Le importazioni scendono nel primo quadrimestre 2019, ma cresce il valore. Qual è la tendenza per i prossimi mesi?
“L’import di cereali è sceso a fine 2018 perché i magazzini nei porti italiani erano stracolmi. Oggi le scorte si sono dimezzate e questo ha influenzato l’attività del primo trimestre, dedicato appunto allo smaltimento dell’immagazzinato. I prossimi mesi li vedo in linea con lo scorso anno: al massimo con una leggera crescita dei quantitativi importati, per non dire totale stazionarietà. Ci sono, infatti, alcuni fattori che possono indurre a un calo dei consumi. Penso, ad esempio, al caldo e alla minore alimentazione degli animali e al prezzo della carne in crescita in conseguenza delle guerre commerciali tra Usa e Cina. Bisogna osservare anche le dinamiche dei raccolti nel Centro Europa: i porti verranno penalizzati a favore del trasporto su rotaia”.
Quali sono le possibili conseguenze sui mercati cerealicoli delle guerre commerciali a livello mondiale?
“Le conseguenze portano al cambiamento dei flussi tradizionali dei cereali. C’è un riposizionamento dei paesi produttori di materia prima cerealicola rispetto alle destinazioni che non cambiano. I dazi rappresentano un costo in più e nel medio termine incideranno sulla quantità di materia prima trasformata”.
Che prospettive ha l'export made in Italy in questo settore?
“Parliamo dell’unica industria italiana con il segno positivo. Ma anche qui cerchiamo di farci del male da soli, accusando determinati prodotti italiani perché utilizzano materia prima importata nel rispetto di qualità e salubrità, certificate da regole rigide, controlli e auto-controlli. Dovremmo tutti spingere il nostro made in Italy invece di dividerci in vane polemiche. All’estero ci sono ancora quote di mercato da conquistare”.
La questione glifosate sorta in merito all'import di grano canadese può dare slancio e nuove prospettive di sviluppo al grano italiano?
“E’ una questione che deve trovare una soluzione a livello di Unione europea. E’ ora che la Comunità si faccia carico di interloquire con i paesi d’origine dei cerali in modo che certe metodologie produttive vengano modificate. Dobbiamo renderci conto che abbiamo un prodotto, come la pasta, leader nel mondo. Però il grano italiano prodotto copre soltanto il 50% del fabbisogno dell’industria. Quindi il grano italiano è già tutto utilizzato, ma non basta. Mi porrei piuttosto una domanda: l’agricoltura italiana come può riuscire a produrre un grano con maggiori qualità organolettiche in maniera tale che l’industria di trasformazione possa pagare premi qualitativi ai nostri agricoltori? Rispondere a questo quesito aiuterebbe tutta la catena, dalla materia prima al prodotto finito”.