Nei suoi romanzi del cosiddetto 'Ciclo della Fondazione', Isaac Asimov – uno degli scrittori più celebri del secolo scorso – descrive Trantor, la capitale dell'Impero Galattico, come un pianeta interamente ricoperto da un'enorme megalopoli, in cui le uniche aree scampate all’urbanizzazione sono quella del palazzo imperiale e dell'università.
Un pianeta che per sostenere i suoi 25 miliardi di abitanti dipende completamente dalla produzione di colonie agricole.
Fantascienza? Senz’altro, ma di certo lo scenario assume connotati inquietanti e premonitori se letto alla luce di due elementi: nell’immaginare il suo impero galattico, Asimov si ispirò profondamente a quello romano e, soprattutto, nonostante l’Italia non sia da secoli capitale di alcunché di simile a un impero, negli ultimi 40 anni la superficie agricola nazionale è passata da 18 a 13 milioni di ettari, con una perdita netta di oltre il 25% della Sau e ancora oggi, in base ai dati Ispra, si perdono giornalmente 100 ettari di terreno.

"Sono dati che devono farci riflettere sul fatto che il problema del consumo del suolo nel nostro Paese deve essere una priorità da affrontare e contrastare", ha detto il ministro delle Politiche agricole, Mario Catania, nel corso dell’evento 'Costruire il futuro: difendere l’agricoltura dalla cementificazione', organizzato dal Mipaaf presso la Biblioteca della Camera dei Deputati a Palazzo San Macuto.

"In un quadro come quello italiano, che da questo punto di vista non è assolutamente virtuoso - ha dichiarato Catania - dobbiamo invertire la rotta di un trend gravissimo che richiede un intervento in tempi rapidi. Serve una battaglia di civiltà, per rimettere l’agricoltura al centro di quel modello di sviluppo che vogliamo dare al nostro Paese. Non penso, naturalmente, a un ritorno a un paese agreste, ma immagino uno Stato che rispetti il proprio territorio e che salvaguardia le proprie potenzialità. Noi usciremo vincenti da questa crisi se lo faremo con un nuovo modello di crescita che passa necessariamente attraverso questi temi. Sono spesso, infatti, proprio questi passaggi difficili quelli utili a dare una svolta".

"Nel corso della storia – ha spiegato Catania – si sono alternate epoche in cui la campagna ha vissuto dei momenti di splendore e dei momenti di abbandono. Ma erano fasi fisiologiche, determinate dal progresso. In epoca recente, in questa alternanza, si è inserito un fattore che ha reso il consumo del suolo un processo irreversibile: la cementificazione.

E' un fenomeno che ha un impatto fortissimo sulle aree agricole del nostro Paese, ma diventa ancora di più preoccupante quando lo vediamo concentrato in quelle zone altamente produttive, ad esempio sulle pianure. E' qualcosa di devastante sia per l'ambiente sia per l'impresa agricola, con effetti negativi sul volume della produzione. La sottrazione di superfici alle coltivazioni abbatte la produzione agricola, ha un effetto nefasto sul paesaggio e, di conseguenza, sul turismo. Tutto ciò – ha aggiunto il ministro – avviene in un Paese come il nostro dove il livello di approvvigionamento è molto basso, dato che almeno il 20% dei consumi nazionali è coperto dalle importazioni.
Qual è il nostro compito? Dobbiamo aggredire le cause di questo processo, serve una nuova visione economica, un diverso modello di sviluppo.
Bisogna anche contrastare l’aggressività di alcuni poteri forti, l'assenza di regole, dobbiamo modificare una certa cecità della politica, introducendo un cambiamento normativo nel meccanismo di spesa degli oneri di urbanizzazione che vanno nelle casse dei Comuni. Purtroppo, su questo aspetto, ancora manca una visione complessiva da parte di molti. Questa battaglia –
ha spiegato Catania – è invece talmente importante che non la si vince con la singola iniziativa isolata, ma lavorando insieme, attraverso suggerimenti e il dialogo".

 

 

Da sinistra: Sergio Rizzo, Mario Catania e Carlo Petrini

 

 

Al convegno, nel corso del quale Catania ha presentato un disegno di legge sul tema, hanno partecipato come relatori Sergio Rizzo, giornalista del Corriere della Sera, e Carlo Petrini, fondatore di Slow Food.

Petrini, nel corso del suo intervento, ha spiegato: "Dobbiamo riuscire a cogliere il senso di questa proposta, che non deve essere solo riconducibile alla dimensione di un ministero, ma deve porsi come un’indicazione sul modello di sviluppo che riguarda l’intero sistema-paese, che dovrebbe essere sensibile a una riflessione di questo tipo. L’Italia – ha sottolineato – è sotto lo schiaffo di una situazione speculativa di proporzioni inimmaginabili, c’è bisogno che tutti avvertano la necessità di cambiare l’attuale paradigma produttivo. Noi paghiamo poco gli agricoltori, ma quando perderemo i veri presidi da loro costituiti, e ce ne renderemo conto, sarà troppo tardi. Nel nostro Paese non c'è la responsabilità di sapere cosa fa un agricoltore, mentre tutti dovrebbero sapere che non coltiva solo i frutti della terra, ma preserva l'ecosistema, la tutela del paesaggio, la memoria storica. L’agricoltura va al di là della semplice produzione di cibo".

Rizzo ha aggiunto: "I Padri costituenti avevano già capito tutto, tanto è vero che in uno degli articoli fondamentali della Carta avevano introdotto la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione. Il nostro Paese non ha riserve di gas, non ha giacimenti di petrolio, non ha miniere di diamanti, ma ha un paesaggio unico. E invece che far leva su questo spesso si pensa a cementificare il territorio. Ci sono – ha spiegato – aree dell’Italia dove a una bassa crescita demografica si associa un alto tasso di cementificazione. C’è qualcuno che ha detto che ‘dai campi di sterminio siamo passati allo sterminio dei campi’. Dobbiamo rendercene conto e capire che si può ripartire dalla terra. Un governo che abbia un senso di quello che, da questo punto di vista, può dare il Paese deve proporre un piano straordinario di rivalutazione ambientale".

Tutti d’accordo, dunque, sulla impellente necessità che il paese inizi una brusca virata verso una prospettiva economica, sociale e culturale che ponga il mero reddito ai margini di un palcoscenico dominato da individui e ambiente come attori principali.

La scintilla che potrebbe portare a questa vera e propria rivoluzione, potrebbe essere il disegno di legge presentato dal ministro e che si articola su quattro punti principali: un limite prefissato al consumo di superficie agricola per fini edificatori; un divieto di mutazione della destinazione per i terreni che anno beneficiato di aiuti di Stato; incentivi ai soggetti pubblici o privati che investano nel recupero di edifici nei nuclei abitati rurali e, soprattutto, l’abrogazione della legge (24/2007 art. 2, c. 8 e ss.mm.) che ha trasformato la riscossione degli oneri concessori in un vero e proprio incontrollato sistema dei comuni per fare cassa.

Il cisegno di legge, definito chiaramente come una “bozza” e un “primo passo” si pone quale traguardo, come ha detto il ministro, "quello di riportare il territorio, l’agricoltura e il giusto rapporto tra uomo e natura, al centro dell’Italia che vogliamo nei prossimi 50 anni". Si tratta senz’altro di un obiettivo ambizioso che non potrà essere perseguito senza una condivisione dello spirito che lo permea e una collaborazione fattiva tra tutti gli elementi delle istituzioni e della cittadinanza.

Commenti positivi sono giunti da più parti nelle ore immediatamente dopo la presentazione, a partire da quelli dei principali sindacati di categoria che rappresentano gli agricoltori e dell’Anbi, nonché da parte del mondo politico, ma il dubbio che assilla chi scrive è se un disegno di legge così virtuoso nelle intenzioni, superata la fase di riscossione degli immancabili apprezzamenti di circostanza, riuscirà a sopravvivere integro agli inevitabili attacchi che subirà durante l’inevitabile iter politico.
Oovvero, se non sarà snaturato o svuotato dei suoi contenuti sotto la pressione dei poteri forti che ne sarebbero danneggiati e in omaggio a quelle politiche mercantilistiche, incapaci di immaginare un futuro successivo alla prossima tornata elettorale.

 

 

 

E' facile prevedere che, al di là delle dichiarazioni davanti ai microfoni e alle telecamere, la norma sarà mal digerita da molti e che scatenerà una battaglia prima in sede di Conferenza Stato – Regioni e poi nei singoli Comuni che, in un clima di conclamata austerity e Spending review, si vedranno sottrarre con gli oneri concessori quelle risorse spesso utilizzate per erogare servizi basilari a una cittadinanza a cui preme di più che gli autobus passino e che la spazzatura sia rimossa ogni giorno, piuttosto che la salvaguardia del futuro di un bene comune che, come tale, viene percepito come “di nessuno”.

Insomma, il fondato sospetto è che si replichi un film già visto: quello in cui tutti in teoria vogliono vivere in un mondo migliore, ma nella pratica nessuno vuole pagare per averlo.

Eppure la battaglia è sacrosanta e non può essere persa, soprattutto se si considera che già ora dipendiamo fortemente dall’importazione di generi alimentari e che le proiezioni economiche ci dicono che i prezzi di ciò che importiamo continueranno a crescere in maniera costante; ma soprattutto che un quadro come questo, già difficilmente sostenibile in tempo di pace, diverrebbe drammatico qualora Giano dovesse mostrare la sua altra faccia in un futuro più o meno prossimo.

Dopo la caduta del suo impero galattico, Asimov fa sopravvive i trantoriani con la vendita dei materiali edili dei ruderi e con un minimo di agricoltura portata avanti sui terreni così recuperati. Anche questa è fantascienza, giacché gli sfortunati italiani di domani dovrebbero allora scoprire che il terreno cementificato non è più in nessun modo recuperabile per l’attività agricola.