I vegetali una volta raccolti sono destinati a due strade: consumati freschi oppure conservati cotti o surgelati. Non tutti forse sanno che fra il consumo fresco e la conservazione esiste una strada intermedia: la fermentazione.
"È un processo naturale, a basso costo e sostenibile. Questa tecnica estende la conservabilità del cibo vegetale e animale, mantenendo le caratteristiche in termini di sapore, colore, odore e nutrizione molto vicini al fresco." - spiega Marco Gobbetti, professore della Libera Università di Bolzano - "Si stima che nella dieta mediterranea vi sia un consumo di cibi fermentati che va dal 30% al 50% in base al paese".
Vista la loro importanza nutraceutica e il loro impatto positivo sulla salute, i cibi fermentati sono stati i protagonisti della prima edizione dell'International Conference On Fermented Foods tenutosi al Noi Techpark di Bolzano dal 27 al 30 ottobre 2025.
AgroNotizie® in questo articolo cita gli interventi più innovativi: dai legumi alle piante esotiche fino ai microbiomi alimentari nella vite. Con anche uno sguardo sull'evoluzione della sicurezza dei microrganismi utilizzati in questa biotecnologia.
Che cos'è la fermentazione
La fermentazione è un processo che coinvolge la crescita controllata di batteri, lieviti o muffe. Questi microrganismi trasformano i componenti dell'alimento in composti più semplici (zuccheri e amminoacidi), migliorandone il gusto, la consistenza, la digeribilità e la conservabilità. Può avvenire naturalmente o con l'aggiunta di specifiche colture di microrganismi, dette starter, che inducono il processo.
"La fermentazione nasce da un errore. Il latte, per esempio, venne conservato male e i microrganismi invece che danneggiarlo lo trasformarono in yogurt tramite l'acidificazione. Il prodotto così invece che durare per 1-2 giorni arriva a 40 giorni di conservazione" conclude Gobbetti.
I cibi fermentati sono spesso più ricchi di nutrienti come vitamine e minerali, e per questo molto apprezzati dai consumatori per i benefici che hanno sulla salute. Esempi comuni di cibi fermentati includono yogurt, kefir, crauti, formaggi, salumi, kimchi, miso, kombucha, pane a lievitazione naturale, birra, vino, caffè e cacao.
Caffè e lieviti: come creare l'aroma perfetto
Il caffè è una bevanda molto popolare che si è estesa in Medio Oriente, Europa, Nord America e Cina; quindi ben oltre l'area tradizionale di consumo.
La coltivazione è rappresentata per un 55% circa da arabica (Coffea arabica), per un 45% circa da robusta (Coffea robusta) ed è prodotto in oltre 75 paesi nel mondo, di cui 10 sono i maggiori produttori.
Il seme del caffè dopo la raccolta e prima di essere consumato deve essere lavorato, essiccato, tostato, macinato e decorticato. Vengono individuati due metodi principali di lavorazione: il processo umido e il processo secco.
Nello specifico, su Coffea arabica si è studiato qual è l'impatto della fermentazione sulla qualità, il sapore e l'aroma; quali sono le specie di microrganismi coinvolte nel processo e il loro potenziale utilizzo per la produzione di un caffè di alta qualità. Nello specifico nella fermentazione umida del caffè l'andamento della crescita di batteri (acidi e lattici) e lieviti cambia nel tempo.
Le specie di batteri aerobici segnalate in questo caso sono Acinetobacter sp., Acetobacter sp., Gluconobacter cerinus, Enterobacter sp., Citrobacter sp. e Pseudomonas sp.; mentre le specie di lieviti sono Hanseniaspora sp. e Pichia fermentans. Entrambi sono fondamentali perché controllano alcune fasi del processo, difatti la fermentazione senza lieviti porta punteggi inferiori in termini di aroma, acidità, corposità e valutazione complessiva della tazzina di caffè. Invece, la fermentazione con lieviti inoculati migliora il punteggio in termini di aroma, acidità e punteggio finale della tazzina di caffè.
I batteri e i lieviti poi, oltre agli acidi prodotti dalla fermentazione, contribuiscono alla degradazione della mucillagine. Tuttavia, i lieviti da soli sono in grado di completare l'intero processo, mentre enzimi endogeni e batteri non lo sono.
La mucillagine è un sottile strato viscido e zuccherino che si trova fra la buccia esterna del frutto e lo strato che avvolge il seme. Viene eliminata durante la fermentazione e il lavaggio dei chicchi per ottenere una tazza dal profilo sensoriale più pulito e acido.
I lieviti, quindi, svolgono un ruolo principale nella rimozione di tale sostanza viscida, con altri fattori che agiscono in modo complementare. Mentre i batteri lattici controllano alcune fasi cruciali del processo.
In conclusione, la fermentazione è essenziale per determinare la qualità della bevanda, e i lieviti in particolare svolgono un ruolo centrale sia nella rimozione della mucillagine sia nello sviluppo dell'aroma e del gusto. Tuttavia, non tutti i lieviti contribuiscono allo stesso modo: l'inoculazione con ceppi selezionati migliora la qualità e offre un notevole potenziale per lo sviluppo di colture starter specifiche per la fermentazione del caffè.
Mango fermentato per nuovi sapori e consistenze
L'interesse per i cibi fermentati è in crescita, espandendosi su colture tradizionali come il pomodoro, ma non solo. Si stanno infatti esplorando gli effetti anche su altri frutti come il mango (Mangifera indica). Uno studio per esempio si è posto l'obiettivo di ottenere da questo frutto fermentato un gusto e un profumo gradevoli - evitando che diventi troppo morbido - con un colore naturale e una shelf life superiore ai tre mesi.
Sono stati valutati circa 750 ceppi batterici e 1.603 ceppi di lieviti, selezionati principalmente in base al loro potenziale di crescita per metro quadrato per poi raccogliere i microrganismi migliori come uno specifico ceppo di Lactiplantibacillus plantarum Lmg S-33688. Sono state poi ricercate funzionalità specifiche, come la produzione di esoproteine e immunoproteine, ma anche la presenza di enzimi digestivi, attività antimicrobica, produzione di vitamine.
Le prove sono state svolte con diverse fermentazioni su piccola scala e il tenore di etanolo è stato mantenuto al di sotto dello 0,5% secondo la normativa vigente.
Nelle fermentazioni sperimentali è stato aggiunto uno starter batterico osservando un significativo aumento dell'acido lattico. Dopo 24 ore si è registrato un leggero aumento degli zuccheri totali, ma dopo 48 ore è avvenuta una riduzione di oltre il 40%; il gruppo di ricerca ritiene questo dato molto interessante. Per quanto riguarda il colore, il frutto ha mantenuto un giallo naturale, senza fenomeni di imbrunimento.
Altro risultato interessante: la fermentazione ha migliorato la struttura gelatinosa del prodotto, permettendo di ottenere pezzi di mango stabili e consistenti senza dover aggiungere addensanti.
Dall'analisi sensoriale è emerso che l'acidità aumentava, mentre la dolcezza diminuiva, ma il gradimento complessivo saliva secondo il panel di degustazione. Colore e consistenza sono rimasti invariati, e il prodotto ha mostrato una buona stabilità alla cottura.
In conclusione, la selezione di uno specifico ceppo batterico e l'ottimizzazione del processo di fermentazione ha permesso di ottenere un mango con una maggiore stabilità strutturale e aromatica, mantenendo nello stesso tempo buone caratteristiche organolettiche. Questa frutta fermentata ha potenzialità per essere usata in pasticceria e per proporre ai consumatori nuove esperienze alimentari.
Farina di pisello per il plant based: un approccio innovativo
Negli ultimi dieci anni le vendite dei prodotti plant based, cioè alimenti di origine vegetale, sono cresciute costantemente, e questa tendenza continuerà anche nei prossimi anni secondo le previsioni. Ciò è dovuto al cambiamento delle preferenze dei consumatori a livello globale, che vedono in questi prodotti un'alternativa più nutriente e salutare, più sostenibile dal punto di vista ambientale e più etica rispetto ai cibi di origine animale.
Nonostante la domanda in crescita i prodotti plant based presentano ancora delle sfide, dovute sia al profilo sensoriale sia ai processi funzionali e tecnologici. In genere per produrre questi alimenti si parte da un estratto o da una sospensione di farina di legumi in acqua. Queste però hanno un contenuto proteico limitato e diverse proprietà di coagulazione che costringono i produttori ad utilizzare specifici agenti coagulanti e trattamenti energetici che incidono poi sui costi e sul processo stesso di produzione.
Ecco perché un gruppo di ricerca ha sviluppato un approccio tecnologico per ottimizzare l'uso della farina di pisello giallo e verde, anche per individuare nuove opportunità di impiego. Nello specifico i ricercatori hanno cercato di ottimizzare le proprietà biochimiche, sensoriali e reologiche (cioè come si comporta il materiale quando è sottoposto ad una sollecitazione) tramite la fermentazione e l'idrolisi enzimatica.
Si sono osservati due processi: la prima opzione ha valutato la fermentazione con il ceppo batterico Leuconostoc pseudomesenteroides Dsm 20193; mentre la seconda opzione ha usato una idrolisi enzimatica con una proteasi seguita da fermentazione.
Il processo con le migliori prestazioni è stato quello con l'idrolisi combinata alla fermentazione: osservato a 20-25°C ha prodotto una maggiore concentrazione presunta di esopolisaccaridi, un aumento della viscosità di circa il 50% e un miglioramento delle proprietà nutrizionali, con un incremento degli amminoacidi liberi totali fino al 22,97% e dei peptidi fino al 15,30%. Si è svolta anche un'analisi dei composti volatili che ha evidenziato un profilo aromatico più complesso nella fermentazione del pisello verde rispetto al giallo, tra cui alcoli, esteri, aldeidi, chetoni e acidi. Inoltre, dal punto di vista reologico entrambe le farine hanno mostrato un comportamento solido-elastico, una caratteristica che indica una buona struttura del composto.
Sulla base dei risultati ottenuti si è scelta la formulazione a base di pisello giallo per la produzione di una crema spalmabile vegetale. La ricetta sperimentale ha incluso 35% di farina di pisello giallo, 45% di latte di cocco e 20% di farina di mandorla. Il prodotto, leggermente acido, risultava ricco di proteine e fibre in conformità con il Regolamento Ce 1924/2006, con un profilo nutrizionale equilibrato. Il latte di cocco e la farina di mandorla hanno contribuito a fornire acidi grassi insaturi, migliorando la qualità nutrizionale complessiva.
L'analisi sensoriale ha mostrato che il sapore sgradevole, tipico della farina di legumi, viene ben coperto dalla presenza di aromi naturali aggiunti alla crema spalmabile e il prodotto refrigerato è rimasto stabile per 10 giorni.
In conclusione, la combinazione di fermentazione ed enzimi ha permesso di ottenere un prodotto vegetale, alternativo ai prodotti lattiero-caseari, ad alto contenuto proteico e di fibre, con sapore equilibrato e buona stabilità, senza necessità di additivi strutturanti per rispondere alle esigenze dei consumatori del mercato vegetale.
Nebbiolo e microbioma: il legame tra ambiente e vino
I microbiomi si trovano ovunque e fanno parte del nostro sistema alimentare. Per microbioma si intende una comunità di microrganismi diversi che occupa un determinato ambiente, e considera anche come tali microrganismi interagiscono tra loro in base alle condizioni ambientali circostanti. Queste comunità, essendo presenti ovunque, colonizzano anche le radici e il suolo e possono essere influenzate dalle pratiche agricole, dal genotipo varietale e dall'ambiente.
Proprio su questo aspetto si sono presentati i risultati relativi alla diversità microbica e alla dinamica delle fermentazioni in viticoltura, in particolare della cultivar Nebbiolo. I microrganismi (lieviti e batteri), infatti, sono anche l'anello di congiunzione fra le caratteristiche dell'uva e la trasformazione finale in vino.
Lo studio si è concentrato sull'interazione fra ambiente, composizione del suolo, qualità dell'acqua, pratiche agricole e intervento umano per valutare come i microrganismi del suolo e dell'acqua influenzano la fermentazione e, di conseguenza, la qualità del vino prodotto. L'obiettivo? Comprendere più a fondo la qualità primaria del vino e come cambia in base all'area di coltivazione.
Nel caso dello studio si sono prese in considerazione come aree la Valtellina (Vt), il Nord Piemonte (Np) e il Sud Piemonte (Sp). Sono stati raccolti campioni da 38 vigneti di diverse aree sottoposti a fermentazioni inoculate. Poi sono state svolte delle analisi metagenomiche sui batteri e i funghi seguite da una caratterizzazione chimica.
I risultati ottenuti hanno sottolineato differenze significative fra le tre aree di coltivazione dovute alle condizioni climatiche e alle diverse comunità fungine e batteriche presenti. Difatti, sembrerebbe che l'origine geografica influisca sulla composizione microbica e sull'equilibrio tra funghi e batteri nella fase prefermentativa, indicando anche che i funghi sono i più sensibili alle variazioni ambientali.
Per le comunità fungine si segnalano Starmerella bacillaris e Hanseniaspora uvarum che sono state riscontrate nelle zone più fresche (Np, Vt), mentre Aspergillus proteae, A. niger e Cladosporium risultano più abbondanti nelle regioni più calde (Sp). Pichia californica, P. terricola, Zygosaccharomyces bailii e Z. meyerae sono invece associate a condizioni di elevata umidità e stress osmotico (Np). Per le comunità batteriche si segnalano Bacillus e Brevibacillus che sono legate ad ambienti più caldi e secchi (Sp), mentre Tanticharoenia e Komagataeibacter sono associate a zone più fresche e umide, con possibile contaminazione di origine tellurica (Np). La presenza di Corynebacterium potrebbe invece essere correlato al suolo e alle pratiche di gestione agronomica (Vt).
Si è valutato poi il microbiota fermentativo delle uve riscontrando che le comunità fungine influenzano l'andamento della fermentazione. Nelle prime fasi predominano specie ambientali, mentre nelle fasi successive si afferma Saccharomyces cerevisiae. Inoltre, alcuni funghi specifici sono associati alla modulazione dell'acidità, alla tolleranza allo stress, alla resistenza al freddo e alla complessità aromatica del vino. Analizzando poi i composti volatili, ci sono differenze significative nella composizione aromatica, con concentrazioni più elevate di acidi a catena lunga e oligonucleotidi nelle zone più calde, che contribuiscono a profili aromatici più complessi.
In conclusione, si può affermare che a livello microbico le popolazioni hanno degli schemi di crescita rapidi determinati sia dalle condizioni ambientali che dagli interventi umani; durante la fermentazione il microbiota influisce in modo decisivo sulla qualità del vino e che la gestione del processo di vinificazione modella la composizione del microbiota e di conseguenza il profilo sensoriale.
Sicurezza alimentare: dalla tradizione al genome editing
Per i microrganismi alimentari esiste una regolamentazione gestita sia dall'Efsa sia dal Fda. I protocolli di valutazione microbiologica gestiti dall'Efsa (denominato "Qualified Presumption of Safety" - Qps) e dal Fda (denominato Gras) utilizzano approcci differenti, ma hanno l'obiettivo comune di garantire la sicurezza dei microrganismi usati negli alimenti.
Per quanto riguarda l'Europa, nel corso di 20 anni (2005-2025) l'Efsa ha sviluppato un sistema sempre più preciso per la valutazione del rischio, passando da un approccio generale nei primi anni ad un quadro più dettagliato basato sulla genomica e la biotecnologia (ad esempio l'uso del sequenziamento completo Dna).
In particolare, le sequenze genomiche complete sui batteri potrebbero aiutare l'identificazione tassonomica e la verifica dell'assenza di geni responsabili della resistenza agli antimicrobici, una delle problematiche più comuni di questo settore. Infatti, il sequenziamento completo del genoma è la base moderna per la valutazione del rischio dei microrganismi. Permette di integrare nell'analisi gli aspetti tassonomici, genetici, fenotipici e ambientali per identificare potenziali rischi legati appunto alla resistenza antimicrobica ma anche dalla tossicità o dalla modifica genetica.
Questo perché di base i microrganismi Qps non geneticamente modificati non rappresentano un pericolo per l'uomo, gli animali e l'ambiente. Infatti, rientrano in una lista "positiva" che grazie all'analisi approfondita dei dati scientifici sono ritenuti sicuri per l'uso alimentare.
In tutti gli altri casi non sono attesi rischi se:
- si tratta di un ceppo batterico privo di resistenza antimicrobica acquisita, incapace di produrre antimicrobici terapeutici o metaboliti dannosi per l'uomo e gli animali;
- si tratta di un ceppo di lievito o di un fungo filamentoso se sensibile ad almeno due composti antifungini terapeutici, incapace di produrre antimicrobici e metaboliti tossici o non patogeno.
In sostanza, l'Efsa definisce i microrganismi Qps automaticamente sicuri; mentre per tutti gli altri ceppi la valutazione si basa sull'assenza di geni di resistenza, sulla non patogenicità e sulla sensibilità a trattamenti specifici (antifungini e antimicrobici).
Ora che si è fatto un passo avanti con le nuove biotecnologie sorge un quesito fondamentale: può un ceppo geneticamente modificato essere sviluppato nel rispetto dei requisiti di sicurezza Efsa?
Per rispondere a questa domanda si è introdotto il concetto di "Safe-by-Design Genome Editing", un approccio in cui le modifiche genetiche vengono progettate fin dall'inizio con l'obiettivo di migliorare la sicurezza del microrganismo, ad esempio rimuovendo geni indesiderati o potenzialmente rischiosi.
È stato portato il caso studio su Bifidobacterium animalis subsp. lactis, un batterio probiotico comunemente impiegato in alimenti fermentati e integratori, per valutare in laboratorio la compatibilità fra l'uso del genome editing e gli standard Efsa. Nello specifico sul ceppo parentale si è eliminato uno specifico gene associato alla resistenza agli antibiotici (tet(W)).
Da questa modifica si è ottenuto un ceppo mutato (BLC01) sensibile all'antibiotico senza alterazioni geniche indesiderate. Il nuovo ceppo è rimasto stabile nel tempo per oltre cento generazioni e con una sopravvivenza paragonabile a quella del parentale in condizioni di stress acido, stress osmotico e in presenza di sali biliari.
Dalla sperimentazione, svolta in un ambiente completamente controllato e protetto, i punti principali emersi sono:
- assenza di Dna eterologo permanente, cioè la modifica genetica non ha comportato l'inserimento stabile di materiale genetico estraneo nell'ospite;
- introduzione di tre codoni di stop nel gene tet(W), cioè il gene è stato reso non funzionale e non sono state osservate altre modifiche indesiderate nel genoma;
- perdita di funzionalità del gene tet(W);
- stessa fenotipizzazione del ceppo parentale, cioè il ceppo modificato è identico al suo genitore;
- assenza di rischi aggiuntivi.
In conclusione, in futuro potrebbe esserci la possibilità di ampliare l'uso dell'editing genetico per sviluppare nuovi ceppi performanti e produrre alimenti all'avanguardia, pur mantenendo elevati di standard di sicurezza alimentare.
L'International Conference On Fermented Foods
La Conferenza Internazionale sui Cibi Fermentati, che quest'anno ha inaugurato la prima edizione, è un evento per riunire esperti, ricercatori e professionisti del settore provenienti da diversi continenti e paesi con l'obiettivo di approfondire i più recenti progressi, le innovazioni e confrontarsi sulle prospettive future del settore.
L'evento suddiviso in relazioni plenarie, sessioni orali, poster e workshop interattivi serve a condividere conoscenze scientifiche e a promuovere nuove reti di collaborazione, per poi trasferirle al mondo produttivo.
Gli organizzatori puntano a fare diventare l'evento un appuntamento ricorrente ogni tre anni, sempre presso il Noi Techpark, per affermarsi come punto di riferimento internazionale per ricercatori e professionisti dei cibi fermentati.

Una sessione plenaria durante l'evento al Noi Techpark
(Fonte: AgroNotizie®)
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