E’ quanto emerge dal quarto ciclo di audizioni dell’indagine conoscitiva sull’emergenza legata alla diffusione della Xylella fastidiosa in Puglia condotta dalla Commissione agricoltura della Camera dei Deputati. Il 25 settembre scorso hanno partecipato al dibattito parlamentare il professor Domenico Bosco, docente di Entomologia agraria presso l’Università di Torino in rappresentanza della Società entomologica italiana; il professor Michele Perniola, docente di Agronomia e coltivazioni erbacee presso l’Università della Basilicata in rappresentanza della Società italiana di agronomia, la professoressa Maria Lodovica Gullino, docente di Patologia vegetale presso l’Università di Torino per la Società italiana di patologia vegetale e il presidente della Società di ortoflorofrutticoltura italiana, Luigi Catalano.
La professoressa Gullino della Sipav ha ribadito come la “Xylella sia un problema complesso ma, tutto sommato, affrontabile. Proprio come è accaduto in California, dove è arrivato il cugino del nostro batterio, si possono mettere in pratica metodi per una convivenza futura, sebbene la coltivazione delle olive nelle zone infette, così come quella della vite in quei territori degli Usa, è verosimilmente un miraggio”.
Gli auditi hanno ribadito, poi, la necessità per la biosicurezza di affrontare le problematiche in maniera olistica, superando i localismi. “Quel che serve ora – ha dichiarato Catalano (Soi) – è una visione a 360 gradi, in grado di ridisegnare questi territori per uno sviluppo che non venga intralciato ulteriormente dalla Xylella, anche perché questo batterio coinvolge mandorlo e ciliegio che sono due colture che vedono la Puglia sempre al primo posto in Italia. Altrimenti si rischia la desertificazione”.
“Dagli auditi è emersa chiaramente la necessità di procedere con metodi altamente ecocompatibili per sopprimere la popolazione del vettore del batterio, la cosiddetta sputacchina, come sfalci e lavorazioni del terreno – dichiara il deputato Giuseppe L'Abbate, esponente M5S e relatore dell’indagine conoscitiva – La tecnica migliore è risultata la fresatura che permette di macinare la vegetazione dove il vettore prolifera con un interramento adeguato che non danneggia, però, l’apparato radicale degli alberi di olivo”.
L’Abbate ha inoltre sottolineato come “Le società scientifiche hanno ribadito come gli alberi in buona salute abbiano risposto meglio e abbiano contrastato nel tempo la malattia che, al contrario, si è diffusa rapidamente ed in maniera devastante laddove queste condizioni venivano meno”.
“Diverse le concause secondo gli esperti – ha aggiunto L’Abbate – dagli impianti anziani alla mancata attuazione delle buone pratiche agronomiche. Ciò è stato dovuto essenzialmente all’insufficiente reddito degli agricoltori e dalle scelte imposte dalle caratteristiche della Pac che, nel tempo, ha preferito il contributo a pioggia al sostegno per le produzioni di qualità, peggiorando la già precaria situazione di partenza”.
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