, ma caratterizzata da una elevata qualità, grazie all'assenza di malattie fungine che hanno regalato una produzione sana.