Gli elateridi, o ferretti, sono una famiglia di insetti appartenente all'ordine dei Coleotteri le cui larve si sviluppano nel terreno a scapito delle radici delle piante, selvatiche e coltivate. Anche a causa dei cambiamenti climatici e della riduzione delle sostanze attive ammesse all'uso, i danni che apportano alla coltivazione della patata sono estremamente ingenti.

Se non debitamente controllati i ferretti sono in grado di compromettere il valore economico della coltura a causa dei fori e delle gallerie che scavano all'interno dei tuberi. Si tratta perlopiù di danni estetici, che nella maggior parte dei casi non inficiano la qualità del prodotto, ma che ne determinano uno scadimento del valore commerciale.


Il ciclo biologico degli elateridi

Sono almeno tre le specie di ferretti del genere Agriotes che più frequentemente arrecano danni ai tuberi di patata: lineatus, brevis e litigiosus. Questi coleotteri hanno un ciclo poliennale, di durata differente a seconda della specie, che trascorrono prevalentemente nella forma di larve terricole, le quali si cibano dei tessuti vegetali.

Gli adulti si riproducono sul finire della primavera e la femmina depone le uova sulla superficie del terreno o nei primi centimetri di suolo. Se le condizioni ambientali sono ideali (umidità e temperature elevate) la schiusa avviene nel giro di trenta-quaranta giorni. Le larve di prima età si cibano inizialmente dei residui vegetali e successivamente attaccano le radici delle piante.

Nei due-tre anni successivi la larva cresce, rifugiandosi negli strati più profondi del suolo durante l'estate (temperature calde e assenza di acqua) o durante l'inverno (temperature basse). A maturità la larva si impupa e dà origine all'adulto che una volta emerso dal terreno in primavera si accoppia.


La difesa della patata dagli elateridi

Il controllo degli elateridi è stato storicamente affidato ad alcune sostanze attive ad azione insetticida, che oggi non sono più ammesse all'uso. Ad esempio il thiamethoxam, impiegato nel recente passato per la concia dei tuberi, oppure l'etoprofos, per terminare con il clorpirifos, da poco messo al bando. Ad oggi sono disponibili alcuni piretroidi come teflutrin, cipermetrina e lambda-cialotrina. Per le produzioni di patata in biologico sono utilizzabili azadiractina, spinosad, nonché i funghi entomoparassiti Beauveria bassiana e Metarhizium brunneum.

Si tratta tuttavia di prodotti non risolutivi, non sempre in grado di mantenere il danno a livelli accettabili. Per sostenere gli agricoltori nel loro lavoro negli ultimi anni si sono moltiplicate le prove di biofumigazione. La possibilità cioè di impiegare piante contenenti molecole bioattive da inserire nel sistema colturale aziendale come sovescio, con la capacità, tra le altre, di devitalizzare gli stadi sensibili delle larve degli elateridi.


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La biofumigazione della patata

"La biofumigazione è una tecnica che può essere applicata per ridurre drasticamente nel suolo un gran numero di avversità delle piante, compresi nematodi e i tanto temuti elateridi", spiega Luca Lazzeri, ricercatore del Crea, Centro di Cerealicoltura e Colture Industriali, tra i primi al mondo a lavorare sul tema.

"Con la biofumigazione si sfrutta la presenza di sostanze bioattive presenti nelle cellule vegetali che una volta rilasciate nel suolo hanno un effetto sugli insetti target".

Nel caso specifico della biofumigazione, si utilizzano piante della famiglia delle Brassicaceae. Queste essenze vengono seminate e a pieno sviluppo, in fioritura, vengono trinciate ed interrate. Una volta nel suolo, attraverso un complesso sistema di difesa endogeno, liberano nel terreno isotiocianati, sostanze che interferiscono con le larve degli elateridi allontanandole o devitalizzandole.

Oltre all'ormai classico approccio biofumigante con brassiche, per contrastare il ferretto sono state sperimentate differenti specie contenenti molecole bioattive, come ad esempio la Crotalaria juncea, una leguminosa di origine tropicale (conosciuta come sunn hemp) oppure Sorghum drummondii (Sudangrass), una graminacea originaria del Sudan.

In particolare il Crea ha svolto delle sperimentazioni con piante e bioprodotti a base di brassiche nell'area del Fucino e sul territorio bolognese, zone vocate alla pataticoltura e più in generale all'orticoltura, entrambe costrette a fare i conti con una presenza importante di ferretto. "I risultati che abbiamo ottenuto sono stati molto positivi. I sovesci effettuati con Crotalaria juncea, varietà Madras®, e Brassica juncea, varietà ISCI99, in combinazione con l'applicazione di bioprodotti biofumiganti a base di brassicacee, hanno portato ad una netta diminuzione della presenza di elateridi, ma hanno anche dato prospettive molto interessanti nel contenimento di patologie importanti sulla patata come dartrosi e rizottoniosi".

La semina della varietà di B.juncea ISCI99 può avvenire sia ad inizio primavera che in autunno e in piena fioritura va interrata (dopo circa ottanta giorni). Queste piante richiedono solo l'accortezza di essere trinciate il più finemente possibile ed interrate velocemente, per evitare di disperdere in aria gli isotiocianati, molecole molto volatili.

La semina di Madras® avviene invece da aprile e la pianta, di origine subtropicale, si sviluppa durante tutta l'estate. In autunno viene poi trinciata e incorporata al terreno attraverso una lavorazione superficiale. Qui la decomposizione libera i composti bioattivi della classe degli alcaloidi, che uccidono o allontanano gli elateridi, rendendo il terreno adatto alla coltivazione della patata nella primavera successiva.

Questo genere di sovescio porta con sé differenti benefici:

  • Abbassa la pressione degli elateridi sulla coltura.
  • Arricchisce il suolo di sostanza organica.
  • Migliora la struttura del terreno, grazie allo sviluppo delle radici fittonanti.
  • Nel caso di Madras®, essendo una leguminosa, apporta azoto al terreno.

 

Applicare i sovesci bioattivi in campo

Per comprendere la reale efficacia di questi sistemi colturali e come vengono applicati in campo abbiamo parlato con un grande produttore di patate che ha avuto modo di testare presso i suoi campi sia l'utilizzo di colture estive da sovescio quali Crotalaria e Sudangrass, sia invernali, quali ad esempio il rafano e la senape. Ne è emerso un quadro in chiaro scuro, con diverse considerazioni sull'efficacia e la sostenibilità del processo.

Prima di tutto bisogna prendere in considerazione il fatto che lo sviluppo della cover crop può non essere ottimale e può richiedere interventi a livello di concimazione o di irrigazione. Questo comporta dei costi e un aggravio all'operatività dell'azienda.

In secondo luogo non si può avere la certezza del risultato, in quanto questo dipende da numerosi fattori che non sono nel controllo dell'agricoltore (sviluppo corretto della pianta, concentrazione delle molecole bioattive nei tessuti e loro corretto rilascio nel suolo, tipologia di terreno, andamento climatico, concentrazione e distribuzione degli elateridi).

Il risultato è che a fronte di un investimento certo, in termini di tempo e risorse, il risultato non è sicuro.


Serve un cambio di mentalità

Anche in pataticoltura risulta evidente come sia necessario un cambio di paradigma e il passaggio ad un approccio di difesa integrata che prenda in considerazione tutti gli strumenti oggi a disposizione dell'agricoltore. La biofumigazione rappresenta certamente uno strumento interessante, ma deve essere inserito all'interno di una strategia più complessa.

Una strategia che deve basarsi su:

  • Scelta di varietà meno suscettibili agli elateridi.
  • Anticipo delle semine e delle raccolte, in modo da ridurre al minimo il tempo in cui i tuberi restano nel suolo in concomitanza dell'attività delle larve.
  • Rotazioni "intelligenti", in cui si allontanino il più possibile dalla patata quelle colture che facilitano lo sviluppo dei ferretti (come mais, soia o erba medica). Impiego della biofumigazione come prassi aziendale, da eseguire tutti gli anni (con essenze invernali o estive) per tenere costantemente bassa la popolazione di elateridi.
  • Monitoraggio dei campi con le trappole e impiego degli insetticidi quando la pressione risulta troppo elevata. Evitare l'agricoltura conservativa, ma lavorare il suolo per "disturbare" le larve ed esporle (soprattutto le uova) all'azione del sole, che ha un forte potere devitalizzante.

 

Questo tipo di gestione degli insetti permette di avere un controllo soddisfacente, ma richiede sicuramente un impegno molto più gravoso per l'agricoltore, sia a livello economico che di tempo. E i risultati sono meno certi rispetto all'impiego di insetticidi di sintesi, che erano affidabili, ma il cui impatto sull'ambiente è stato considerato non accettabile dall'Unione Europea.