Lunga vita ai diritti di reimpianto dei vigneti, e anche alle quote zucchero. E le quote latte?

A spulciare tra i chili di carta zeppi di documenti (evviva la semplificazione!), regolamenti e analisi d'impatto in cui si dibatte il negoziato sulla riforma Pac, qualche traccia importante si trova anche su questo fronte.

Nel resoconto della relazione dell'eurodeputato Dantin sull'Ocm unica, in effetti, e nel dibattito sulla decisione di abbandono delle quote latte, gli europarlamentari hanno concordato come il pacchetto latte non possa essere considerato sufficientemente alternativo ad esse, chiedendo quindi di individuare ulteriori strumenti.

Tradotto dal politichese, la soluzione all'abbandono delle quote latte, già deciso con l'ultima riforma per il 2015, non può essere solo quel pasticcio del pacchetto latte, molto ben impostato sul piano del principio della contrattazione sui mercati, ma che pone molti dubbi sulla sua capacità di garantire l'impatto morbido promesso da Bruxelles agli allevatori.
E, infatti, un emendamento accolto nella relazione Dantin prevede in caso di crisi, la possibilità che la Commissione dia un aiuto a chi riduce volontariamente la sua produzione di almeno il 5% rispetto all'anno precedente, imponendo un prelievo a carico degli allevatori che producono di più.
Una versione più moderna della 'tassa di corresponsabilità', cioè il meccanismo vigente negli anni '80, che non servì a drenare le eccedenze, spianando la strada proprio alle quote latte.

Potrebbe però essere questa la prima pietra su cui costruire, se proprio le quote devono finire, un qualche altro sistema in grado di evitare un impatto traumatico sul settore.

Ma di tutto questo in Italia non interessa a nessuno. Certo, nel nostro Paese parlare di quote latte è effettivamente imbarazzante per lo scandalo dei quattro miliardi di euro di multe scaricate sulle tasche dei contribuenti e degli allevatori onesti. Un tabù, che induce la delegazione italiana impegnata nel negoziato comunitario a tenersi a debita distanza dal fronte dei Paesi che chiedono di evitare lo smantellamento delle quote.

 

Ma c'è un problema di equità. Eccome se c'è.
Non sono forse altrettanto arcaici i diritti di reimpianto e le quote zucchero? E non hanno anche loro molti peccati da farsi perdonare? Proprio in questi giorni la Commissione europea ha chiesto indietro all'Italia 120 milioni di euro per irregolarità varie, di cui poco meno di 100 milioni sono dovuti proprio a impianti di vigneti senza diritto di (re)impianto.

E che dire dello zucchero? Una Ocm durata mezzo secolo e che aveva fatto della bietola la coltura del benessere economico di molte zone agricole. Poi, all'improvviso, una riforma devastante che in un batter di ciglio ha spazzato via in Italia 17 zuccherifici su 21.
In cambio, però, Bruxelles ha riversato una valanga di soldi (600-700 milioni) nelle tasche delle malmesse industrie saccarifere made in Italy, compreso un lauto lascito anche alle associazioni dei bieticoltori partner di molti impianti di lavorazione, sui cui Confagricoltura e Coldiretti hanno ingaggiato una dura battaglia legale. Quello sì, un impatto morbido.

Cè poi anche un problema di impatto economico, che fa il pari con quello del vino. I viticoltori temono che senza i diritti di reimpianto possa esserci un'esplosione produttiva, un crollo dei prezzi e anche dei valori fondiari dei vigneti.
Ma lo stesso vale anche per gli allevatori onesti, che hanno investito miliardi di euro per comprare quote per non incappare nelle multe e dare un futuro alla propria azienda: con la fine delle quote latte avrebbero anche una svalutazione degli asset aziendali. E con le grandi "fabbriche bianche" del Nord Europa pronte a riaprire i rubinetti delle mucche, altro che accordi scritti e Op per fronteggiare l'inevitabile crollo dei prezzi.

Ma non è solo una nostra previsione. Basta fare un giro tra le stesse associazioni agricole per capire che nelle stalle non si dormono sonni tranquilli. Lo sostiene da tempo la Confagricoltura, ma anche il responsabile del settore lattiero-caseario di Fedagri, Mario Abrate, membro del Copa-Cogeca e vicepresidente del gruppo lattiero-caseario europeo.

Anche per Marco Lucchini, un ingegnere meccanico prestato alla zootecnia, presidente di Agri Piacenza Latte - una delle più importanti Associazioni di produttori latte con 200 soci e due milioni di quintali di latte, sparsi tra Emilia Romagna, Lombardia e Friuli - abbandonare le pur controverse quote latte senza un piano strategico per l'export dei formaggi Dop, avrebbe conseguenze molto pesanti su quella fetta di latte italiano non destinato ai grandi formaggi Dop e alle produzioni di nicchia.

Ma per fare questo bisognerebbe produrre più formaggi Dop, primi tra tutti Parmigiano e Grana Padano, non introdurre invece i tetti produttivi, salutati in Italia come "fiore all'occhiello" del pacchetto latte.

C'è, per dovere di cronaca, da ricordare anche chi è nettamente contrario al mantenimento delle quote: la Cia, fin dai tempi del compianto presidente storico, Peppino Avolio; la Coldiretti, dalla cui costola sono poi nati i famosi cobas del latte che hanno animato lo scontro agricolo più duro nelle campagne italiane dai tempi delle lotte contadine; e c'è la Copagri, che ha cooptato nella sua Confederazione una larga fetta di quei Cobas pentiti.

E con il mondo agricolo ancora una volta diviso sulle questioni concrete, non saranno certo i vertici istituzionali italiani a portare avanti questa battaglia. Impegnati come sono sull'altro fronte delle multe arretrate mai pagate dai Cobas, cui fanno fatica anche a revocare le quote generosamente assegnate dai tempi del ministro Zaia, a patto che poi pagassero a rate le multe milionarie.

Cosa che ovviamente non hanno mai fatto.