I primi ad utilizzare le biotecnologie furono, del tutto inconsciamente, i popoli del Neolitico che fecero fermentare del succo d'uva producendo il vino. Da quei primi e rudimentali esperimenti con i lieviti la strada percorsa è stata lunga, ma ancora oggi le biotecnologie rappresentano una grande opportunità per la nostra agricoltura e per l'industria agroalimentare.

"Non è facile definire cosa fa una impresa biotecnologica. L'Ocse parla di utilizzo di esseri viventi per produrre beni e servizi e associa una lista di tecnologie utili a questo scopo", spiega ad AgroNotizie Gaetano Coletta, ricercatore dell'Enea, che ha presentato una ricerca sullo stato di salute del settore in Italia realizzato dalla stessa Enea insieme ad Assobiotec (Associazione nazionale per lo sviluppo delle biotecnologie, che fa parte di Federchimica).

A fine 2015 le imprese biotech in Italia erano 500 con un fatturato superiore ai 9,4 miliardi di euro. Nel 2017 ci si attende un +12,8% e un +18,1% nel 2019, segno che investire in ricerca è conveniente.
La Ricerca&Sviluppo è la vera anima pulsante delle imprese biotech, che investono il 25% (1,8 miliardi di euro) del fatturato proprio per mettere a punto nuovi prodotti e nuove tecniche. Rispetto all'industria manifatturiera le imprese biotecnologiche impiegano il 500% in più di addetti R&D.

Si fa presto a dire biotecnologia, ma ne esistono di differenti tipi. C'è quella rossa, cioè medica, che ha ormai una storia consolidata e muove nel mondo centinaia di miliardi di euro. Quella bianca riguarda l'industria e ha lo scopo di rivoluzionare i processi produttivi o inventare nuovi prodotti. Il 'latte digeribile' è frutto della biotecnologia, visto che il lattosio è processato da alcuni enzimi prima di finire in bottiglia.

Ci sono poi le biotecnologie verdi, quelle che interessano l'agricoltura e la zootecnia. Il settore green-biotech conta in Italia 44 imprese, il 9% del totale. E' un settore in una fase di sviluppo meno avanzata rispetto a quello medicale, ma le prospettive sono enormi.

"Il 75% sono piccole o micro imprese, il 16% medie e il 9% grandi, con più di 250 addetti", spiega Coletta. "E' un settore già strutturato vista la media nazionale, dove il 98% sono piccole e micro imprese".
Un elemento cruciale è il finanziamento della ricerca. E in Italia, rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti, il reperimento delle risorse è soprattutto a carico dei soci stessi. "Un terzo delle imprese si autofinanzia, mentre il 20% si rivolge alle banche. Seguono i contributi pubblici ed infine i business angels, intorno al 4%".

Mettendo da parte tutto il settore degli organismi geneticamente modificati, la cui coltivazione in Italia è vietata, i campi di applicazione del green-biotech sono comunque molti. Bioecopest è ad esempio un'azienda che conduce studi sui biopesticidi, da impiegare nel contenimento integrato dei parassiti delle piante.

IpadLab invece offre servizi e prodotti di diagnosi delle malattie delle piante sia con l'uso di tecniche tradizionali, sia tramite lo sviluppo di metodi innovativi basati sulla biologia molecolare. L'azienda ha sviluppato dei kit per la diagnosi di diverse malattie (come fitoplasmi, batteri, funghi e virus) degli alberi da frutto, della vite e delle orticole.

Si è concentrata su acqua e suolo la Mybatec che offre bio-fertilizzanti e prodotti per eliminare i residui chimici nelle acqua reflue. La gamma bio-fertilizzanti raggruppa dei prodotti, a base di funghi, che, giurano in azienda, permettono di ridurre del 40% il fabbisogno delle piante di acqua e fertilizzanti, di diminuire i costi di produzione e di aumentare la resa fino al 30%.

La gamma biodepurazione permette invece una produzione pulita e rispettosa dell'ambiente attraverso la purificazione delle acque reflue inquinate da fitofarmaci. Questa tecnologia è basata sul potenziamento dell'attività bio-degradante di microorganismi naturali del suolo.