Pubblicato su Plos One, il lavoro evidenzia l'origine asiatica della pianta e l'esistenza nel Caucaso e nelle valli delle montagne dell'Asia Centrale di almeno quattro zone dove le popolazioni di noce conservano un valore elevato di diversità genetica, probabilmente sopravvissute in nicchie ecologiche protette dopo le glaciazioni del Pleistocene (Kyrgyzstan Occidentale, Asia Occidentale e Centro-Meridionale, Uzbekistan Centro-Orientale, province di Xinjiang and Shandong in China).
Lo studio ha anche identificato l'importanza sia delle grandi barriere fisiche che ostacolarono il flusso genico naturale (montagne e deserti), sia delle vie commerciali e culturali che le superarono.
Inoltre, l'incrocio con dati etnolinguistici e storici (associazione tra gli antichi phyla linguistici presenti lungo la viabilità fondamentale e la struttura genetica delle popolazioni di noce) ha indicato nelle vie Regia persiana e della Seta le rotte della diffusione della pianta, dall'Iran e Trans-Caucaso all'Asia Centrale e dalla Cina Occidentale a quella Orientale.
"I commerci nella zona tra Tashkent e Samarcanda (Uzbekistan Centro-Orientale), dove convergevano i bracci settentrionali e centrali della Via della Seta del Nord, possono aver causato anche la divisione spaziale della locale struttura genetica del noce autoctono e aver trasferito in tale zona diversi pool genici tuttora riscontrabili", spiega Angelo Massacci, direttore dell'Ibaf-Cnr, che aggiunge: "Sono stati incrociati i dati ottenuti dalla genetica di popolazione della J. regia sia con l'analisi glottologica della parola 'noce' - in relazione alle dinamiche di diffusione della specie - sia con i dati archeologici, topografici e storici, indispensabili per interpretare la struttura genetica delle popolazioni di noce, finora solo genericamente correlata all'azione umana".
I ricercatori Cnr hanno assemblato la più vasta collezione di popolazioni selvatiche di noce oggi esistente, grazie a campionamenti effettuati negli ultimi trenta anni, dall'Europa all'Estremo Oriente, in aree naturali protette dove l'azione umana era assente o quasi nulla e in siti significativi dove le piante plurisecolari venerate erano soggette a vincoli di carattere religioso.
I ricercatori hanno svolto il lavoro dal prelievo in campo in sedici paesi del continente euroasiatico, tra Cina e Spagna, fino all'analisi dei risultati.
"In Europa, incrociando evidenze palinologiche fossili, dati storici e culturali e genetica delle popolazioni, si è dimostrata, accanto al fulcro asiatico, l'esistenza di due rifugi glaciali di noce, nei Balcani e nelle regioni occidentali", prosegue il direttore dell'Ibaf-Cnr.
"La diffusione, verificatasi dall'età del bronzo a quella romana, è avvenuta grazie alle penetrazioni commerciali romane nelle regioni trans-danubiane, sino al Baltico e ai confini delle steppe russe. Inoltre la successione di periodi di forte espansione e di contrazione della presenza del noce, riscontrata negli ultimi 4mila anni, si deve al variare dello sfruttamento umano".
"Un forte riconoscimento per il lungo e impegnativo lavoro svolto va a Maria Emilia Malvolti, Paola Pollegioni, Francesca Chiocchini, Marco Ciolfi, Irene Olimpieri, Virginia Tortolano dell'Ibaf-Cnr, a Stefano Del Lungo dell'Ibam-Cnr Istituto per i beni archeologici e monumentali, e a Sergio Mapelli dell'Istituto di biologia e biotecnologia agraria (Ibba-Cnr), la cui collaborazione testimonia l'importanza della cooperazione trasversale ed interdipartimentale tra istituti Cnr e mostra come solo un approccio multidisciplinare fornisca una visione olistica dei fattori che hanno determinato la storia evolutiva delle specie", conclude Massacci.
Il tema di ricerca nel 2011 è stato l'oggetto di un accordo internazionale tra Ibaf-Cnr, Earth trust hill farm little Wittenham, Oxon - Oxford (Uk) e United States department of Agriculture (Usda), Hardwood tree improvement and regeneration center (Htirc), Purdue University (Usa), che nel 2012 ha permesso di candidare con successo il progetto 'Walnet - Walnut landscape genetics in the native range', finanziato dall'Ue e dalla Regione Umbria nell'ambito del programma Marie Curie I-Move.