Diamo a Cesare quel che è di Cesare e diamo merito a chi negli scorsi anni ha lanciato la campagna per proteggere il pomodoro italiano dalle importazioni selvagge dalla Cina. Anche il prestigioso Financial Times questa settimana riporta del tonfo delle esportazioni di conserve di pomodoro cinesi in Italia e in Europa.
Secondo i dati delle dogane cinesi, le importazioni italiane di conserve di pomodoro dalla Cina, nei primi 9 mesi dell'anno, sono precipitate a 13 milioni di tonnellate dai 75 milioni dello stesso periodo nel 2024. Nel terzo trimestre di quest'anno le importazioni di conserve di pomodoro dell'Unione Europea sono scese del 67%, quelle italiane del 76%. In pratica, nei magazzini cinesi pare che giacciano 600-700mila tonnellate di prodotto invenduto.
In Cina, nei recenti anni, la coltura del pomodoro da industria si è notevolmente sviluppata nella regione occidentale dello Xinjiang, dove la minoranza turcofona musulmana degli Uiguri è - secondo le denunce di enti sia governativi sia indipendenti - largamente utilizzata in pratiche di lavoro forzato nelle fabbriche e nei campi.
L'anno scorso un documentario della BBC (Blood on the shelves - The secret of Xinjiang tomatoes) ha drammaticamente denunciato la presenza di pomodoro cinese importato (via Italia) nei supermercati inglesi.
La débâcle del pomodoro cinese in Europa e in Italia non dipende quindi da dazi, ma da una maggiore coscienza sia commerciale sia di consumo. Lo ricordiamo spesso: quando facciamo la spesa votiamo. Questa volta pare che abbiamo votato bene.































