E’ la burocrazia ad ubriacare, non il vino. Potrebbe essere questo lo slogan di una campagna contro la macchina amministrativa che ogni anno sottrae al mondo agricolo -e in particolare al comparto vitivinicolo- oltre 4 miliardi di euro, il 30 per cento dei quali addebitabile a ritardi, a disservizi e inefficienze della Pubblica amministrazione. Analisi recenti rivelano che a ogni azienda agricola, nel suo complesso, la burocrazia costa circa 2 euro all’ora, 20 euro al giorno, 300 al mese e ben 7.200 l’anno: laddove possibile il comparto vitivinicolo paga ancor maggior dazio, essendo più di altri soggetto a continue e costose verifiche da parte di organismi pubblici di controllo.

Lo afferma una nota della Cia; la Confederazione italiana agricoltori, da anni impegnata nel combattere il pantano burocratico del settore, chiede una semplificazione amministrativa e fiscale, ritenuta un fattore indispensabile per lo sviluppo. Un ulteriore contributo in tal senso viene fornito a Verona durante la 48ª edizione del Vinitaly (6-9 aprile), dove la Cia presenta, nel suo stand, l’iniziativa “Libera il vino dalla morsa della burocrazia” che ha l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della semplificazione. In questo senso è stata anche avviata una raccolta di firme per invitare le istituzioni a snellire le troppe procedure cui le imprese vitivinicole sono costrette a sottostare. Nel corso della manifestazione la Cia espone nei suoi spazi le etichette di produttori “under 40” che, pur avendo investito in tecnologia e sviluppo, troppo spesso si trovano a fare i conti con una macchina dello Stato Paese dai tratti bizantini che rende quasi impossibile competere.

Sul settore del vino si concentrano controlli e soprattutto adempimenti di varia natura, in misura superiore rispetto a ogni altro comparto del settore agroalimentare. Per arrivare a “tappare” una bottiglia di vino doc, un viticoltore -afferma la Cia- deve avviare un iter burocratico oltremodo complesso che inizia con la richiesta di poter piantare la vite, con l’attesa della verifica e la successiva iscrizione della vigna all’albo. Questo è solo l‘inizio: in totale sono 21 gli uffici amministrativi a cui il viticoltore deve rivolgersi per ottenere le certificazioni e avviare infine la produzione e la vendita. Non esiste un unico organo a cui fare riferimento: prima il Comune, poi Provincia, Regione, Camera di commercio, Asl, Inps, Inail, Cciaa, Agenzia delle entrate, Vigili del fuoco, Guardia forestale, Carabinieri, Consorzi di tutela e ancora Polizia municipale, Guardia di finanza, Ufficio repressione frodi. Ciò rende praticamente impossibile per un viticoltore districarsi da solo in questa selva di uffici e di carte bollate: nel 65 per cento dei casi è difatti costretto ad assumere una persona che svolga questa attività per suo conto, mentre il restante 32 per cento si rivolge a un professionista esterno. I costi aggiuntivi sono facilmente immaginabili.

Questo complesso iter burocratico -rimarca la Cia- rende difficile competere con Paesi, come ad esempio la Francia, dove i controlli e gli oneri sono meno della metà di quelli previsti in Italia. “Siamo -avverte il presidente della Cia Dino Scanavino- in una situazione assurda. Ormai i costi della burocrazia sono divenuti insostenibili. E a questi si aggiungono quelli produttivi e contributivi. Le aziende sono oberate e vedono ridurre sempre di più la loro competitività. Rinnoviamo il nostro appello affinché si introducano al più presto elementi semplificativi che consentano migliori margini di manovra all’imprenditore. Un problema grave al quale le Istituzioni nazionali ed europee devono porre riparo in tempi brevi”.

Secondo uno studio della Cia, le procedure burocratiche a rappresentano il maggiore deterrente per un giovane che vorrebbe avviare un’attività nel settore del vino. E quelle che già esistono non se la passano meglio: il 78 per cento delle aziende deve confrontarsi con una pressione fiscale, previdenziale e contributiva che costituisce un pesante freno all’innovazione, al progresso e alla competitività. Insomma, secondo una recente indagine, il 56 per cento degli imprenditori sarebbe disposto ad affrontare nuovi investimenti, ma non prima di un taglio del carico burocratico di almeno il 25 per cento.