La diffusione della batteriosi dell'actinidia è sempre più preoccupante e sta mettendo in ginocchio una delle coltivazioni più estese nel territorio emiliano romagnolo. Manifestatasi per la prima volta nel 1993 nell’area di Latina, da qualche anno la Pseudomonas si è ripresentata, probabilmente grazie ad un nuovo ceppo più virulento, e si è diffusa anche nelle regioni del Centro-Nord. La situazione appare oggi particolarmente preoccupante per le condizioni meteo-climatiche degli ultimi mesi che hanno favorito un’ulteriore propagazione dell’infezione.

Già nel 2010 Agrintesa aveva lanciato un  campanello d’allarme e sottoposto all’attenzione dell’assessore all’Agricoltura dell’Emilia Romagna Tiberio Rabboni i danni subiti dai primi impianti di kiwi colpiti da batteriosi in Romagna, una previsione che è stata purtroppo confermata. Agrintesa ha individuato e isolato i primi focolai di infezione grazie all’operato del suo Ufficio tecnico agronomico e alla collaborazione della sua base sociale. Sono state avviate subito le prime sperimentazioni per la difesa, con il coinvolgimento immediato delle istituzioni per ottenere un sostegno tangibile di fronte a tale grave calamità.

Dopo l’esplosione della patologia anche in Romagna, sono nate alcune scuole di pensiero sulle migliori modalità da adottare per combattere, o almeno arginare, la malattia anche se nessuna di queste ipotetiche soluzioni si è mostrata totalmente risolutiva. Tuttavia, dopo diverse sperimentazioni in campo, appare evidente quale sia la linea di comportamento più indicata per ottenere maggiori garanzie sull’efficace prevenzione dello sviluppo patologico. Agrintesa consiglia il continuo monitoraggio dello stato di salute degli impianti con eventuali interventi di taglio, asportazione e bruciatura delle parti infette o delle intere piante; la periodica copertura con prodotti a base di sale di rame; l’attenzione, durante le normali pratiche colturali, a non procurare ferite o abrasioni alle piante di kiwi nelle giornate di bagnatura, dal momento che il batterio si propaga maggiormente in condizioni di spiccata umidità.

Allo stato attuale la situazione è molto pesante, aggravata dal fatto che l’ultimo inverno è stato particolarmente mite, umido e lungo. Non va dimenticato che l’habitat termico ideale per lo sviluppo del batterio è una temperatura compresa tra i 7 e i 20 gradi centigradi. In Romagna alcune centinaia di ettari appaiono decisamente compromessi, mentre si stima che quasi il 50% degli impianti sia interessato dall’inoculo (presunta infezione). Questi dati creano molte preoccupazioni per il medio periodo in quanto il batterio ha mostrato finora una diffusione a carattere esponenziale e quindi c’è il rischio di veder seriamente minacciata l’intera coltura del kiwi (4.000 ettari tra le province di Ravenna e Forlì). L’esperienza di questi ultimi anni dimostra come una corretta esecuzione delle pratiche di campagna rallenti fortemente lo sviluppo del batterio, consentendo di prolungare la vita degli impianti, ma non di eliminare definitivamente l’agente patogeno.

Sul tema della batteriosi del kiwi Agrintesa ha sollecitato più volte la Regione Emilia Romagna, che ha mostrato grande attenzione verso questo grave problema mettendo in campo il suo Servizio fitosanitario regionale per una collaborazione ad ampio raggio e fornendo un sostegno finanziario.
La problematica è  complessa e dovrebbe assumere una valenza nazionale, se non europea, dal momento che i danni sono ingenti e il patogeno non rispetta certo i confini nazionali; la grave situazione che anche la Nuova Zelanda sta vivendo ne è l’esempio più eclatante.

Agrintesa crede che la strada da percorrere riguardi l’apertura alla ricerca genetica (i neozelandesi stanno già lavorando in tal senso) per poter disporre in tempi ragionevoli di cultivar tolleranti l’agente patogeno. In attesa che questo avvenga, si deve perseguire con la maggiore incisività possibile nell’opera di controllo e prevenzione.