Dall'ipotizzare al bandire, però, sembra ci sia una certa differenza, tanto che ancora a oggi il bando non è ancora esecutivo, scatenando le proteste di chi invece lo vorrebbe vedere già attuato, pure snocciolando dati terribili sulle stragi di insetti da essi provocati.
Se fosse vero che gli impollinatori canadesi sono in pericolo a causa degli insetticidi, la decisione governativa sarebbe da considerare sacrosanta. Analizzando però i dati ufficiali relativi all'apicoltura del Paese degli aceri sembra che le cose siano molto differenti da quelle paventate. Anzi, pare proprio che stiano esattamente all'opposto.
L'apicoltura canadese in cifre
Sorpresa: le api canadesi non starebbero affatto declinando come affermato dalle compagini ecologiste e dalla stampa generalista sempre più compiacente in tal senso. Al contrario, negli ultimi anni l'apicoltura canadese sarebbe addirittura cresciuta, almeno stando alle statistiche ufficiali.Considerando infatti il quinquennio 2014-2018, le colonie di api sarebbero passate in Canada da circa 696mila a 796mila. Un +100mila colonie che rappresentano un incremento del 14%, decisamente robusto. Non solo. Anche la produzione totale di miele canadese sarebbe salita da 39mila tonnellate a quasi 43mila. Cioè un +4mila tonnellate pari a circa un +10%.
Nei trend di crescita comparirebbero anche gli apicoltori, i quali sarebbero di concerto cresciuti anch'essi passando dagli 8mila e 900 circa del 2014 ai 10mila e 600 del 2018. In tal caso la percentuale di incremento è del 19,5%. In sostanza, per ogni cinque apicoltori presenti nel 2014 se ne sarebbe aggiunto un altro nei quattro anni successivi. Un vero e proprio boom occupazionale.
Visti i dati summenzionati, risulta quindi bizzarro promuovere il bando dei due neonicotinoidi adducendo come motivazione stragi di api che di fatto non corrispondono a verità. Quella canadese pare quindi iniziativa meramente demagogica che cozza contro dati pubblici facilmente comprensibili da chiunque. Quali sono allora i possibili motivi?
Follow the money
Cosa c'è quindi che non va nell'apicoltura canadese? Crescono le colonie, cresce la produzione di miele e cresce perfino il numero degli apicoltori. Forse il problema è solo di tipo economico.Nel periodo considerato, il valore assoluto del miele canadese, espresso in dollari, è infatti risultato alquanto ballerino, mostrando un valore più consistente quando di miele se ne produceva di meno.
In sostanza, se nel 2014 vi era un valore economico di 23mila e 500 dollari per ogni apicoltore operante sul mercato, oggi il valore medio per apicoltore sarebbe sceso a 18mila e 500. Peggio ancora nel 2017, ove di dollari pro-capite il miele ne ha prodotti solo 17mila e 900.
Detta in altri termini, mentre api e apicoltori crescevano per numero e il miele cresceva per volume, la ricchezza media per operatore diminuiva di 5mila dollari a testa. Un secco -21% che davvero non può essere attribuito né all'agricoltura in genere, né tanto meno agli insetticidi.
Forse, interpretando i dati sopra esposti, si intravedono finalmente le vere ragioni di tanto nervosismo fra gli apicoltori canadesi. Nervosismo subito captato dalle lobby ambientaliste e infine tradotto in un bando chemofobico dal governo locale. Un bando che però non si capisce come possa influire positivamente su un settore che già marcia a pieno regime quanto a numeri, salvo poi lamentare perdite di redditività che con i trattamenti insetticidi nulla pare abbiano a che vedere.
Le risposte ai nervosismi canadesi dovrebbero quindi essere cercate in altre direzioni, come per esempio chiedersi se non sia stato l'eccesso produttivo a fare crollare i prezzi e quindi la redditività pro-capite. Una risposta che imporrebbe però di rivedere profondamente il settore mielicolo canadese. Un settore dove ovviamente nessuno vuole per primo tagliare la propria produzione, attendendo semmai che siano altri a iniziare.
Se nel frattempo verranno banditi i due insetticidi il danno per gli agricoltori sarà invece certo. Ma in tal caso pare che il loro, di nervosismo, non attiri la benevolenza né delle associazioni ambientaliste, né della stampa che troppo spesso le va dietro.