Come sarà l'agricoltore nel 2040? E se l'attività degli agricoltori è quella di produrre cibo, allora chi farà crescere il cibo in laboratorio dalle cellule sarà un agricoltore?

Se la risposta alla seconda domanda sembra più immediata, forse però è stato più semplice per i giovani agricoltori che il 17 dicembre scorso hanno animato il dibattito all'interno dell'evento comunitario "The 2020 EU Agricultural Outlook conference" esporre i propri concetti su quello che Jannes Maes, presidente del Ceja, il Consiglio dei giovani agricoltori europei, ha definito "il lavoro più bello del mondo".
 
Immaginare di delineare l'agricoltore del futuro, avvertono i relatori della Commissione europea, non è un esercizio di stile, ma la premessa per tratteggiare un affresco che sarà utile alla politica per definire un quadro normativo e di intervento in grado di sostenere un settore chiave non solo dell'economia, della società, ma per la vita stessa.

Innanzitutto, già oggi si possono individuare dei "mega-trend" coi quali il sistema agricolo dovrà molto probabilmente fare i conti, come i cambiamenti climatici e il degrado ambientale, l'aumento dei consumi, la scarsità di risorse, la progressiva urbanizzazione, le sfide sanitarie, le sempre maggiori influenze di nuove forme di governo, i cambiamenti degli stili di vita, dei modelli di lavoro, le differenze di sistemi educativi e di apprendimento.

Il panorama del futuro degli agricoltori al 2040 sarà molto vario. Ne è sicuro Wolfgang Burtscher, direttore generale della Dd Agri della Commissione europea, intervenuto a conclusione della prima giornata di lavoro sulle prospettive dell'agricoltura.

Così, se per alcune vocazioni produttive non serve far volare troppo la fantasia, per altri aspetti fare agricoltura nel 2040 sarà effettivamente al confine di attività oggi a malapena ipotizzate. Prova a tracciare un quadro di sintesi Maciej Krzysztofowicz, autore dello studio insieme ad Anne-Katrine Bock del Joint research centre (Jrc) della Commissione europea.

Gli agricoltori del futuro lavoreranno su più fronti, facendo parte di filiere in rete; l'organizzazione del lavoro vedrà con ogni probabilità un responsabile delle operazioni aziendali e avremo grandi aziende agricole fortemente specializzate, intensive, con strumenti innovativi, di precisione; saranno - per il Jrc - realtà fortemente orientate all'efficienza, con architetture patrimoniali strutturate. L'agricoltura tradizionale così come la percepiamo oggi non sparirà, certamente, ma si troverà a convivere con altri modelli di produzione, realizzati in ambiente controllato, con sistemi di alta tecnologia fuori suolo, e (perché no?), il settore dovrà fare i conti con nuovi imprenditori legati alle biotecnologie, impegnati negli "alternative food", cibi ottenuti attraverso cellule coltivate.

Essere agricoltori nel 2040 permetterà dunque di avere nuove competenze, nuove funzioni e nuovi ruoli di servizio verso la società. Si pensi, ad esempio, alle opportunità legate ai servizi di assistenza sanitaria sociale. L'agricoltura dovrà avere un approccio olistico e rigenerativo, per sviluppare un ecosistema più grande. E chissà quale spazio avrà l'agricoltura verticale o l'agricoltura urbana o, ancora, l'agricoltura fuori suolo.

In futuro, con ogni probabilità, continueremo ad avere anche agricoltori per la libera scelta di orientarsi verso una nuova vita e per quanti sceglieranno di dedicarsene con passione durante il tempo libero. Accanto alle grandi aziende professionali incontreremo ancora, comunque, piccole aziende agricole, con l'obiettivo di concentrarsi sull'avere una occupazione anziché sulla redditività pura e semplice.

L'agricoltura del futuro si occuperà dell'approvvigionamento delle comunità, favorendo la crescita e la condivisione. Piccole reti, attività locali, gli agricoltori si occuperanno dei territori nella loro completezza, dalla produzione di cibo all'attenzione verso gli abitanti, alla difesa del suolo e alla cura del paesaggio.

"Quando ho iniziato a fare l'agricoltore, dieci anni fa, dopo la scuola, la visione era più limitata rispetto a oggi - racconta Jannes Maes, numero uno del Ceja - ma non dimentichiamo che facciamo il lavoro più bello del mondo e dobbiamo fare in modo che i giovani continuino ad avere il sogno di fare gli agricoltori, come l'ho avuto io. Dovremo sviluppare la capacità di adattarci ai nuovi modelli di agricoltura, sostenendo investimenti, pianificando il futuro, guardando avanti con professionalità e competenza".

Non verrà sicuramente meno il compito di produrre cibo per una popolazione in aumento, ma, spiega Sinead Moran, imprenditrice agricola irlandese, "saremo ambasciatori di un'agricoltura per la natura, con una sempre maggiore rilevanza sociale e culturale".

Quel che è certo è che non si improvvisa. "Conduco un'importante azienda agricola in Polonia - afferma Podlewski, giovane agricoltore - e necessito di una pianificazione biennale. Le imprese agricole sono come le grandi navi in mezzo al mare: hanno bisogno di tempo per correggere la rotta".

Dunque, come sarà l'agricoltore del futuro? Sarà "aperto e innovativo", come sostiene Jacek Podlewski, oppure "un visionario", come afferma l'italiana Anna Trettenero? Dovrà offrire servizi ambientali per la comunità e pensare anche all'agricoltura urbana? Essere ancora più multifunzionale? Sono alcune delle domande emerse dal dibattito, che più ampiamente non dovrà dimenticare il rapporto fra agricoltori e aree rurali, individuare soluzioni per fronteggiare i cambiamenti climatici, la volatilità dei mercati, il rapporto coi consumatori. Mille questioni e altrettante sfide aperte per il "lavoro più bello mondo".