Ormai è un dato di fatto: i registri dei trattamenti e dei fertilizzanti, a seguito del Decreto 1 marzo 2021, entreranno a fare parte del fascicolo aziendale e dei criteri di condizionalità per accedere ai finanziamenti pubblici. Quindi un registro tenuto in modo corretto sarà essenziale per garantirsi risorse importanti per lo svolgimento delle proprie attività. Ma quella del registro dei trattamenti è una storia che parte da lontano e che ha avuto diverse evoluzioni nel corso dei decenni.
L'origine del registro in Italia (primo Paese ad adottare questo strumento) risale in un periodo che si colloca fra la fine degli anni '80 e l'inizio del decennio successivo quando il nostro Paese fu attraversato dallo scandalo delle falde acquifere inquinate dagli erbicidi (qui uno dei tanti articoli dell'epoca): il legislatore, a fronte di una situazione sempre più complessa, stabilì l'obbligo di misurare quanti e quali antiparassitari venivano utilizzati in ogni specifica area. Nasceva così nel 1991 il primo registro dei trattamenti: una forma ancora embrionale che sarebbe entrata a regime solo alcuni anni dopo.
La svolta nel 2012
L'obbligo di compilazione del registro dei trattamenti, infatti, sarà introdotto solo 10 anni dopo con il Dpr n. 290/2001, testo che sarà successivamente aggiornato dal Dpr n. 55/2012 (per recepire il Regolamento Ce 178/2002) e dall'art. 16 comma 4 del Decreto Legislativo 150 del 14/08/2012. Quest'ultimo, in particolare, stabilisce che tutti gli utilizzi di agrofarmaci in campo devono essere indicati sul registro dei trattamenti: "Sul registro - cita il testo della norma - devono essere annotati i trattamenti effettuati con tutti i prodotti fitosanitari utilizzati in azienda, classificati molto tossici, tossici, nocivi, irritanti o non classificati, entro il periodo della raccolta e comunque al più tardi entro 30 giorni dall'esecuzione del trattamento stesso".
Ma non solo: la documentazione relativa alla registrazione dell'uso dei formulati (il nostro registro dei trattamenti) e quella relativa all'acquisto e all'uso di qualsiasi prodotto fitosanitario devono essere messi a disposizione delle autorità competenti al controllo (a partire dalla Asl) e rispettare il Regolamento Ce 852/2004, il Decreto Legislativo 150/2012, il Pan e tutte le norme nazionali e comunitarie relative all'utilizzo degli agrofarmaci (incluse le indicazioni del Ministero della Salute segnalate nel Dgisan prot. 4989 del 01.02.2019).
I rischi e le sanzioni
E cosa si rischia se il registro dei trattamenti fitosanitari non è in regola? Sicuramente, una sanzione legata al mancato adempimento. Il Decreto Legislativo 150/2012 definisce così l'infrazione: "L'acquirente e l'utilizzatore che non adempiono agli obblighi di tenuta del registro trattamenti sono puniti con una sanzione da 500 a 1.500 euro, salvo che il fatto non costituisca reato. La reiterazione della violazione comporta la sospensione da 1 a 6 mesi o la revoca dell'autorizzazione”.
A questo si aggiunge poi il tema dei contributi (per esempio per la produzione in regime di difesa integrata volontaria, agricoltura biologica o certificazione): in questo caso, come detto in apertura, la corretta tenuta del registro è parte dei criteri di condizionalità e quindi può essere verificata anche da regioni, enti di certificazione biologica e audit di certificazione (Global Gap e Sqnpi, ad esempio). Infine è bene ricordare che la compilazione del registro dei trattamenti fitosanitari è un prerequisito imprescindibile per il conferimento a cooperative, Op, alla grande distribuzione, ai frantoi, alle cantine e agli stoccatori di cereali.
Fra presente e futuro prossimo
Insomma, senza un registro dei trattamenti ben tenuto, i problemi possono essere tanti e per il futuro le cose saranno ancora più complicate: l'Europa ha infatti deciso di dare attuazione piena all'articolo 67 del Regolamento 1107/2009 a partire dal 2026. Il Regolamento è in consultazione pubblica e potete leggere tutti gli approfondimenti qui.
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Fonte: AgroNotizie