Luca Lazzàro, presidente di Confagricoltura Taranto, annuncia così l’inizio della stagione dell’uva da tavola, che va da fine giugno a dicembre e rappresenta uno snodo fondamentale per l’intera agricoltura della provincia di Taranto.
“E’ un settore cruciale per la Terra ionica – spiega Lazzàro – perché coinvolge 3mila imprese agricole, il 27 per cento del totale e oltre 5300 addetti. Quella del 2016 sarà una lunga campagna in cui la provincia di Taranto, con le sue circa 240mila tonnellate raccolte (dato Ismea 2014), proverà a confermare la sua leadership in Puglia e a livello nazionale”.
L’Italia, infatti, produce poco più di un milione di tonnellate di uva, di cui il 60 per cento è raccolta in Puglia, e oscilla tra il terzo e quarto posto nel ranking mondiale, dietro Cina, Turchia e in lotta con l’emergente Iran.
“Fino ad una ventina d’anni fa – ricorda Lazzàro – dalle nostre parti bastava produrre uva per vendere senza difficoltà a buoni prezzi e conquistare fette consistenti di mercato: a partire dall’uva Italia che, con un nome così, ha il brand incorporato. Ora, invece, bisogna misurarsi con la concorrenza dei produttori di oltre 40 Paesi esteri, molti dei quali si trovano nel bacino del Mediterraneo e spesso sono avvantaggiati da costi di produzione più bassi, da una burocrazia meno asfissiante e, talvolta, anche da una migliore organizzazione”.
Il comparto uva da tavola in Puglia non solo ha la necessità di tenere le posizioni, ma deve raccogliere la sfida della concorrenza: "Puntando sulla riconosciuta qualità del nostro prodotto e valorizzandola su nuovi mercati – sottolinea il presidente di Confagricoltura Taranto - In questo senso, l’embargo russo ha penalizzato notevolmente l’uva pugliese, il cui export verso quel Paese è crollato del 90 per cento, ma deve stimolarci a guardare oltre, a cercare nuovi sbocchi e consolidare quelli conquistati proprio nell’Europa dell’Est. Così come la Brexit, con l’uscita dall’Ue e la svalutazione della sterlina, potrebbe rappresentare un problema per le nostre esportazioni in Gran Bretagna, un mercato nel quale siamo molto attivi”.
Il comparto uva da tavola in Italia e Puglia
Il comparto dell’uva da tavola in Italia soffre per il calo del consumo interno, che negli ultimi anni sta arretrando sia in produzione che in superfici coltivate, mentre le esportazioni si confermano come un elemento trainante per la filiera: assorbono più del 40% della produzione. L’export, infatti, nel 2014 ha originato vendite per 450mila tonnellate per un controvalore di 550 milioni di euro, ponendo l’Italia in vetta al mercato europeo.
Gran parte di questo fatturato nasce, cresce e viene commercializzato in Puglia, Regione guida in Italia, nonostante la riduzione, dal 2010 ad oggi, da 43mila ettari coltivati a 25mila.
In testa, secondo i dati Ismea, ci sono Bari con circa 11mila ettari e Taranto, con i suoi 10mila ettari distribuiti tra Grottaglie, Castellaneta, Ginosa, Palagiano, Massafra e Palagianello; seguono la provincia di Barletta Andria Trani con circa 4mila e Foggia con meno di mille ettari. Due le principali piazze di produzione tarantine: Grottaglie e Castellaneta.
Grottaglie: uva Vittoria e Superior
A Grottaglie – 5mila ettari e 1,5 milioni di quintali prodotti - la fanno da padrone l’uva Vittoria, varietà precoce con semi e la Superior, senza semi: "Quando la Puglia comincia a tagliare uva – dice il produttore grottagliese Dodi De Stefano – lo fa proprio qui a Grottaglie. La Vittoria, gialla e zuccherina, è leader di un mercato che vale tra 80 e 100 milioni di euro e interessa centinaia di aziende molto frazionate e specializzate tra Grottaglie e i territori vicini, Monteiasi, Montemesola e alcune zone ad est di Taranto verso il Mar Piccolo”.
La stagione, però, sta partendo con poco sprint, a causa “dell’andamento climatico sfavorevole e del mercato che stenta a decollare”. Turbolenze esterne che hanno gettato sabbia nell’ingranaggio: “Ci vogliono 150-200 giornate di lavoro solo per l’acinellatura – spiega De Stefano – sono una zavorra pesante per i produttori. Il settore ha un urgente bisogno di cambiamento e oculata programmazione: innovazione varietale soprattutto, che è necessaria per far sopravvivere le aziende e abbassare i costi fissi. Avviare un nuovo impianto di uva senza semi, quella che il mercato sta chiedendo fortemente, significa investire tre anni di tempo e 50mila euro per ettaro da quando si pianta la barbatella al primo taglio: sbagliare varietà può essere deleterio, per questo c’è tanta incertezza tra i produttori”.
Castellaneta: difficile scegleire le cultivar senza semi
A Castellaneta, invece, è sempre l’uva Italia a dettare legge. Rappresenta ancora il 40 per cento del mercato e per anni ha fatto la storia e la ricchezza dell'uva da tavola della Puglia. Antonio Spronati ne produce parecchia nei cento ettari dell’azienda di contrada Sant’Andrea, enclave particolarmente vocata in agro di Castellaneta:
“L’uva Italia – conferma Spronati – è assieme alla Red Globe la protagonista più importante del settore. Il mercato, però, sta richiedendo sempre più varietà senza semi e la nostra area di produzione si sta riconvertendo rapidamente, nonostante qualche difficoltà. Esistono molte cultivar, infatti, e royalty da pagare alle multinazionali per poterle impiantare. La crescita della richiesta è già notevole: il mercato e i gusti dei consumatori spingono in questa direzione”.
Richiesta pressante che arriva dal Nord Europa, Germania e Paesi Scandinavi su tutti, ma anche da nuovi mercati come gli Emirati Arabi, dove si prediligono uve rosse, nere e bianche senza semi.
La differenza, come spesso accade, continuano a farla i costi di produzione e il prezzo di vendita. Negli ultimi anni l’evoluzione verso qualità nuove e certificate e l’aumento della manodopera impiegata, soprattutto quando il clima è inclemente come quest’anno, hanno spostato l’asticella più in alto, ma le tensioni al ribasso dal lato della commercializzazione restano elevate.
“Per un chilo d’uva in cestino – conclude Spronati – bisogna partire da almeno un euro per cominciare ad essere soddisfatti”.