"La situazione di mercato, almeno a breve termine, resterà invariata. Con una produzione globale che a inizio d'anno ha registrato nuovi record e stock elevati a livello mondiale (1.764 miliardi di bushel a gennaio, ndr) è molto difficile pensare a una ripresa dei prezzi".
E' questa, in sintesi, l'analisi che Carla Corticelli, direttore di Unione Seminativi, traccia in merito al difficile momento che il mercato dei cereali sta attraversando. Restano deboli le quotazioni del frumento - con un andamento in calo -, così come quelle di mais e soia, a delineare un quadro di stasi complessiva.
In ambito nazionale, poi, si registra una brusca frenata per il frumento duro, difficile da piazzare soprattutto se di buona qualità. Un quadro che, per il direttore di Unione Seminativi, non sembra destinato a cambiare, almeno nell'immediato.
"E' difficile fornire previsioni a medio termine - precisa Carla Corticelli che, sul futuro, si mantiene cauta -. Troppe sono le variabili che possono influenzare il mercato: speculazioni, dollaro, quotazioni del petrolio e andamento meteorologico. Non sarebbe realistico fare ipotesi di medio-lungo periodo".
Se non pare possibile fare previsioni di prospettiva, una cosa è certa: uscire dalla crisi si deve. E, soprattutto, si può.
Come?
"Attraverso la stipula di contratti di filiera con l'industria attraverso forme di aggregazione della componente produttiva - afferma Corticelli -. Questi accordi non sono la panacea per tutti i mali, ma rappresentano una delle poche vie d'uscita alla difficile situazione dei prezzi e del mercato nella quale ci troviamo".
Accanto alla creazione dei contratti di filiera, un punto importante riguarda la creazione di valore aggiunto.
"Si può puntare, in primis, sui
prodotti ad elevato valore aggiunto, ad esempio relativi ad alcuni utilizzi per i cereali minori, come l'orzo da bevanda o il farro - sottolinea il
direttore -, investendo su prodotti con caratteristiche qualitative
ben definite destinati ad alimenti ad alto valore aggiunto".
L'obiettivo - è bene ricordarlo - è quello di rafforzare l'agricoltura italiana e di mantenere le produzioni cerealicole entro i confini nazionali scongiurando il rischio del decentramento.
"Se smettiamo di coltivare cereali in Italia - avverte Corticelli - a
cascata chiuderanno i centri di stoccaggio, con inevitabili ricadute
negative anche sui molini, a cominciare dall'aumento dei costi di
trasporto. Al contrario è importante lavorare perché le filiere si possano rafforzare in Italia e vengano valorizzate le nostre produzioni, con una riduzione delle quantità importate".
E, a proposito di tipicità e, più in generale, di qualità, fa discutere la decisione del Comitato tecnico permanente agricoltura della Conferenza Stato-Regioni che in questi giorni ha espresso parere favorevole alla soppressione dell’obbligo di impiegare seme certificato, per poter accedere ai contributi previsti dall’articolo 68 per il grano duro.
"Si tratta di una decisione che solo in apparenza porterà ad un immediato risparmio - stigmatizza Corticelli -. In realtà, la possibile riduzione dell’impiego di seme certificato comporterebbe sicuramente difficoltà nell’assicurare la tracciabilità e la rintracciabilità, oltre ad un probabile peggioramento quantitativo e qualitativo delle produzioni di frumento italiano, con ripercussioni per l’aumento delle importazioni di granella estera e per il conseguente danno economico che subirebbero gli agricoltori, che potrebbero vedere le loro produzioni ulteriormente penalizzate".