Rieccola l'influenza aviaria, prima in un allevamento di broiler in Friuli Venezia Giulia, a fine settembre, e qualche giorno fa in Veneto, nella veronese Oppeano, in un allevamento di tacchini.
Le preoccupazioni delle scorse settimane di quanti temevano nuovi focolai in coincidenza con l'autunno e con la stagione migratoria dei selvatici erano più che motivate.
Il virus è riuscito a eludere le misure di biosicurezza degli allevamenti che ora si trovano ancora una volta a fare i conti con abbattimenti, vincoli alle movimentazioni di animali nelle zone di protezione (3 chilometri di raggio dal focolaio) e di sorveglianza (10 chilometri di raggio).
Il contagio in Veneto
Un contagio, questo registrato in Veneto, che arriva con due mesi di anticipo rispetto allo scorso anno, quando in questa regione si registrarono 25 dei 56 focolai scoppiati in Italia.
Questa forte diffusione del virus è almeno in parte una conseguenza dell'elevata presenza di allevamenti avicoli in alcune aree del Veneto.
Una concentrazione di allevamenti in aree ristrette che favorisce il passaggio del virus da un'azienda all'altra, a dispetto di tutte le misure di prevenzione adottate.
Un motivo in più per pensare a una "ristrutturazione" del comparto avicolo, come già suggerito da AgroNotizie®.
Danni ingenti
Consapevole dell'elevato rischio per il comparto avicolo, la Regione Veneto aveva emanato a fine settembre un'ordinanza (si veda AgroNotizie®) per intensificare le misure di contrasto all'influenza aviaria.
Misure più restrittive certo utili a ridurre la pressione virale, ma non risolutive. Ora siamo di fronte a un nuovo focolaio al quale presumibilmente ne seguiranno altri che imporranno misure draconiane per contenere la diffusione di un patogeno che alla resistenza associa una forte virulenza.
Pesanti le conseguenze economiche per gli allevamenti e sarebbe necessario accelerare i tempi di ristorno dei danni subiti, che troppo sovente avvengono con pesanti ritardi.
Peste suina africana
Rialza la testa anche la peste suina africana, che ora si è presentata in provincia di Lucca, dove ha infettato i cinghiali.
La Asl Toscana Nord Ovest ha confermato la presenza del virus che costringe ad attuare più stringenti misure di biosicurezza negli allevamenti di suini.
Fra le misure in programma figurano l'abbattimento dei cinghiali, la limitazione delle attività venatorie e la realizzazione di barriere fisiche per limitare lo spostamento dei selvatici.
In conseguenza di questo focolaio il commissario straordinario per questa patologia, Giovanni Filippini, ha emanato una nuova ordinanza con la quale si dettano le misure da attuare.
Fra queste un rafforzamento nella ricerca del virus nella popolazione dei cinghiali anche con l'impiego di cani molecolari.
Alla Regione il compito di individuare i target di abbattimento nelle aree interessate.
Situazione sotto controllo
Mentre sale l'allerta in Toscana, dall'Istituto Zooprofilattico del Piemonte arrivano notizie confortanti sull'evoluzione della peste suina africana.
A metà ottobre il numero dei focolai da inizio emergenza è fermo sia in Liguria sia in Piemonte.
Incoraggianti i dati che provengono dalla Lombardia che negli ultimi tre mesi non ha segnalato nuovi episodi della malattia.
Cosa ancor più importante è l'assenza su tutto il territorio nazionale di nuovi casi negli allevamenti di suini.
Come evidenziato dalla tabella che segue, il numero complessivo di focolai nei suini è fermo a 53, mentre nei cinghiali negli ultimi tre mesi si sono registrati 104 nuovi episodi.
Qualche preoccupazione in più per la provincia di Parma, nella quale l'allevamento del suino è diffuso e dove si è verificato un significativo aumento dei casi di peste suina africana nei cinghiali.

Evoluzione della peste suina africana dal primo gennaio 2022 al 15 ottobre 2025. Variazione dei casi positivi nei cinghiali dal 14 luglio al 15 ottobre
(Fonte: elaborazione da dati Istituto Zooprofilattico dell'Abruzzo e del Molise)
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