Questo il senso della videoconferenza "Superare l'emergenza. I sistemi produttivi del territorio modello per ripartire", promossa da Cia con la partecipazione di istituzioni, mondo delle imprese e della ricerca.
"Il Covid ha avuto effetti drammatici sulla tenuta socio-economica del paese e ha rimesso in discussione tutti i modelli di crescita" ha spiegato il presidente nazionale di Cia, Dino Scanavino. "Ma la pandemia ha reso chiaro a tutti la centralità del settore primario. L'agricoltura ha svolto la funzione di garante dell'approvvigionamento alimentare nazionale. Un impegno straordinario, portato avanti con dedizione e responsabilità dalle aziende, che tuttavia non è stato sufficiente ad arginare crisi e perdite reddituali, soprattutto legate allo stop del canale Horeca (bar, ristoranti) e al crollo delle presenze per gli agriturismi".
Sotto pressione anche la tenuta sociale dei territori, in particolare nelle aree rurali e periferiche del paese, dove molte delle debolezze caratterizzanti l'assetto locale nel periodo pre Covid-19 sono state amplificate. "È il caso dell'arretratezza infrastrutturale, sia fisica che digitale, con cui si è dovuto confrontare sia il sistema produttivo che scolastico" ha osservato Scanavino. "Sono anche venute fuori tutte le problematicità legate al progressivo indebolimento dei servizi sanitari, socio-assistenziali e di pubblica utilità". Al lato opposto, "alcune potenzialità delle aree rurali, come il benessere ambientale, la qualità dell'aria e del paesaggio, sono state cruciali per la popolazione durante il periodo di lockdown e di distanziamento sociale".
Ecco perché ora è il momento di lanciare la "fase 2" del progetto Cia, con la consapevolezza delle nuove sfide che l'emergenza ha prodotto, ma anche con la certezza che l'agricoltura debba giocare da protagonista attiva verso il rilancio dei territori italiani e, più in generale, del sistema paese.
"La ruralità territoriale rappresenta un elemento su cui investire per favorire percorsi di crescita competitiva e di tenuta sociale, frenando lo spopolamento e l'abbandono delle aree interne" ha detto Scanavino. "È chiaro, però, che bisogna accelerare interventi di digitalizzazione e di ammodernamento della rete dei trasporti; sostenere lo sviluppo di una sanità territoriale e di scuole decentrate; agevolare percorsi di aggregazione all'interno delle filiere per costruire sistemi produttivi territoriali; integrare sempre di più l'agricoltura con il turismo e l'enogastronomia di qualità". Insomma, "un progetto ambizioso con un ruolo chiave per l'agricoltura - ha concluso il presidente Cia - che deve essere legittimato e riconosciuto a tutti gli effetti dalle politiche, nazionali ed europee".
La politica ha già cominciato a rispondere alle istanze di Cia. "L'agricoltura ha ricevuto in questi mesi una nuova attenzione ed è stata riportata al centro del discorso pubblico" ha dichiarato Giuseppe Provenzano, ministro per il Sud, intervenendo al webinar. "Abbiamo lavorato, anche insieme agli altri ministeri, tenendo conto del comparto agricolo, era un atto dovuto. Non potevamo dimenticarci di chi ha portato cibo sulle tavole, così come dell'importanza del territorio nella gestione dei servizi, a partire dal versante sanitario. Per ripartire abbiamo ora di grandi opportunità, quella del Green deal e dell'innovazione digitale. Sono importanti anche in termini di miglioramento per il Sud. La prossima settimana - ha concluso il ministro - ci incontreremo con la ministra Bellanova per concentrare lo sforzo attuativo e potenziare le politiche di coesione territoriali".
"I sistemi produttivi legati all'agroalimentare e i lavoratori che ne fanno parte - ha detto Pierpaolo Sileri, viceministro della Salute - ci hanno aiutato durante l'epidemia a superare l'emergenza: la filiera alimentare, insieme ad altri pochissimi settori rimasti attivi, dopo il personale sanitario che ha salvato tante vite, ci hanno consentito di avere un pieno e costante approvvigionamento. Un piccolo baluardo di normalità dal grande valore, perché rappresenta il territorio fatto di comunità, lavoratori, cittadini, risorse. Per questo - ha concluso il viceministro - le aree rurali, anche con vocazione turistica, sono una mappa importante della nostra ripartenza".
Mauro Di Zio, vicepresidente nazionale Cia-agricoltori italiani, ha ribadito che l'emergenza virus ha riacceso la discussione sui futuri modelli di crescita e sviluppo e che in questo contesto Cia intende rilanciare il percorso "L'Italia che vogliamo", ancora più strategico e fondamentale rispetto al recente passato. Cinque gli assi principali del progetto: infrastrutture, governo del territorio, filiera a vocazione territoriale, gestione della fauna selvatica, enti locali e politiche europee.
"Il progetto messo a punto da Cia - ha proseguito Di Zio - sottolinea tra l'altro le numerose criticità economico-sociali che interessano il nostro paese: dalla inadeguatezza delle infrastrutture stradali e del sistema dei trasporti, la mancata realizzazione della banda larga in molte aree interne, la progressiva chiusura dei piccoli istituti scolastici, la problematicità del settore sanitario". "Gli elementi di forza su cui occorre puntare - ha concluso Di Zio - sono ad esempio l'ampia offerta di eccellenze agroalimentari di qualità, la crescita costante dell'interesse per alcune nuove forme di turismo, la mobilità territoriale, per favorire un percorso di sviluppo competitivo".
Dopo gli interventi della dirigenza dell'organizzazione e di alcuni rappresentanti del Governo, ha preso la parola Denis Pantini, responsabile agroalimentare di Nomisma, che ha presentato i risultati di un interessante report elaborato su "Il ruolo economico e produttivo dell'agroalimentare italiano in tempo di Covid-19 e scenari di lungo periodo".
Dallo studio emerge che il coronavirus ha fatto riemergere la strategicità del settore agroalimentare: i consumi di cibo e bevande sono stati e continuano a essere tra i pochi che hanno segnato delle variazioni positive, dimostrandosi anticiclici rispetto alle altre filiere. Mentre sono andate a picco le vendite dei beni non alimentari (-22% in valore nel primo quadrimestre sullo stesso periodo del 2019 e addirittura -52% solo ad aprile), quelle di cibo hanno registrato un aumento, rispettivamente, del +5% nei primi quattro mesi del 2019 e del +6% ad aprile. In particolare, nel periodo più caldo dell'emergenza, ovvero tra il 17 febbraio e il 24 maggio, le vendite alimentari nella grande distribuzione sono cresciute del 13%, trainate da prodotti base della filiera agroalimentare made in Italy: gli acquisti di farine, lieviti, latte e uova, durante la quarantena, si sono impennati del 42% rispetto allo stesso periodo del 2019 e dopo che lo scorso anno segnavano un -0,8%. La pasta (+17%), l'ortofrutta (+15%) e il vino (+11%) sono gli altri prodotti che hanno guadagnato una crescita annua importante.
Lo studio racconta i valori alla base delle scelte di acquisto di food&beverage, individuano i fattori influenti e tracciano possibili scenari. Ne emerge un cittadino che esce dalla crisi pandemica più attento al made in Italy (26%), alla tutela dell'ambiente (22%), alle tipicità del territorio (16%), alla salute (15%) e alla convenienza (14%). Da segnalare poi il boom dell'e-commerce (+160%). Il timore di contatti e assembramenti, unito alla necessità di uscire e spostarsi il meno possibile, ha inoltre portato gli italiani a privilegiare, più di prima, i negozi di vicinato che hanno visto un incremento delle vendite del +5% dal 4 maggio al 21 giugno, rispetto allo stesso periodo del 2019. Con la fine dell'emergenza, però, il momento di gloria di questo format, sembra stia "sfumando". I dati dal 15 al 21 giugno, mostrano un calo del 5% delle vendite a valore.
Guardando in prospettiva, da qui ai prossimi trenta anni, una popolazione italiana più vecchia porterà a una diminuzione dei consumi vicina al 10%. Per sopravvivere al calo della domanda interna, servirà competenza nell'export e nuovi assetti aziendali per produzioni realmente più orientate al consumatore.
Un'interessante analisi sociologica del nostro paese è stata presentata da Giorgio De Rita del Censis, che ha parlato de "La tenuta sociale dei territori". De Rita ha sottolineato che negli ultimi dieci anni il nostro paese corre disperatamente per stare in realtà fermo: i redditi sono bloccati sugli stessi livelli, i consumi non crescono, gli investimenti crollano. Quali le cause di questo fenomeno? Secondo lo studioso sono quattro i fattori di crisi, in primis quella demografica con un progressivo invecchiamento della popolazione che oggi in Italia ha un'età media di 45 anni e il tasso di natalità più basso d'Europa. Solo per avere un parametro di riferimento, si può ricordare che nel 1982 in Italia ogni cento over 60 si contavano 250 under 30, mentre nel 2050 ogni cento over 60 avremo 65 under 35: una trasformazione radicale ed epocale. Secondariamente, per De Rita, abbiamo anche una sostanziale crisi di welfare, che incide sul territorio e che ha portato, negli ultimi dieci anni, le famiglie a sostenere direttamente ben il 94% dell'aumento complessivo della spesa sanitaria. Inoltre, non si può dimenticare la profonda crisi della macchina amministrativa pubblica, che versa in grandi difficoltà ormai da un ventennio, e la crisi dei cosiddetti corpi intermedi.
Come conseguenza a questo scenario tutt'altro che incoraggiante, le famiglie italiane hanno azzerato ogni forma di investimento e hanno iniziato ad accumulare risorse sui conti correnti per la paura del futuro, arrivando solo nel 2020 ad accantonare un cash cautelativo di oltre 74 miliardi di euro. Tra gli elementi positivi scaturiti dall'emergenza virus troviamo la consapevolezza che il benessere individuale passa anche dal benessere collettivo e che nei prossimi anni un ruolo centrale nello sviluppo economico-sociale potrà essere svolto dalle città intermedie e dai territori ad esse correlati.
I lavori del webinar sono proseguiti con un dibattito online al quale hanno partecipato rappresentanti della politica, del mondo imprenditoriale ed associativo.