Il mese di gennaio sarà cruciale per limare e portare a compimento il manifesto che il Ceja, il Consiglio Europeo dei Giovani Agricoltori, una compagine di imprenditori under trentacinque, circa 2 milioni, in rappresentanza di trentatré associazioni agricole da ventidue Stati membri, presenterà ai candidati al Parlamento Europeo, che la prossima primavera verrà rinnovato e, con esso, le istituzioni che guideranno l'Unione Europea per i prossimi cinque anni.

 

I punti, come detto, sono in fase di definizione, ma a grandi linee, siamo in grado - in estrema sintesi - di anticiparli. Questi i temi: accesso agli investimenti; cambiamenti climatici e acqua; accesso alla terra; futuro della Politica Agricola Comune (Pac); innovazione, istruzione, conoscenza e competenze; governance e certezza giuridica; reddito e posizione nella catena del valore; aree rurali e mezzi di sussistenza; coinvolgimento e finanziamenti dei giovani; una migliore considerazione della diversità dei sistemi agricoli.

 

Sul tema ritorneremo, più approfonditamente, quando il manifesto del Ceja troverà la quadra definitiva e sarà promosso in via ufficiale, ma possiamo cogliere l'urgenza dei giovani agricoltori europei nella tutela della redditività e nella difesa di quello che è il futuro dell'agricoltura e dell'impresa agricola in Europa, con i risvolti che coinvolgono la redditività, la competitività, l'opportunità di poter crescere e di valorizzare le diverse agricolture che caratterizzano l'Europa.

 

Abbiamo intervistato il vicepresidente del Ceja, Matteo Pagliarani (Agia-Cia), romagnolo, pensieri velocissimi e una visione molto ampia sul settore primario.

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Come vede il settore agricolo nel 2024? Quali potrebbero essere le principali varianti per l'agricoltura europea?

"Partiamo dai numeri: le aziende agricole europee gestite da agricoltori under trentacinque sono il 6,5% del totale, un dato che negli anni è andato a calare e che dovrebbe farci riflettere su come concepire il futuro del settore e la Pac, che deve essere declinata partendo dai singoli territori.

 

Ma la Pac è solo uno dei temi che ci preoccupa. Come Ceja siamo intervenuti nei mesi scorsi con un position paper legato alle questioni del Green Deal, delle emissioni di gas climalteranti e sull'utilizzo dei fitosanitari. Come giovani siamo pronti ad abbracciare le nuove sfide dell'agricoltura, attraverso innovazione, digitalizzazione, formazione, le Nuove Tecniche Genomiche. All'interno del Ceja c'è sempre un dialogo molto attivo, un dibattito avvincente, e talvolta posizioni contrastanti, che devono necessariamente trovare una sintesi all'interno appunto del position paper, utilizzato come strumento fondamentale di sintesi e raccolta concetti fra i vari delegati".

 

Suona strano che i giovani agricoltori di ventidue Paesi abbiano posizioni differenti. Non dovrebbe esserci una visione comune?

"Spesso siamo in sintonia, ma non sempre".

 

Mi faccia un esempio di visioni distoniche, se possibile.

"Stiamo per pubblicare il primo documento condiviso sulla cultivated meat. Siamo tutti concordi che dovremmo produrre, a fronte di un aumento della popolazione, più cibo. Ma come? I giovani sostengono la ricerca libera e pubblica, ma siamo allo stesso tempo consapevoli che la produzione di carne coltivata in vitro avrebbe un impatto dirompente sul modello tradizionale di agricoltura, oltre ad aprire un fronte legato ai maggiori consumi energetici, a un accentramento della produzione alimentare e ad un impatto che ancora non è sufficientemente chiaro sugli allevamenti. Mancano, allo stato dell'arte, elementi e dati certi per una valutazione oggettiva della questione.

 

Un altro esempio: i fitofarmaci. Dobbiamo equilibrare la necessità del loro utilizzo consapevole con l'esigenza di produrre più cibo con posizioni magari molto green di Paesi come la Svezia, la Danimarca, l'Austria, l'Irlanda. Dobbiamo quindi trovare formule di equilibrio. L'unico errore da non commettere è quello di chiudere le porte al confronto. Il dialogo è essenziale".

 

Quali strumenti potrebbero aiutare l'agricoltura nel clima che cambia?

"Innanzitutto la gestione delle acque, che sono un bene pubblico. A livello di Ceja stiamo per elaborare un documento sul water management sia in costanza di crisi che, diciamo, in condizioni meteoclimatiche non emergenziali. Anche in questo caso partiamo dai dati: l'80% del territorio europeo è rurale e i bacini di raccolta delle acque devono partire dalle aziende agricole ed essere gestiti in prima persona dagli agricoltori. Allo stesso tempo, come giovani agricoltori dobbiamo essere consapevoli che stiamo vivendo una situazione di cambiamenti climatici.

 

Dobbiamo consentire ai giovani l'accesso alla terra, offrire strumenti utili per la gestione del rischio, favorendo l'adesione alle polizze assicurative, magari garantendo soluzioni agevolate e non, al contrario, abbassando i livelli di aiuto pubblico, perché se diminuiscono le colture e le aziende agricole assicurate, aumentano i premi a carico delle imprese e si corre il rischio di tornare indietro, esponendo i redditi, le superfici e i raccolti ad una maggiore fragilità.

 

Dobbiamo tutelare la zootecnia. Io sono un allevatore romagnolo, con vacche da carne, capre da latte e pecore, per l'80% semibrado. Il clima influenza moltissimo le mie produzioni, così come la difficoltà da parte delle assicurazioni di proteggere l'ortofrutta dalle gelate e dalla grandine potrebbe compromettere il futuro di un comparto strategico per l'agricoltura italiana, spagnola, francese. Per non parlare delle fitopatologie innescate dai cambiamenti climatici, dalla proliferazione di insetti alloctoni, dagli incedi provocati dalla siccità, dai fenomeni di impermeabilizzazione del suolo, che minacciano intere aree rurali, così come le città. Dobbiamo affrontare il tema in maniera pragmatica".

 

Matteo Pagliarani, vicepresidente del Ceja

Matteo Pagliarani, vicepresidente del Ceja

(Fonte foto: Profilo Instagram di Matteo Pagliarani)

 

La Pac e i giovani.

"Negli anni la Politica Agricola Comune è cambiata. Oggi la visione agricola europea è delimitata dai Piani Strategici Nazionali. Questo significa che la valorizzazione dell'agricoltura deve partire assolutamente dai nostri territori. I fondi, però, a mio parere sono insufficienti. Per questo il Ceja ha chiesto lo spostamento delle risorse del Primo Pilastro dal 2% al 3% per politiche specificatamente destinate ai giovani agricoltori. Al nostro interno ci stiamo chiedendo che modello di Primo Pilastro vogliamo, se la Pac si concentra sufficientemente sulla produttività agricola e l'autosufficienza agroalimentare o se è concentrata su forme di ambientalismo sfrenato.

 

In merito a questo i quattro documenti sulla Pac post 2027 metteranno in chiaro le posizioni del Ceja sulle attività economiche ed inclusione sociale, ambiente e clima, strumenti per giovani imprenditori, governance e struttura".

 

E che risposta vi siete dati all'interno del Ceja?

"Le idee sono contrastanti. Esiste una tendenza legata più a proseguire il modello dei titoli storici, mentre dall'altra parte vi sono giovani agricoltori che puntano a valutare complessivamente i costi produzione come l'energia, la manodopera, i mezzi tecnici, le dinamiche di mercato. Servirebbe forse oggi una Pac che crea un equilibrio fra produzione agricola e sicurezza di mercato, migliorando l'autosufficienza alimentare e non ostacolando le produzioni interne con politiche vessatorie verso i produttori. A volte ci facciamo ammaliare dalle produzioni extra Ue, ma dovremmo essere consapevoli della forza produttiva dell'Ue, della qualità, della necessità di rappresentare il motore agricolo a livello mondiale".

 

Su quali aspetti i giovani hanno una visione concorde?

"Sul fatto che gli allevamenti non sono inquinanti, sulla necessaria riduzione ponderata dell'utilizzo dei fitofarmaci con alternative valide, e secondo un'applicazione ponderata, sull'implementazione delle innovazioni digitali, sulla necessità di politiche economiche che stimolino la ricerca libera e garantiscano la redditività e la competitività delle imprese agricole. Siamo assolutamente allineati anche sull'importanza del reddito in agricoltura, il valore del prodotto agroalimentare che dovrebbe trovare maggiore riequilibrio all'interno della catena di approvvigionamento e la capacità di resilienza nei territori rurali".

 

Il ricambio generazionale resta uno dei nodi più complessi. Quali sono le idee del Ceja per favorire l'ingresso dei giovani in agricoltura?

"I nodi da affrontare sono concatenati e li riassumo: accesso alla terra, accesso al credito, formazione, conoscenza, innovazione. Ma dobbiamo essere consapevoli che se vogliamo spingere sulla digitalizzazione in agricoltura abbiamo la necessità di maggiore diffusione della banda larga nelle aree rurali.

 

Se vogliamo garantire il passaggio generazionale dobbiamo fare in modo che vi sia adeguata attenzione alle tasse di successione, devono essere adottate policy nazionali ed europee specifiche per le aree rurali, in modo da assicurare un reddito agli imprenditori agricoli. Senza un reddito e senza un riconoscimento adeguato all'interno della filiera il ricambio è estremamente difficile".

 

Quest'anno si vota per il Parlamento Europeo. Cosa chiedete come giovani agricoltori alla nuova governance dell'Ue?

"Stiamo elaborando come Ceja un manifesto, che consegneremo ad ogni candidato. Abbiamo una visione strategica per l'agricoltura e chiediamo che venga conosciuta e, possibilmente, sostenuta. L'agricoltura deve ritornare al centro dell'agenda politica europea, perché abbiamo un ruolo centrale nel futuro dell'Ue e nell'equilibrio globale".

 

Si sta parlando di un allargamento delle frontiere dell'Ue, con nuovi ingressi. Come giudica il Ceja questo percorso? Come renderlo armonico per proteggere il settore agricolo?

"In questo caso il Ceja non ha titolarità per esprimere una posizione. Bisogna lasciare la scelta allo Stato. A titolo personale posso dire che ogni singola decisione deve coniugarsi con gli interessi dell'Unione Europea, serve integrazione. La stessa visione strategica deve abbracciare l'agricoltura.

 

Come Ceja siamo favorevoli al dialogo e all'integrazione dei giovani agricoltori, spingiamo verso l'associazionismo e abbiamo rappresentanze di agricoltori che sono fuori dall'Ue, come Serbia e Regno Unito. Personalmente ho la delega alla membership e sto lavorando per invitare delegazioni di giovani agricoltori da Ucraina, Albania e Bulgaria alla seconda edizione, il prossimo marzo a Bruxelles, del Leadership Program".

 

Qual è la forza dei giovani in agricoltura?

"Il giovane è coraggioso e non ha paura. Semina, pianta, alleva, anche se non sa come andrà a finire, perché quello agricolo è, anche per effetto dei cambiamenti climatici, un settore ad alto rischio. Ma ai giovani agricoltori non mancano visione e coraggio, spinta all'innovazione. Avremo bisogno di maggiore spinta a collaborare, verso un nuovo livello di cooperazione, che porti a fare rete su tutto il territorio e riconosca l'importanza sociale dell'imprenditore agricolo.

 

Ma per sostenere i giovani si torna sempre al nodo principale: la redditività. Se manca quella, non avviene il ricambio generazionale e viene minata la salute mentale di qualsiasi imprenditore agricolo. Un aspetto, quello del benessere dell'imprenditore in un contesto più ampio, troppo spesso sottovalutato".

 

Quali saranno i cambiamenti più significativi nei prossimi dieci anni in agricoltura? Avremo nuovi modelli di produzione e aree rurali diverse in Europa?

"Abbiamo davanti a noi una sfida: rendere le aree rurali, che non sono formate solo da aziende agricole, più accessibili, più vivibili, più ospitali. Dovremo favorire una gestione globale del territorio, delle aree interne, dell'ambiente, delle foreste, del comparto agricolo, delle zone montane delle Alpi e degli Appennini. Bisogna restituire alle zone rurali l'appeal che hanno perso e assicurare un ruolo attivo nella sostenibilità ambientale, sociale ed economica alle imprese agricole.

 

In futuro ritengo che sarà fondamentale la partita dei crediti di carbonio, la gestione dei territori, l'ospitalità e la vivibilità: se l'azienda agricola chiude non avremo aree ospitali, dobbiamo per questo difendere l'agricoltura".


Il logo del progetto CAP4AgroInnovation

 

CAP4AgroInnovation è il nuovo progetto di Image Line®, cofinanziato dall'Unione Europea, dedicato all'innovazione in agricoltura e alle opportunità offerte dalla Pac.

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