Se in passato le innovazioni nascevano dall'interno delle aziende, oggi sempre più spesso le idee rivoluzionarie arrivano da fuori: da startup, centri di ricerca, poli tecnologici e università. Si chiama open innovation ed è il paradigma che sta definendo la crescita tecnologia di tante aziende, anche nel settore agrifood.

 

A confermarlo è l'ultimo report di Eatable Adventures, un acceleratore FoodTech con sede in Spagna, ma attivo in tutto il mondo (Italia compresa), con collaborazioni aperte con quaranta aziende del comparto agrifood e un network di 25mila stakeholder tra fondatori e imprenditori.

 

E proprio Eatable Adventures ha reso possibile la nascita di nuovi prodotti, già lanciati sul mercato. Un esempio sono le tazze commestibili della Startup bulgara Cupffee. Si tratta di bicchieri, utilizzabili per bere caffè o altre bevande, realizzati con una cialda che resiste al calore e all'umidità. Questo nuovo prodotto, che vuole rimpiazzare i bicchieri in plastica o i materiali compostabili, è oggi presente nelle caffetterie aeroportuali gestite da Areas, Società spagnola di ristorazione per i viaggi.

 

Un'altra idea innovativa è stata quella proposta da Ekonoke, Startup spagnola che coltiva luppolo all'interno di vertical farm con l'obiettivo di gestire la variabilità climatica. La Startup ha chiuso recentemente un round di investimento di 4,2 milioni di euro, guidato da Cosecha de Galicia, il motore di innovazione agricola di Corporación Hijos de Rivera, produttore della birra Estrella Galicia. E proprio grazie alla partnership con il brand spagnolo ora questa birra è disponibile in alcuni negozi.

 

La tazza commestibile sviluppata dalla Startup Cupffee

La tazza commestibile sviluppata dalla Startup Cupffee

(Fonte foto: Eatable Adventures)

 

Innovare per sopravvivere e crescere

Il report di Eatable Adventures mette un punto fermo: il 100% delle aziende intervistate (43 realtà di dimensioni medio grandi) ha investito in innovazione negli ultimi due anni. Innovare, sia nei prodotti (57%) che nei processi (53%), perfino nel modello di business (46%), sembra essere l'unica strada per crescere e vincere le sfide del mercato.

 

A guidare i processi di innovazione è prima di tutto la Direzione Generale, che per sua natura guida in maniera strategica l'azienda verso il futuro. Il 57% ha poi un proprio Reparto Innovazione, mentre nel 28% dei casi i processi sono stati gestiti dalla funzione di Business Development. Seguono poi il Marketing con il 28% delle risposte e la Produzione con il 15%.

 

Il nuovo paradigma: open innovation

Come abbiamo visto nei casi di Ekonoke e Cupffee, un approccio open all'innovazione prevede che le aziende collaborino con partner esterni per cogliere le opportunità di innovazione rispetto al loro modello di business esistente.

 

"Si tratta di un rapporto win win, dove sia l'azienda che il soggetto esterno guadagnano qualcosa dalla relazione", spiega Vittoria Bria, Innovation consultant di Eatable Adventures. E proprio Eatable Adventures è presente in Italia, sia all'interno del fondo FoodSeed lanciato da CDP Venture Capital Sgr, sia all'interno di Verona Agrifood Innovation Hub, un ecosistema nato per supportare lo sviluppo dell'innovazione nel settore agrifood fortemente voluto da VeronaFiere, Università degli Studi di Verona, Confindustria Verona, Comune di Verona, UniCredit e Fondazione Cariverona.

 

"Il modello di open innovation si basa sulla collaborazione, piuttosto che sulla competizione e permette alle aziende di innovare riducendo i costi e i rischi. Permette di catturare talenti, intercettare tecnologie e nuovi modelli di business", sottolinea Vittoria Bria.

 

Le startup trovano nelle aziende un luogo dove accedere a knowhow, competenze, mentorship e tecnologie. E nelle fasi più avanzate anche accesso al mercato. Le aziende invece possono sfruttare la creatività e le idee innovative delle startup, riducendo i costi di innovazione.

 

Il 50% delle aziende intervistate ha dichiarato di aver fatto scouting di startup, mentre il 25% ha investito direttamente nei team creativi e il 17% ha puntato sull'incubazione di startup. Ben il 93% però ha affermato di avere collaborazioni con università o poli tecnologici e il 71% ha progetti di cosviluppo con partner esterni.

 

Il nuovo paradigma: open innovation

Il nuovo paradigma: open innovation

(Fonte foto: Eatable Adventures)

 

"Le statup sono soggetti di innovazione che sono sempre più interessanti per le aziende, che tuttavia ancora si rivolgono principalmente ad università e poli tecnologici. I motivi sono molteplici: questi soggetti hanno spesso risorse, laboratori, tecnologie e competenze strutturati, che rendono il lavoro più facile. Inoltre condividono tempistiche e approcci", sottolinea Vittoria Bria. "Oltre il 90% delle aziende intervistate prevede tuttavia di investire in open innovation nei prossimi tre anni".

 

Open innovation sì, ma con quali strumenti?

Fare open innovation significa aprirsi a partnership con soggetti terzi e oggi i modelli più utilizzati sono la collaborazione con università e poli tecnologici che, tuttavia, nei piani delle aziende avranno un ruolo ridimensionato in futuro, quando invece si punterà sull'incubazione di startup e sulla realizzazione di veicoli specializzati per l'investimento.

 

Strumenti attuali Vs strumenti desiderati

Strumenti attuali Vs strumenti desiderati

(Fonte foto: Eatable Adventures)

 

Oltre l'85% delle aziende intervistate prevede di aumentare gli investimenti in open innovation nei prossimi anni. "Per una collaborazione vincente è necessario che l'azienda e la startup si allineino sugli interessi e le prospettive, con tempistiche condivise fin dall'inizio", sottolinea Vittoria Bria. "Bisogna mettere in chiaro fin da subito alcuni elementi potenzialmente critici, come ad esempio chi deterrà la proprietà intellettuale dell'innovazione o con quali tempistiche ci si aspetta di lavorare o quale coinvolgimento ci si aspetta l'uno dall'altro".

 

Un altro aspetto potenzialmente critico, secondo Vittoria Bria, è l'atteggiamento che alcune grandi aziende hanno sul voler "mettere il cappello" sul frutto dell'open innovation. Una tendenza che probabilmente è un retaggio di un vecchio approccio all'innovazione, quando tutto avveniva all'interno delle aziende e ne diventava patrimonio esclusivo.

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