Il vino è uno dei prodotti simbolo del made in Italy, con un fatturato che si tiene stabilmente al 10% dell'intero settore agroalimentare italiano, ma vive sicuramente una stagione di contrasti. Negli ultimi dieci anni, se da un lato il prodotto italiano, specie quello di qualità, non ha smesso di trovare nuovi mercati ed incrociare preferenze inedite, nella fase più recente sembra perdere colpi, per una serie di fattori: domanda ferma sul mercato interno, il rallentamento dell'export, il cambio dei gusti dei consumatori, con un aumento delle giacenze in cantina che ultimamente non riguarda più solo il vino comune ma si affaccia sulle Indicazioni Geografiche e per i vini rossi anche sulle Denominazioni di Origine Protetta.
Insomma, si è un po' come in mezzo ad un guado tra passato e futuro di questo settore, dal quale non sempre è facile l'approdo alla nuova sponda, e dove le scelte di oggi, quelle del presente, saranno decisive, a tutti i livelli.
Sulle possibili soluzioni e vie d'uscita, AgroNotizie® - in occasione del rinnovo dei vertici di Federvini, l'associazione di produttori federata a Federalimentare e Confindustria, che ha portato alla presidenza il produttore di aceti Giacomo Ponti - ha sentito il vicepresidente Piero Mastroberardino, irpino, produttore di vini. Dalle sue parole vengono indicazioni precise e che fanno chiarezza sui passi da fare.

Piero Mastroberardino
(Fonte: Federvini)
Il mondo del vino attraversa una fase particolare, quella di una diminuzione della domanda complessiva di prodotto, con il mercato interno fermo ormai da anni e l'export che non cresce più come in passato, anche se continua ad offrire soddisfazioni: siamo già alla necessità di ridurre la produzione - come pure autorevolmente suggerito - o ci sono ancora spazi per vendere vino di qualità aggredendo nuovi mercati e puntando sulle generazioni più giovani?
"Suggerirei anzitutto di tenere distinto il dato strutturale da quello congiunturale. Buona parte delle correnti riflessioni è fondata su analisi che insistono sul dato congiunturale il quale vede un consumo di vino che non brilla - principalmente - per una diminuzione del potere d'acquisto del consumatore mondiale per gli effetti dell'inflazione post covid-19 e, per il continente europeo, legato alla fiammata della componente energetica successiva al conflitto russo-ucraino. In questo contesto, si sono innestati i continui venti di guerra, le tensioni geopolitiche e, per quello che è il principale mercato di esportazione del vino italiano, la disputa dei dazi Ue-Usa".
"Sul piano strutturale stiamo leggendo un tendenziale cambio dei consumi, ma allo stato attuale è ancora difficile stabilire se i nuovi modelli comportino una diminuzione del consumo globale o una sua rimodulazione secondo le diverse fasce di prodotto. Nel mondo la domanda di made in Italy non è diminuita e gli spazi per crescere nel segmento dei prodotti di qualità esistono, nei mercati maturi come in quelli più lontani. Sarebbero dunque da evitare misure di intervento di tipo strutturale, prima di aver contezza degli effetti congiunturali. Andrebbero invece rafforzati gli interventi di cura e stimolo della domanda".
Il vino dealcolato può essere una chance per riprendere posizioni sui mercati?
"Più che di vino dealcolato ritengo corretto parlare di vini a bassa gradazione, ponendo all'interno di questo insieme anche i dealcolati. Ulteriore distinzione va fatta tra i vini a bassa gradazione e quelli 'naturalmente a bassa gradazione', prodotti dunque secondo i canoni già noti, che restano legati maggiormente al tema della vigna, che in molti casi rispettano anche i parametri degli attuali disciplinari di produzione e che meglio approssimano i canoni estetici e gustativi attuali rispetto alle categorie dei dealcolati".
"È tuttavia ancora da capire quanta parte di questo interesse per i vini a bassa gradazione si trasformerà in domanda di mercato. Sul posizionamento in senso stretto del vino dealcolato, il tema cardine resta la capacità di individuare spazi di mercato integrativi e diversi da quelli già serviti, come complemento di un'offerta che si amplia e non come sostituto. In questo senso, potrebbe allargare la base dei consumatori, avvicinando anche quelle fasce oggi distanti dal vino o più curiose rispetto alle innovazioni di prodotto".
Pacchetto Vino della Commissione Ue, quale è la posizione complessiva di Federvini?
"La Federazione non può che dirsi soddisfatta del lavoro svolto dalla Commissione Europea sul Pacchetto Vino e, prima ancora, dagli Stati membri nel Gruppo di Alto Livello che ha creato le condizioni politiche per poter procedere con le proposte legislative oggi contenute nel Pacchetto Vino. Con alcune ulteriori migliorie che potrebbero arrivare con il passaggio parlamentare avremo a disposizione del settore un buon set di disposizioni, dalla semplificazione sul fronte dell'etichettatura a una maggiore flessibilità sulla gestione del potenziale produttivo, a novità positive sulla promozione, a un intervento più cospicuo sugli investimenti rivolti all'adattamento al cambiamento climatico".
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Le periodiche crisi di sovrapproduzione di vino comune, le contromisure proposte dalla Commissione bastano?
"Il Pacchetto Vino contiene alcune novità interessanti che offrono gli Stati membri maggiori margini di intervento: i prossimi mesi serviranno a comprendere se sono sufficienti o se sarà necessario un ulteriore intervento in occasione della prossima riforma della Pac. Vorrei però fare una precisazione: non siamo in una situazione di sovrapproduzione, almeno non in senso stretto. Siamo invece all'interno di un ciclo economico dominato dall'incertezza, che non aiuta di certo nella gestione dell'impresa, rallentando le decisioni di investimento e - di riflesso - le scelte di consumo. Più che guardare all'offerta allora, concentriamoci sulla domanda per comprendere cosa sta funzionando - preservandolo - e cosa non va, correggendo laddove necessario".
Dazi Usa, la recente lettera del presidente Trump sembra cambiare nuovamente le carte in tavola: un dazio del 30% che impatto avrebbe sull'export italiano di vini verso gli Usa e quale è la posizione di Federvini sull'atteggiamento da tenere ora da parte della Commissione Ue e del Governo?
"Federvini ha sempre espresso profonda preoccupazione sin dall'annuncio di questa primavera di un dazio reciproco al 20%. Parimenti, abbiamo sempre chiesto al Governo italiano di farsi portatore presso la Commissione Europea di una linea volta all'individuazione di un accordo tra le due parti. Crediamo che il Governo abbia tenuto sin qui una linea corretta e in linea con gli interessi nazionali in gioco. Ora è chiaro che la palla è di nuovo nel campo dell'amministrazione statunitense che dovrà dimostrare quanto vuole costruire una relazione commerciale sana con l'Ue, primo mercato mondiale con oltre 500 milioni di consumatori, senza trascurare la rilevanza del rapporto Ue-Usa sullo scacchiere globale".
Nuovi mercati, siete favorevoli all'accordo Ue-Mercosur, ma quali reali prospettive apre tale accordo al vino Italiano in America Latina?
"Un accordo commerciale è di per sé positivo perché crea condizioni di stabilità; inoltre, il mercato brasiliano - che conta circa 200 milioni di consumatori - è sicuramente interessante per i prodotti italiani, vista la presenza di una comunità italiana ben radicata nel tessuto socioeconomico del Paese. Allo stesso tempo, siamo consapevoli che si tratta di un accordo che pone delle sfide a comparti non così lontani da noi, per cui l'auspicio è che si riescano a trovare quegli accorgimenti necessari affinché tutto il comparto agroalimentare possa dirsi soddisfatto dell'operato".
Pac post 2027 e Qfp 2028-2034: sono in arrivo tagli alla prima e un accorpamento dei fondi agricoli con il fondo coesione nel secondo, quale è la posizione di Federvini?
"Le notizie che arrivano da Bruxelles sono motivo di preoccupazione, tanto che ne abbiamo voluto dare spazio anche nella nostra recente Assemblea generale. Siamo in una fase in cui gli investimenti nel settore vitivinicolo devono essere confermati, per sostenere il comparto in una delicata fase di transizione in un contesto geopolitico di crescente incertezza. Il settore vitivinicolo ha dimostrato, numeri alla mano, di essere in grado di produrre ricchezza per le comunità rurali locali: si tratterebbe di risorse investite, con un ritorno sull'economia generale, e non di sussidi".
Ocm Vino, quale futuro in questo quadro?
"Dobbiamo lavorare di più e meglio sulla domanda, curare il rapporto con i consumatori, esplorare nuove opportunità e spazi di sviluppo: in questo è centrale il ruolo svolto dalla misura della promozione dei vini nei mercati dei Paesi terzi. Siamo altresì convinti che sia il momento di aprire riflessioni più ampie sull'uso di fondi sullo sviluppo dell'enoturismo, oltre campagne di promozione del bere consapevole".
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