Grazie a un bilancio di autosufficienza del frumento superiore al 122%, con Francia, Romania e Bulgaria fra i player principali (seguiti da Lituania e Lettonia), l'Unione Europea è riuscita a far fronte, almeno in parte, all'urgente aspetto della salvaguardia alimentare globale.

 

"Lo scorso anno - ha ricordato il commissario europeo all'Agricoltura, Janusz Wojciechowski, parlando a Firenze - il 60% del grano esportato dalla Ue è andato ai Paesi del Medio Oriente e del Nord Africa e il 26% all'Africa Subsahariana". Operazioni dettate dallo scenario di guerra in Ucraina e dai rallentamenti dell'export lungo la rotta del Mar Nero, ostacolata dai russi nonostante gli accordi internazionali sottoscritti sotto l'egida della Fao.

 

Da secoli, ha ricordato anche il quotidiano francese Le Figaro, il grano resta una delle leve di sovranità più potenti a livello mondiale.

 

Resta aperto il nodo della stabilità dei sistemi agricoli, secondo il commissario Wojciechowski, relativamente ai quali gli aspetti legati ai cambiamenti climatici e al calo delle imprese agricole (3 milioni in meno in Europa fra il 2010 e il 2020) impongono di mantenere alta la guardia in tema di ricerca e sviluppo.

 

A sottolineare l'incertezza dettata dalla questione climatica è intervenuto, nei giorni scorsi sul Corriere della Sera, il vicedirettore aggiunto della Fao Maurizio Martina. "Gli eventi climatici estremi sono la causa principale dell'insicurezza alimentare acuta in dodici Paesi in cui quasi 57 milioni di persone si trovano nella fase più critica" ha specificato. "Questi eventi sono stati particolarmente drammatici in alcune realtà: si pensi alle siccità prolungate nel Corno d'Africa, alle inondazioni devastanti in Pakistan e alle tempeste tropicali, ai cicloni e alle siccità nell'Africa meridionale".

 

A livello mondiale la produzione di grano è stimata in aumento (+1,3%, secondo l'Usda, il Dipartimento di Agricoltura degli Stati Uniti), con la Cina primo produttore con una previsione per il 2022-2023 di 137,72 milioni di tonnellate (+0,6% sull'annata precedente), seguita da Unione Europea e India, per le quali è ad oggi indicato un calo produttivo, rispettivamente del -2,8% per l'Ue e del -5,1% per l'India. Una flessione che dovrebbe proiettare il raccolto europeo a 134,34 milioni di tonnellate e quello indiano a 104 milioni di tonnellate. Gli stock finali, in diminuzione a livello globale (-2,6%), secondo le previsioni Usda - pubblicate sul sito di Teseo - dovrebbero rafforzarsi solamente in Cina (+2,1%) e Russia (+29,8%).

 

Le superfici. Una indagine relativa alle superfici coltivate su scala globale evidenziano che ai primi posti si collocano India (30,46 milioni di ettari), Russia (29 milioni di ettari), Ue-27 (24,34 milioni di ettari) e Cina (23,52 milioni di ettari). Seguono Stati Uniti (14,86 milioni di ettari), Australia (13 milioni di ettari), Kazakistan (12,81 milioni di ettari) e Canada (10,08 milioni di ettari).

 

E le rese per ettaro. Particolarmente interessante l'aspetto delle rese per ettaro, un tema che permette di analizzare la questione globale delle produzioni sotto una lente diversa. La Cina, con una produzione media per ettari stimata di 5,86 tonnellate per ettaro (Fonte: Usda, dati previsionali 2022-2023), risulta essere la prima area geografica per risultati in termini di produzione a ettaro. Segue, a un'incollatura (5,52 tonnellate per ettaro), l'Unione Europea. Più distanziate le rese per ettaro di India (3,41 tonnellate/ettaro), Russia (3,17) e Stati Uniti (3,13).

 

Da dove arriva questa disparità produttiva, che segna un baratro fra la Cina e gli Stati Uniti? Come spiegarla? Lo abbiamo chiesto al professor Luigi Cattivelli, direttore del Centro Crea Genomica e Bioinformatica di Fiorenzuola d'Arda (Pc), uno dei genetisti più esperti a livello internazionale.

 

Luigi Cattivelli, direttore del Centro Crea Genomica e Bioinformatica di Fiorenzuola d'Arda (Pc)

Luigi Cattivelli, direttore del Centro Crea Genomica e Bioinformatica di Fiorenzuola d'Arda (Pc)

(Fonte foto: Luigi Cattivelli)

 

Luigi Cattivelli, come interpreta le recenti frenate dei listini?

"Il prezzo è in larga parte frutto delle speculazioni del mercato e gli aumenti dell'ultimo anno non sono dovuti al crollo di produzione, ma da speculazioni guidate prevalentemente dalla guerra in Ucraina e dalla mega scorta di grano e cereali in generali da parte della Cina. In generale, quando parliamo del mercato del grano facciamo riferimento a un mercato rigido, con una domanda sostanzialmente fissa. Quindi, se avessimo ad esempio una contrazione delle produzioni mondiali del 5%, avremmo come conseguenza un picco di prezzo. Ma gli effetti clamorosi sui listini dell'ultimo anno sono legati, come le dicevo, al conflitto russo-ucraino, al rallentamento produttivo nel Kerala indiano e alle speculazioni".

 

Come è possibile migliorare le produzioni?

"Sicuramente se potessimo irrigare il frumento come fanno ad esempio in Messico, avremmo una produzione superiore. In Egitto, nei campi irrigui, raggiungono produzioni vicine a 10 tonnellate per ettaro. Le rese di un Paese come l'Italia molto diverso da un punto di vista climatico sono di fatto la media fra zone dove la produzione è maggiore e altre dove è inferiore. La resa del frumento è diversa da Nord a Sud.

 

La produzione media di frumento tenero al Nord si avvicina alle 5 tonnellate per ettaro, al Sud il frumento duro ha una resa di 3-3,5 tonnellate per ettaro, per effetto di una minore disponibilità idrica. Il primo fattore responsabile delle rese è di tipo agronomico.

Un altro fattore è il progresso genetico, che comporta o dovrebbe comportare un miglioramento produttivo".

 

Quali dinamiche ostacolano il miglioramento produttivo?

"Glielo spiego con alcuni dati pubblicati su riviste americane, in base alle quali, a fronte di un progresso genetico stimato in almeno l'1% per anno in termini di produzione, il miglioramento genetico non si traduce in un parallelo aumento della produzione nei campi coltivati. Da un lato, dunque, miglioriamo le piante, dall'altro, però, il clima peggiora, rendendo di conseguenza l'ambiente più difficile e peggiorando, di conseguenza, la resa per ettaro. Il paradosso di cui dobbiamo tenere conto è che allo stato attuale il guadagno genetico fa fatica a superare l'impatto della perdita produttiva legata al fattore climatico.

 

Lo dicono, ancora una volta molto chiaramente, i dati relativi agli ultimi venti, trenta anni in alcune arre degli Stati Uniti, secondo i quali le rese sono stabili nonostante il rilascio di varietà nuove potenzialmente più produttive, varietà che riescono solo a compensare il peggioramento climatico".

 

Sappiamo qual è l'impatto del cambiamento climatico sulle rese?

"Indicativamente, 1 grado di aumento della temperatura media globale comporterà una perdita media globale del 5%. Teniamo presente che parliamo, ripeto, di media globale e che il cambiamento climatico non è omogeneo a livello mondiale. Ci sono alcune aree del Pianeta dove gli effetti del cambiamento climatico sono e saranno più pesanti, e tra esse sicuramente l'area mediterranea e l'India".

 

Come si può contrastare il climate change?

"Servirebbe accelerare la velocità con cui si fa miglioramento genetico. Per questo il miglioramento delle Tea potrebbe aiutare. E si badi che non siamo di fronte a un problema solamente europeo, ma l'impatto è mondiale. Infatti, la Cina sta investendo in ricerca e sviluppo più di chiunque altro Paese al mondo; in Argentina hanno autorizzato recentemente l'utilizzo di un frumento geneticamente modificato per migliorare la tolleranza alla siccità.

 

Questo solo per dare un'idea di come molti Paesi si stiano muovendo, perché tutti si rendono conto che il cambiamento climatico è un problema. Bisognerebbe dunque accelerare sulla ricerca, investendo più risorse e snellendo la burocrazia che rallenta i processi di indagine e sviluppo".

 

Come si cerca di cambiare la pianta di frumento?

"Vi sono molti aspetti sperimentali. C'è chi lavora sulle radici, chi sul miglioramento della fotosintesi, altri che operano sul controllo degli stomi per limitare la perdita d'acqua della pianta. La ricerca a livello mondiale è molto attiva. Solo in Canada il Governo ha stanziato circa 10-12 milioni di euro solo per uno specifico progetto di ricerca dedicato al frumento. In Francia esiste un protocollo di ricerca finanziato dal Governo e dall'industria privata di breeding che ha messo sul piatto 34 milioni di euro in dieci anni. Si tratta dunque di logiche di medio e lungo termine che possono sicuramente portare un miglioramento".

 

In questa fase a livello mondiale ritiene che vi sia un deficit di cereali?

"È difficile dare una risposta esaustiva, perché il tema è particolarmente complesso e va oltre gli aspetti meramente numerici. Se si guarda la produzione mondiale globale siamo effettivamente in pari coi consumi, anche se le previsioni non sono rassicuranti, ma sono appunto solo previsioni. Allo stesso tempo, abbiamo visto che vi sono dinamiche talvolta che possono comportare effetti distorsivi del mercato.

 

La Cina detiene il 50,3% degli stock mondiali di grano e si prevede che alla fine dell'annata 2022-2023 arrivi a stoccare il 52,7% delle scorte globali, almeno secondo le attuali previsioni Usda. Ancora: abbiamo zone del mondo in cui si produce più di quello che serve e altre in cui si produce molto di meno. Tutta la produzione dell'area che va dal Marocco all'Egitto è appesa a un filo, minacciata dai cambiamenti climatici e dalla scarsità idrica. Tali carenze vengono compensate dal commercio. Diventa fondamentale però garantire l'accesso al cibo a tutti i Paesi, perché la carenza alimentare è uno dei primi fattori di fragilità, che possono scatenare rivoluzioni, migrazioni, instabilità nelle aree deficitarie".

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