Ieri sera ho ascoltato un giovane poeta salentino. La sua era una melanconica e amara lirica davanti a un oliveto distrutto dalla Xylella. Un giornalista di un noto quotidiano ha titolato tempo fa "Storia della Xylella infame" ricordando la storia della caccia agli untori di manzoniana e scolastica memoria. Nel frattempo l'Efsa, la Fao e numerose istituzioni scientifiche fra cui la Accademia dei Lincei (non tralasciando articoli apparsi per esempio sulla prestigiosissima rivista Nature) avevano dimostrato la inconsistenza del "gombloddo".

Apprendiamo poi che - Deo Gratias - è stata decretata l'archiviazione per l'indagine riguardante la supposta diffusione della Xylella da parte di ricercatori e funzionari. Che sono stati però intanto sottoposti a un infamante processo mediatico.

La storia è di una terribile tristezza e testimonia come il nostro paese abbia toccato un punto di assoluto caos. Caos istituzionale, politico, sociale. Il danno è incredibile: oliveti secolari, piante ancestrali, morte. Un danno economico diretto ma anche un danno al paesaggio, alla storia e alla cultura. Un danno che si poteva evitare o perlomeno limitare.
A partire da chi doveva tagliare l'erba dove albergano le banalissime sputacchine vettori dell'infezione e continuando per chi ha iniziato la seicentesca caccia agli untori, per chi ha ritardato le misure di emergenza, per chi ha fatto di una infezione un fatto ideologico e politico.

Ricordiamo che si trattava, si tratta, di un grave accadimento fitopatologico. Ad essere interpellati con fiducia devono essere prima di tutto gli scienziati e i fitopatologi, che dovranno poi rispondere delle misure che prendono. Come del resto in una epidemia sanitaria ci attendiamo e speriamo che siano interpellati scienziati e medici che avranno la responsabilità di quanto fanno.

Parrebbe ovvio: in Italia non lo è.