Quando la patata arrivò in Europa nel Cinquecento fu accolta con scetticismo dai contadini dell'epoca. Questa nuova coltura, proveniente dall'America, era guardata con sospetto e timore, anche perché alcune persone erroneamente ne mangiavano i frutti, che a causa della presenza di solanina sono velenosi. Fu Luigi XVI, a metà del Settecento, che ne promosse la coltivazione e lo fece con uno stratagemma.

Il re fece coltivare la patata in una zona recintata presso i giardini di Champ de Mars, nel cuore di Parigi, e mise a guardia delle piante dei gendarmi. Sparse poi la voce che in quel terreno crescesse una pianta buona e dagli effetti prodigiosi. Così facendo in breve tempo il re convinse indirettamente i contadini della bontà della nuova coltura, la cui coltivazione si espanse a macchia d'olio.

Questo esempio è la prova di come l'innovazione e il trasferimento tecnologico siano tutt'altro che scontati. Non basta scoprire o inventare qualcosa di buono e conveniente perché questo venga adottato. L'innovazione è ardua in tutti i settori economici e in particolar modo in agricoltura.

"Ma è solo attraverso l'innovazione che il settore primario può aspirare a risolvere l'equazione che si trova davanti: produrre cibo in maniera sostenibile per l'ambiente, ma anche per le aziende agricole", spiega Angelo Riccaboni, coordinatore del progetto Siena food lab e presidente della Fondazione Prima.


Dare il buon esempio per facilitare l'innovazione

Siena food lab è un progetto di trasferimento tecnologico nato per facilitare il dialogo tra imprese, innovatori, istituzioni e centri di ricerca. Promosso da Fondazione Monte dei Paschi di Siena e Santa Chiara Lab (Università di Siena), il progetto opera nel perimetro dell'agroalimentare toscano.

Nel corso del 2021 ben sessanta aziende della provincia di Siena (sono aperte le iscrizioni) verranno coinvolte in un percorso di trasferimento tecnologico tagliato su misura. Verranno selezionate venti imprese del settore vitivinicolo (il bando scade il 18 gennaio prossimo), venti di quello olivicolo e venti di quello cerealicolo.

"L'idea è quella di mostrare in maniera chiara e direttamente in campo i vantaggi che si possono ottenere da una gestione di precisione dei campi", spiega Riccaboni. "Per ogni azienda verranno messi a punto due progetti. Il primo prevede un investimento minimo, mentre il secondo permette di trarre il massimo vantaggio dall'innovazione. Sarà così l'imprenditore a decidere quanto desidera innovare".

Per facilitare il trasferimento tecnologico sul territorio si vuole partire dall'emulazione. Quando ognuno dei sessanta agricoltori avrà testato e compreso i benefici dell'agricoltura di precisione ne parlerà con amici e vicini, dando vita ad un circolo virtuoso. L'auspicio è che l'agricoltura di precisione diventi desiderabile, come la patata lo divenne grazie all'esempio di Luigi XVI.

"Le aziende sono sempre prudenti quando si parla di innovazione perché innovare comporta mettere in discussione l'esistente. Quello che vogliamo fare è creare sessanta aziende ambasciatrici che testimonino che si può innovare senza stravolgere l'identità di una azienda", sottolinea Riccaboni.


Gli ostacoli all'innovazione in agricoltura

Mettere in atto il trasferimento tecnologico nel settore primario è complesso per una serie di fattori.
Vediamone alcuni:
  • La dimensione ridotta delle imprese spesso non consente di allocare risorse per l'innovazione, neppure dal punto di vista del capitale umano.
  • La mentalità di molti agricoltori è spesso conservatrice, complice anche l'età media avanzata (siamo a sessantacinque anni).
  • Molti comparti sono poveri, nel senso che i margini di guadagno sono risicati e quindi c'è il timore che l'investimento non generi un sufficiente ritorno economico per ripagarsi.
  • Alcune tecnologie sono ancora in una fase di rodaggio, se non sperimentali, e questo rende il loro uso complesso e non sempre soddisfacente.
  • Come tutti i settori sussidiati per l'agricoltore è meno forte il legame tra performance aziendale e redditività. E dunque è disincentivato dall'innovare per aumentare la prima.
  • La frammentazione dei fondi rende meno conveniente l'adozione di alcune tecnologie, come ad esempio la guida assistita.
  • La mancanza da parte dei ricercatori (e di figure intermedie) di un impegno concreto nel trasferire conoscenze e tecnologie agli agricoltori.
  • Una preparazione non sempre sufficiente dei tecnici consulenti riguardo alle nuove tecnologie.


Disseminazione e trasferimento tecnologico

L'Unione europea investe ingenti risorse per fare innovazione nel settore primario. Lo fa ad esempio tramite i Psr con la misura 16, attraverso programmi verticali come Life, i Por-Fesr, Horizon 2020 e altro ancora. Ogni progetto finanziato dall'Ue ha anche una parte di disseminazione, la comunicazione cioè agli stakeholder (chi è interessato all'argomento) di obiettivi e risultati.

Prima (Partnership for research and innovation in the mediterranean area) è un ambizioso progetto di ricerca Pan-Mediterraneo che coinvolge diciannove Stati (di cui undici Ue) e che ha come obiettivo quello di ridurre la frammentazione delle iniziative esistenti e di promuovere soluzioni e progetti di innovazione e ricerca in tre strategiche aree tematiche: gestione delle risorse idriche, agricoltura sostenibile, cibo e filiera alimentare.
 
La dote è consistente, circa 500 milioni di euro (in parte sborsati dagli Stati e in parte dall'Ue tramite il programma Horizon 2020) e sta finanziando numerosi progetti di ricerca in un arco temporale di sette anni. Sul sito di Prima observatory on innovation sono disponibili i risultati dei primi progetti che si stanno per concludere e anche una sezione dedicata alle buone pratiche mese in campo da aziende in tutta Italia. Benché non si tratti di un vero e proprio trasferimento tecnologico, è uno strumento utile per quelle aziende che vogliono innovare e sono alla ricerca di tecnologie ed ispirazione.