Numerosi articoli e pubblicazioni muovono infatti reiterate accuse alle nuove varietà di grano e al glutine in esse contenuto, come pure non viene persa occasione di attaccare l'agrochimica in sé, mettendo sul banco degli imputati soprattutto glifosate. Ciò perché l'erbicida viene comunemente rinvenuto nel grano nordamericano e tanto basta per attribuirgli ogni tipo di nefandezza sanitaria.
Circa i reali livelli di glifosate nella pasta, per esempio, si è già approfondito, dimostrando che le tracce di glifosate in essa contenute sono da considerarsi irrisorie al fine di provocare qualsivoglia effetto sull'intestino, sulla flora in esso presente e sulla salute umana in generale. In sostanza, nel lume intestinale transita così poco glifosate, stimabile in pochi microgrammi al giorno quando va male, da risultare inefficace sia nel chelare importanti cationi come il ferro o il molibdeno, sia nell'inibire i tanto menzionati componenti della superfamiglia enzimatica nota come citocromo P450.
Come sempre accade parlando di tossicologia, è infatti la dose a fare il veleno. E quando la dose non c'è, o risulta ampiamente inferiore a quella "efficace", non c'è veleno. Pensare che pochi microgrammi di un erbicida decisamente poco tossico come glifosate, escreti per due terzi con le feci e un terzo con le urine, possano alterare i processi di assorbimento intestinale dei nutrienti e quelli metabolici del corpo umano appare quindi pura fantasia.
Sulle accuse di provocare celiachia, invece, viene data occasione di produrre uno specifico approfondimento, perché numerose sono le illazioni che circolano sull'argomento.
Cos'è la celiachia
Trattasi di una patologia autoimmune, ovvero "una infiammazione cronica dell'intestino tenue, scatenata dall'ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti". Essa provoca una serie alquanto varia di sintomatologie. Fra le più gravi e facilmente individuabili vi è la diarrea persistente, causa a sua volta di malassorbimenti intestinali severi. In tal caso se non viene diagnosticata e quindi curata può portare addirittura al decesso del paziente. E il glutine è presente in tutti i cereali a paglia escluso il riso, quindi soffrire di celiachia ai tempi dei Romani equivaleva praticamente a una condanna a morte. E di casi di celiachia ve ne sono di individuabili fin dall'antichità, grazie ad alcune descrizioni risalenti al primo secolo dell'Era moderna.Di solito, come accade in altre discipline scientifiche, la medicina progredisce mano a mano che aumenta il grado di conoscenza e di esperienza. La prima permette di catalogare una patologia non meglio classificata fino a quel momento. Consente cioè di dare un nome a un quadro diagnostico fin lì nebuloso e vago. La seconda, l'esperienza, fa sì che tale conoscenza diffonda velocemente in ambito medico, mettendo un numero crescente di dottori in grado di diagnosticare quella patologia in modo chiaro e preciso.
Ora, v'è da dire che fino agli anni '80 la celiachia veniva considerata malattia rara, con un solo caso diagnosticato ogni 2mila-3mila persone, prevalentemente bambini. Per avere la certezza della diagnosi era per giunta necessario ricorrere alla biopsia intestinale, unico metodo diagnostico che permettesse di individuare le tipiche lesioni intestinali dovute alla celiachia. Metodo peraltro abbastanza invasivo.
Poi a partire dagli anni '90 arrivarono nuove metodiche, come per esempio la diagnostica sierologica e i test genetici. Ciò rese molto più facile individuare i soggetti celiaci, anche quando portatori di forme "leggere" della patologia. Per esempio si è scoperto che la celiachia può influire persino sulla fertilità. Un sintomo che fino a pochi decenni or sono era sconosciuto.
Grazie proprio alla scoperta dei nuovi metodi, si verificò un progressivo aumento delle diagnosi, portando l'incidenza della celiachia fino all'1% della popolazione mondiale, cioè venti volte tanto quello che era solo una decina di anni prima. Proprio in quegli anni stava spopolando glifosate, crescendo negli Stati Uniti di circa 15 volte negli impieghi in campo grazie soprattutto al lancio delle colture ogm. Fare una correlazione spuria fu quindi tentazione irresistibile, ponendo sullo stesso grafico gli usi di glifosate e i casi di celiachia. Peccato che fra le due variabili non vi fosse alcun legame, perché come si ripete sempre fino allo sfinimento "correlation is not causation". Come pure appare strano che glifosate sia dannoso per lo più verso le donne, dato che il rapporto femmine/maschi relativo alla celiachia si aggira intorno a 3:1.
Per quanto concerne l'Italia, nel 2007 i malati diagnosticati ammontavano a 64.398. Questi sono saliti a 198.427 nel 2016, praticamente triplicati nel volgere di soli dieci anni. Dei 15.569 casi in più, contabilizzati nel 2016 rispetto al 2015, ben 5.499 sono ricaduti in Lombardia, seguita dal Lazio con 1.548 e dall'Emilia Romagna con 1.217. Ci si potrebbe domandare quindi quanta pasta potranno mai mangiare i lombardi rispetto a tutte le altre regioni italiane, tanto da rappresentare da sola quasi un quinto di tutti i casi registrati nel Belpaese. Ma a dispetto degli allarmisti della pastasciutta, specie di quella fatta coi grani moderni, il consumo di pasta appare superiore nelle regioni del Sud. Nel 2016 nel Mezzogiorno sarebbero state infatti vendute 378 mila tonnellate di pasta, ovvero il doppio rispetto all'area Nord-Est e un terzo in più rispetto alla Nord-Ovest.
Accorpando le macro aree, appare come al Nord i malati nel 2016 fossero 91.886 contro i 43.717 del Sud. Meno della metà, nonostante i consumi maggiori di pasta. In sostanza, l'incidenza della patologia appare svincolata dal consumo di pasta pro capite su scala regionale. Un dato che da solo dovrebbe scompaginare le argomentazioni sia degli accusatori del glutine, sia degli haters di glifosate. Forse, le ragioni sono quindi da ricercare più nell'efficacia diagnostica che nell'alimentazione.
A tali conclusioni si può arrivare anche confrontando i dati italiani con quelli del resto del mondo. A fronte dell'1% di casi rilevati come detto a livello globale, in Italia si contabilizza un'incidenza intorno allo 0,33%, media fra lo 0,2% dei maschi e lo 0,45% delle femmine. Il tutto a fronte dei quasi 24 chili di pasta consumati pro capite contro gli 11 della Grecia, i 9,2 della Svizzera, gli 8,8 di Usa e Argentina, o gli 8 di Francia e Germania. Per essere un paese di "pastasciuttari" si dovrebbe quindi concludere che bucatini e spaghetti nulla hanno a che vedere con la celiachia. Anzi, pare che più pasta si mangia a livello nazionale, meno celiaci si trovano. Con o senza glifosate di mezzo.
Peraltro, proprio l'arricchimento del quadro sintomatologico legato alla celiachia fa sì che si ritenga che ancora oggi al mondo vi siano circa dieci persone che soffrono inconsapevolmente di tale patologia per ogni malato conclamato. In Italia, per esempio, si stima che siano oltre 400mila le persone afflitte dalla celiachia ma che ne sono del tutto inconsapevoli. Forse, fra una decina d'anni anche queste saranno state censite, andando ad aumentare il numero di casi.
Chissà a cosa daranno quindi la colpa i soliti allarmisti anti-agricoltura? Perché continuando sulla strada intrapresa a livello politico, di glifosate probabilmente non ve ne sarà più in circolazione, lasciando aperta quindi la porta a una ricca messe di illazioni, una più fantasiosa dell'altra. E ognuna più dannosa dell'altra, perché creare disinformazione diffondendo fake news ha come unico risultato di allontanare la popolazione dalla verità fattuale delle cose a tutto vantaggio del business dei soliti pochi e a svantaggio della salute e del portafoglio dei soliti molti.
"La tossicologia spiegata semplice" è la serie di articoli con cui AgroNotizie intende fornire ai propri lettori una chiave di lettura delle notizie allarmanti sul mondo agricolo in generale e su quello fitoiatrico in particolare.
Perché la tossicologia, in fondo, è più semplice da comprendere di quanto sembri.