L'Italia rappresenta soltanto lo 0,2% delle terre emerse del pianeta, ma dal Belpaese uscirebbe ben il 43% delle pubblicazioni mondiali contrarie agli Ogm. Percentuale che sale all'87% se si parla unicamente di soia. Ciò per quanto riguarda almeno gli aspetti sanitari, ovvero quelli sulla salute.
 
Per meglio comprendere tale situazione AgroNotizie ha intervistato Roberto Defez, primo ricercatore presso l’Istituto di Bioscienze e biorisorse (Ibbr) del Cnr di Napoli, dove dirige il gruppo di ricerca di Biotecnologie microbiche.
 
Le percentuali sopra riportate sono altissime. L'Italia, oltre a dire no agli Ogm in campo, pare volere per giunta convincere il mondo intero che tali ibridi sono pericolosi. Da quali fonti derivano i dati su tale crociata italiana?
"Da due ricercatori, Miguel Sanchez e Wayne Parrott. Il primo lavora presso l'Asociación Gremial ChileBio CropLife, con sede a Santiago, in Cile. Il secondo opera nel Department of Crop and Soil Sciences, dell'università della Georgia, negli Usa. Insieme hanno compiuto un'analisi di tutti gli articoli scientifici catalogabili come 'preoccupanti' sul fronte degli Ogm. Questo almeno per gli aspetti sanitari".
 
Il materiale di partenza, immagino, sarà stato decisamente vasto, data la corposa messe di pubblicazioni realizzate nei vent'anni di impiego in campo degli Ogm.
"Come gli stessi ricercatori hanno ricordato, le colture Gm sono gli organismi più studiati nella storia moderna dell'uomo, per lo meno sul tema agricolo e alimentare. Il 95% degli studi effettuati a livello globale dimostra la loro sostanziale sicurezza verso la salute dell'uomo. Solo circa il 5% degli studi mostra invece effetti negativi".
 
In pratica, è più o meno quello che succede con lo scibile scientifico sul riscaldamento globale. Il 95% circa lo sostiene, meno del 5% lo nega. Ma rispetto al global warming, mi pare che tale rapporto di forze scientifiche non venga rispettato quando si parli di Ogm.
"Anzi, direi che succede esattamente il contrario. Questi pochi studi avversi sono alla base delle diffuse preoccupazioni sugli Ogm, anche perché sono proprio loro a essere utilizzati dai media in modo prevalente".
 
Non a caso Pierdomenico Perata, rettore della Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, li ha definiti ironicamente "organismi giornalisticamente modificati".
"Infatti non è solo una questione di numeri di ricerche pro contro numeri di ricerche contro. Anche se vi è da dire che nella ricerca moderna, cioè quella basata  sul metodo scientifico galileiano, ovvero quello delle prove ripetibili e verificabili, è molto difficile che un ricercatore isolato possa contraddire le posizioni largamente maggioritarie dei suoi colleghi".
 
Difficile, ma non impossibile.
"Certamente, al di là dei numeri percentuali, va indagata anche la validità degli studi, sia pro sia contro. Una validità che è misurabile attraverso il rispetto proprio dei metodi adottati dai diversi ricercatori. Ci sono ricerche estremamente solide e altre deboli e scricchiolanti.
Per esempio, una prima considerazione può esser fatta sulla tipologia degli Ogm testati. Gli studi avversi sono per lo più focalizzati solo su pochi e ben precisi organismi Gm, ma vengono usati comunque per instillare dubbi su tutte le colture prodotte dal biotech. E ciò non ha alcun senso, perché ogni Ogm è un universo a se stante e come tale va misurato e validato. Inoltre, non solo gli studi avversi sono pochissimi, ma tendono per giunta a provenire da pochi e ben precisi laboratori, i cui lavori vengono pubblicati per lo più su riviste dal peso scientifico tutt'altro che robusto. Non a caso, da un esame approfondito di tali studi, emergono molto spesso diversi difetti metodologici, tali da invalidare le conclusioni tratte dai ricercatori circa i supposti effetti negativi
".
 
Quindi pochi e per giunta tutt'altro che solidi. E ciò collide con l'assunto che vuole un'affermazione importante avere alla base prove importanti.
"Le accuse agli Ogm sono gravissime e pertanto dovrebbero anche contare su evidenze solide e schiaccianti. Cosa che non è. Come conseguenza di ciò, dopo vent'anni dalla prima coltivazione di colture Gm manca ancora all'appello una sola ricerca davvero valida sugli ipotizzati effetti sanitari avversi dovuti al consumo di queste colture geneticamente modificate". 
 
E le ricerche esistenti avrebbero per giunta una ben precisa origine geografica, stando alla ricerca di Sanchez e Parrot.
"Nel lavoro citato è inserita una mappa di cui consiglio prendere visione data la sua estrema chiarezza e semplicità esplicativa. Da essa si evince come su 35 studi negativi presi in considerazione, ben 15 derivano dall'Italia, quasi tutti nati in soli due laboratori. In pratica il 43% delle ricerche avverse sugli Ogm che oggi sono viste come riferimento dagli anti-biotech sono state generate quasi tutte da pochissimi poli di ricerca. Di cui uno, peraltro, coinvolto recentemente in uno scandalo di alterazione dei risultati ottenuti".
 
Oltre all'Italia, quali sono gli altri Paesi più prolifici nel produrre studi anti-Ogm?
"Essenzialmente uno, l'Egitto, che con sei lavori raccoglie il 17% del totale. In pratica, Italia ed Egitto mettono insieme il 60% degli studi no-Ogm presi in considerazione da Sanchez e Parrot. In pratica Italia ed Egitto producono 20 volte più studi 'preoccupati' sugli Ogm di quelli prodotti da America del Nord, Centro e Sud".
 
Ma in base a cosa Sanchez e Parrot avrebbero trovato tali lavori non attendibili?
"Affinché un lavoro sia ritenuto attendibile a livello di comunità scientifica internazionale deve rispettare i seguenti assunti: in primis gli organismi Gm oggetto di studio e il controllo isogenico dovrebbero avere la stessa origine ed essere cresciuti nelle medesime condizioni. Pensi che c'è più variabilità a livello di trascrittoma, proteoma e metaboloma se si compara la stessa identica pianta coltivata in tre luoghi diversi, oppure la stessa pianta coltivata nello stesso luogo in tre anni diversi. Trovare differenze fra Ogm e controllo in condizioni che violino tale prima regola significa che stiamo parlando del nulla".
 
La seconda condizione fondamentale?
"La seconda regola ineludibile è che l'analisi statistica con cui interpretare i dati deve essere scelta a priori e non selezionata a posteriori in funzione dei risultati ottenuti. Suona tanto di volontà di aggiustamento statistico di evidenze che di per sé non hanno soddisfatto gli obiettivi inconfessati della ricerca. Inoltre, la variabilità statistica degli organismi in questione può a volte travalicare la significatività statistica tale e quale dell'esperimento.
E da ciò si giunge alla terza regola: se i risultati ottenuti dimostrano qualcosa che non era stato dimostrato da analoghe ricerche precedenti, si deve anche trovare un'ipotesi plausibile per tale non riproducibilità. Non basta cioè dimostrare qualcosa, ma si deve anche dimostrare perché altri studi hanno condotto a conclusioni diverse, magari contrarie. Una condizione, questa, che emerge spessissimo quando si parla di Ogm, proprio perché gli studi che non hanno evidenziato problemi sono largamente preponderanti rispetto ai pochi che sarebbero giunti a conclusioni negative.
Ciò non vuol dire che per forza la ricerca sia sbagliata a prescindere, ma per lo meno significa che chi trova un dato contrastante con la maggior parte delle ricerche svolte ha anche il compito di dimostrare in modo chiaro perché il suo studio ha dato esisti opposti a tutti gli altri
".
 
E questo per gli aspetti sanitari per uomo e animali. E per gli altri aspetti?
"Certamente vi sono anche gli aspetti legati all'agronomia e all'ambiente. Settori ove peraltro esiste una corposa documentazione a favore. Se però non si sgombra il campo sugli aspetti sanitari non se ne esce. Se si è riusciti a dimostrare che gli Ogm non fanno male, vuol dire che esiste un sistema di valutazione utilizzabile anche sugli aspetti ambientali e agronomici. Iniziando a smontare uno alla volta queste opposizioni, forse si arriva a smontare anche le altre. Così come siamo ora sembra tutto mescolato. Gli Ogm si possono mangiare, ma non coltivare. Un controsenso nato da una campagna di disinformazione che andrebbe ora controbilanciata da una campagna di segno contrario, basata questa sì su solide evidenze scientifiche".
 
Per farlo però bisogna sperimentare e in Italia la sperimentazione in campo è tutt'oggi una chimera. Come mai? Cosa impedisce di prendere un campo e di provarvi le differenze, se ve ne sono, fra ibridi gm e controlli convenzionali?
"In Italia non è possibile fare ricerca in campo aperto perché, in sintesi, la legge atta a regolare tali ricerche avrebbe dovuto prevedere una serie di scadenze per entrare in vigore, scadenze che in realtà non sono mai state fissate. Quindi tale legge, dal gennaio 2005, è stata piazzata in un limbo senza tempo dal quale pare non vi sia la volontà politica di farla uscire.
Oggi non è possibile fare una ricerca di campo perché, semplicemente, non è possibile depositare una regolare domanda per chiedere una sperimentazione di campo. Tale situazione impedisce di fatto qualsivoglia ricerca, lasciando spazio alle componenti emotive che attualmente paralizzano gli Ogm in Italia ma anche in Europa. Se potessimo disporre di dati scientifici ben fatti e corretti non ci sarebbero stati tanti lavori per lo meno discutibili, perché la sorveglianza scientifica li avrebbe costretti a un paragone oggettivo
".
 
Quindi, a parte le coltivazioni del 2013 fatte in Friuli da pochi maiscoltori ribelli, in Italia non c'è mai stata una prova di campo atta a capire se queste colture fossero sicure o meno?
"No. Di fatto una c'è stata. Nel 2005, durante il governo Berlusconi di cui Gianni Alemanno era ministro, si autorizzò un'unica deroga e venne coltivato mais transgenico e isogenico uno a fianco all'altro nell'azienda sperimentale di Landriano dell'università di Milano con l'obiettivo di ottenere del materiale omogeneo per analizzare la risposta del sistema immunitario dei ratti. Da quella prova emersero alcuni dati, impossibili da verificare o confutare proprio per il blocco italiano alla ricerca. Dati che però non descrivevano negativamente il mais Ogm utilizzato, ovvero il MON810".
 
In sostanza, Lei come ricercatore cosa chiede alla politica nazionale?
"Di sbloccare la ricerca. Di permettere finalmente la sperimentazione di campo e di rendere così possibile il confronto su base scientifica. Se si liberasse la ricerca in campo si potrebbero infatti porre sul tavolo lavori scientifici attendibili, realizzati secondo criteri e metodologie controllate e verificabili.
Pensi che da quasi un anno sono state depositate richieste di ricerca in campo con varietà derivanti da tecniche di genome editing, quindi non Ogm per l'attuale normativa, ma ancora non si ha la luce verde nemmeno su queste. Uno stallo che appare del tutto arbitrario, quello politico italiano, cercando di scaricare sull'Europa responsabilità che non ha, perché la sperimentazione è su base nazionale, non comunitaria. Se cioè il via libera non arriva non è colpa dell'Europa ma della scivolosità della politica nazionale quando la si voglia afferrare e obbligare a fare ciò che sarebbe suo dovere fare
".
 
E i danni di tali ritardi?
"Se e quando avremo sciolto i dubbi, la ricerca a livello globale sarà ormai passata per lo più in mano alle multinazionali e come ricercatori pubblici saremo indietro. Un grave danno per l'Italia, per il futuro dei nostri giovani e per la ricerca libera in generale".