Sintetizzare il futuro del vino, una delle voci più significative dell'export made in Italy (oltre 7,2 miliardi di euro), punta di diamante della valorizzazione in agricoltura ed espressione in moltissimi casi di imprese agricole che producono, trasformano e vendono senza bisogno di interlocutori e operatori a interrompere la via diretta e immediata della valorizzazione della materia prima, non è semplice.

 

Una strada che di anno in anno appare la via maestra del vino italiano resta il Vinitaly, appuntamento sempre più internazionale (un buyer su tre da oltreconfine, con boom di presenze da Stati Uniti e Asia, rispettivamente in crescita del 45% e del 116% rispetto all'edizione 2022).
La manifestazione che da pochi giorni ha chiuso i battenti a Verona ha lanciato - e ricevuto - messaggi chiari. Bisogna ora dare seguito all'attenzione che il vino italiano merita.

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La politica, innanzitutto. La presenza del presidente del Consiglio Giorgia Meloni e di un numero significativo di ministri e sottosegretari, oltre al presidente della Camera, Lorenzo Fontana, che a VeronaFiere ha lavorato (come lui stesso ricorda), deve essere letta come attenzione e difesa verso un mondo che per alcuni versi è sotto attacco. Tutto questo perché la presenza e i proclami non restino vuoti, ma si concretizzino.

 

Le etichette "warning" dell'Irlanda, i richiami alla salute e alla "pericolosità" dell'assunzione di vino, sono la faccia goffa di un'Europa che dovrebbe mettere ordine alle frange più deboli della società, quelle che sono spinte ad abusare di alcolici. Tutt'altra realtà rispetto all'Italia, all'equilibrio della dieta mediterranea e a chi sa dosare la giusta quantità di vino a tavola.

 

La presenza di un europarlamentare competente come Paolo De Castro, profondo conoscitore delle politiche agricole europee, riporta l'attenzione anche su un altro "alert" e cioè la riforma di Dop e Igp, che si sta discutendo in Europa e che per come è stata impostata rischia di delegittimare la Commissione Agricoltura e far scivolare i regolamenti delle Indicazioni Geografiche sotto l'ala più ampia dei brevetti. Un rischio, soprattutto perché gli agricoltori e i consorzi di tutela finirebbero per perdere la loro voce.

Allo stesso tempo, è necessario dare un colpo alla burocrazia, per dare risposte più rapide e concrete. In gioco ci sono aspetti quali le produzioni, i cambiamenti climatici, le modifiche dei disciplinari, la competitività e il futuro stesso di vini che sono un patrimonio dell'umanità.

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E a proposito di patrimonio, il Vinitaly 2023 ha saputo accendere i riflettori anche sul binomio fra arte e vino, con due quadri ospitati nello spazio Masaf, due Bacco opere di Caravaggio e Guido Reni. Iniziativa che da amante dell'arte ritengo vincente (si potessero coinvolgere i grandi musei italiani anche per altre manifestazioni, sarebbe un veicolo comunicativo interessante), anche se posso affermare di aver assistito a scene alquanto singolari proprio di fronte all'ingresso del salone in cui i due quadri erano esposti ("Che c'è lì dentro?", "I quadri di Caravaggio e Guido Reni", "Ah, non si beve", e via in un'altra direzione, girando i tacchi). Non ci si può far scoraggiare di fronte alla mancanza di curiosità o all'ignoranza, bravissimi i vertici di VeronaFiere che hanno accettato di ospitare due capolavori del genio italico.

 

Le sfide del vino sono molteplici. I produttori devono fronteggiare i cambiamenti climatici, che vanno ben oltre le ondate di calore, la necessità di ottimizzare l'uso dell'acqua, la siccità o l'eccessiva pioggia. I consumatori, in particolare quelli più giovani, cercano vini a più bassa gradazione alcolica. È essenziale rispondere a tali richieste. E l'eccesso di calore è un nemico dei tenori alcolici moderati, favorendo la produzione di zuccheri e concentrando le rese.

 

Diventa quindi vitale favorire ricerca e sviluppo per vitigni più resistenti agli stress climatici, in grado di adattarsi alla scarsità d'acqua, alle temperature elevate. Tutto questo salvaguardando la biodiversità. Sarà fondamentale, però, comunicarla. In una società eternamente rapita dai particolarismi, dalle sfumature, dallo storytelling, la ricchezza tutta italiana dei vitigni autoctoni rappresenta una risorsa ed è tale solamente se si concretizzano due aspetti: da un lato la salvaguardia dei vitigni diversi e dall'altro la valorizzazione in termini economici. Un vigneto che non rende o che non resiste al nuovo clima, non ha futuro. Raccontiamo, dunque, le Italie del vino. E l'alleanza fra Vinitaly e la forza di quel logo, e la nave scuola Amerigo Vespucci può rappresentare una nuova opportunità per promuovere il made in Italy.

 

Il vino del futuro significa anche enoturismo, un'opportunità che deve potersi tradurre in cultura, tutela del paesaggio, difesa del patrimonio rurale, delle tradizioni, ma anche una nuova alleanza non solo tra consumatori consapevoli di vino e produttori, ma anche fra cittadini - in senso letterale: coloro che abitano in città - e campagna. Il vigneto è anche relax, natura, vita lenta.

 

L'edizione 2023 di Vinitaly ha acceso i riflettori anche sui giovani e sul concorso enologico organizzato dal Crea e dedicato agli istituti agrari. È stata l'occasione per il premier Giorgia Meloni di parlare del liceo del made in Italy, con il conseguente dibattito sul nome, sull'uso dell'inglese e sulle finalità. È prematuro fare polemiche, restiamo nel campo delle speranze: promuoviamo il cibo e il vino italiano, favorendo la formazione e spingendo su tutti gli aspetti culturali di un patrimonio che per l'Italia significa superare i 580 miliardi di euro.

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