Il progetto di innovazione per la difesa del kiwi e di valorizzazione dei suoi frutti, approvato dalla Regione Veneto e portato avanti dall'Università di Verona, è ufficialmente concluso e ha dato i suoi frutti, sia per quanto riguarda la parte tesa a valorizzare il benessere psicofisico che deriva dal consumo di kiwi (parte coordinata dalla professoressa Flavia Guzzo) sia per quanto riguarda la difesa della pianta dal Psa.
In particolare sulla problematica della batteriosi si è concentrato il team del Laboratorio di Fitopatologia del dipartimento di Biotecnologie, coordinato dalla professoressa Annalisa Polverari.
"Sicuramente non abbiamo la bacchetta magica, ma abbiamo acquisito conoscenze e prodotto nuovi strumenti che, anche in tempi relativamente brevi, potranno dare un buon contributo al controllo del Psa, una volta sviluppati a livello industriale. Un controllo che sia a basso impatto ambientale", ha detto proprio Annalisa Polverari ad AgroNotizie.
Sono stati depositati due brevetti, l'uno che riguarda molecole in grado di bloccare la patogenicità del batterio, l'altro basato sull'impiego di estratti vegetali che lo neutralizzano.
"Da un lato - ha continuato Annalisa Polverari - abbiamo proceduto allo screening di 500 molecole naturali individuandone una ventina che sono in grado di inibire l'attacco del batterio alla pianta".
Le molecole individuate vanno ad agire sul meccanismo d'attivazione di una sorta di siringa molecolare, il metodo attraverso il quale il batterio inietta all'interno della cellula fattori di aggressione che poi costringono la pianta a collaborare e a inviare al batterio stesso acqua ed elementi nutritivi. "Invece di cercare di uccidere il batterio abbiamo indagato i suoi punti deboli. Un metodo interessante che potrebbe funzionare anche per altre malattie batteriche".
Dall'altro lato il team capitanato dalla Polverari ha cercato soluzioni che possano trovare applicazione in tempi più stretti e la cui efficacia è stata già provata, in serra. "Abbiamo individuato estratti vegetali in grado di bloccare il Psa. In particolare ce n'è uno più efficace di altri, si tratta di un estratto di tè verde. Ovviamente non avrà l'efficacia di un formulato chimico, ma sicuramente va nella direzione di ridurre l'impatto ambientale della difesa antibatterica e potrebbe essere decisivo combinato con altre forme di controllo, per esempio il rame, in modo da ridurne l'impiego".
C'è poi un altro fronte esplorato dal team dell'Università di Verona che si concentra su estratti di piante già noti e già pronti all'uso. In questo caso i ricercatori hanno lavorato in campo, in una stagione come quella 2017 in cui ci sono state gelate e grandinate. La novità consiste nella formulazione di questi estratti, in particolare cinnamaldeide e carvacrolo.
"Gli estratti - ha raccontato ancora ad AgroNotizie Annalisa Polverari - sono stati usati in nanoemulsioni in modo che possano penetrare all'interno della foglia. Abbiamo verificato una protezione molto elevata, soprattutto per la cinnamaldeide. Ora si tratta solo di ripetere le prove i prossimi anni e di trovare chi abbia voglia di investire in questi formulati".
Il materiale raccolto dal Laboratorio di Fitopatologia è molto e i fronti su cui lavorare ancora sono diversi ma la professoressa è convinta di avere in mano qualche cosa di molto interessante: "In soli due anni e mezzo abbiamo acquisito conoscenze che, siamo convinti, saranno molto utili per combattere il batterio in un'ottica di difesa integrata".