C’era una volta in Trentino il famoso “protocollo”. E c’è ancora, in effetti, nonostante alla fine del 2016 la peronospora abbia inanellato una serie consistente di vittorie, o che in autunno gli avvocati abbiano preso il posto degli agronomi, oppure ancora che importanti cantine abbiamo deciso di uscirne sbattendo la porta. La fame di eco-salutismo di media e consumatori va infatti appagata, anche a costo di far lasciare sul terreno parte della produzione, sia in termini di quantità, sia di qualità.
 
A fronte però di tali sberle prese in campo dalla peronospora, per il 2017 qualcuno ha pensato bene di arricchire la faretra dei viticoltori con un prodotto ad azione multisito. Sapete, uno di quei senatori della fitoiatria che ancora reggono sulle spalle buona parte delle guerre alle patologie, preservando al contempo la vita delle giovani reclute monosito, quelle cioè cui basta una sola mutazione e puoi buttarle nel cestino causa resistenze.
 
A lungo si potrebbe discutere sul perché dithianon sì e folpet no. Magari lo si farà un’altra volta. Ciò che merita ora più attenzione è che tale inserimento abbia scatenato strilla per lo più scomposte, con i principali social network intasati dai pittogrammi e dalle frasi di rischio che quel prodotto a base di dithianon porta in etichetta. Inaudito, per taluni, che un prodotto “sospetto di essere cancerogeno” possa essere utilizzato nei vigneti. Un passo indietro, viene definito. Come se la fitoiatria fosse una strada a senso unico anziché a doppio senso di circolazione: quando le cose vanno bene si alza il piede dall’acceleratore, quando vanno male si deve avere a disposizione un acceleratore da schiacciare. E visto cosa sta succedendo in tema di vite-peronospora si deve ammettere che in futuro quell’acceleratore si dovrà purtroppo schiacciarlo ancor di più di quanto fatto in passato (leggi gli approfondimenti: "Fitoiatria nobile arte" e "Cambia il clima, non la peronospora").
 
Cascano male in tale sarabanda social perfino le nuove viti resistenti alle patologie. Sarebbero la fine della biodiversità, secondo alcuni. In sostanza, ricercatori e tecnici possono fare e inventare di tutto e di più, ma prenderanno solo sassate, come viene ricordato anche nella famosa canzone di Antoine, rimasta famosa per il ritornello “se sei buono, ti tirano le pietre…”.
 
Intanto, poco più a sud-est il Consorzio di tutela della Doc Prosecco annuncia di voler eliminare glifosate, mancozeb e folpet, quasi fosse impermeabile a quanto successo in Trentino per il vizio di tirare troppo la coperta fitoiatrica. Nonostante l’assenza di problemi sanitari, accuse smentite dalle statistiche ufficiali, né si siano mai misurati concretamente i disastri ambientali paventati dai media, il presidente Stefano Zanette annuncia che quelle tre molecole saranno escluse dai protocolli di difesa del consorzio da lui diretto. “Abbiamo piantato il primo chiodo e da qui non si torna indietro”, è stato l’incipit del suo discorso in occasione dell’assemblea del Consorzio. Un esordio lapidario che crea potenti aspettative per gli anni a venire, come pure molta curiosità, ovviamente.
 
Ancora, come già visto per il caso Trentino-dithianon, i social hanno fatto da termometro a siffatta decisione, plaudendo alla "lungimiranza e al coraggio" del Consorzio e del suo presidente, più tanti proclami sui quali non vale la pena soffermarsi. O forse è solo questione di tempo prima che suddetti proclami possano essere riesumati per ricordarne la vuotezza.
 
A parte fare i migliori auguri di lungo periodo ai viticoltori veneti e trentini - e il cielo sa quanto ne abbiano bisogno - solo un commento merita di esser fatto e va fatto sul vino. Un approfondimento talmente specifico e originale, però, che meritava un articolo a parte.