Con carbon farming si intendono tutte quelle pratiche volte a sequestrare carbonio nei suoli agricoli sotto forma di biomasse vegetali. Tra queste azioni ci sono ad esempio la non lavorazione del terreno, l'uso di cover crop, la riforestazione e l'agroforestazione.

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Gli agricoltori che adottano queste pratiche possono essere ripagati per i propri sforzi e per i servizi ecosistemici che offrono alla collettività, visto che l'anidride carbonica sequestrata nel terreno ha un impatto positivo sui cambiamenti climatici.

 

A ripagare gli agricoltori possono essere istituzioni pubbliche, come l'Unione Europea, oppure aziende private che vogliono compensare le proprie emissioni o ancora, intere filiere che vogliono valorizzare nei confronti del consumatore gli sforzi per una maggiore sostenibilità.

 

Ma su quali basi gli agricoltori vengono remunerati? Un approccio possibile è quello action-based, per cui l'azienda ottiene i fondi a prescindere dal risultato, ma solo sulla base delle azioni che mette in campo. Si tratta di un sistema semplice da gestire, ma che prescindendo dai risultati può essere poco efficace e trasparente.

 

L'altra opzione prevede di misurare l'ammontare di carbonio sequestrato e di ripagare l'agricoltore sulla base delle sue performance. Si tratta di un sistema efficace e preciso, in grado di assicurare un clima di fiducia all'interno del mercato dei crediti di carbonio, ma che è piuttosto dispendioso da mettere in atto.

 

Ed è qui che entra in gioco il digitale. L'Osservatorio Smart AgriFood, School of Management del Politecnico di Milano e Laboratorio Rise, Research & Innovation for Smart Enterprises dell'Università degli Studi di Bresciapresenterà infatti il prossimo 15 marzo a Brescia la nuova edizione della sua Ricerca, in cui una parte sarà proprio dedicata al carbon farming e a come il digitale possa abilitare questa nuova opportunità di business per il settore.

 

Il digitale come abilitatore del carbon farming

In tutte le fasi della catena del valore, gli strumenti digitali supportano l'agricoltore, la Pubblica Amministrazione, i gestori dei progetti, così come gli enti di certificazione e gli acquirenti, nella misurazione della CO2 sequestrata e nell'emissione dei titoli.

 

Fin dal principio, gli strumenti digitali possono essere utilizzati per pianificare le strategie di carbon farming, in modo da guidare l'agricoltore, passo dopo passo, nella conversione della propria azienda. Su questo fronte ad esempio opera una startup statunitense, Truterra, che offre una piattaforma di supporto decisionale e servizi di consulenza integrati per assistere gli agricoltori nell'implementazione di pratiche di agricoltura rigenerativa.

 

Il digitale è utile anche nell'attuazione delle pratiche di carbon farming, così come nel monitoraggio dell'efficacia di tale approccio. L'analisi in laboratorio di campioni di suolo è infatti molto costosa e non scalabile. Così molte startup ed enti stanno lavorando allo sviluppo di modelli in grado di stimare la CO2 sequestrata, ad esempio attraverso l'uso di immagini satellitari o di sensori montati sui droni.

 

Ovviamente i dati sulle performance degli agricoltori sono utilizzati dagli enti di certificazione, come da soggetti pubblici e privati, per monetizzare l'anidride carbonica sequestrata. E i crediti di carbonio emessi sono scambiati come azioni, all'interno di un mercato (completamente digitale) che vede sul fronte dell'offerta le aziende agricole e i gestori dei programmi di carbon farming, e sul fronte opposto aziende e consumatori.

 

Tutto il processo può anche avvalersi della blockchain, una tecnologia che è utile ad aumentare il grado di fiducia all'interno dell'ecosistema. Alberami è una startup di Lecce che offre proprio una soluzione per il calcolo del sequestro delle emissioni e di gestione dello scambio delle certificazioni tramite blockchain.

 

Carbon farming, siamo agli inizi

Di carbon farming gli agricoltori sanno poco. Anzi, pochissimo. Secondo i dati dell'Osservatorio Smart AgriFood solo il 22% conosce l'argomento. Di questi, solo il 9% attua in effetti pratiche di carbon farming. Ma non c'è da stupirsi, il settore è appena nato e non esistono ancora prassi e tecnologie rodate a supporto delle aziende.

 

La distribuzione delle startup lungo le fasi del carbon farming

La distribuzione delle startup lungo le fasi del carbon farming

(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)

 

E infatti, tra le cause di questa scarsa diffusione c'è, al secondo posto dietro la limitatezza delle risorse a disposizione, la mancanza di supporto tecnico e di consulenza specializzata da parte di enti pubblici e privati. Seguono poi i costi elevati per intraprendere questa conversione e una mancanza di standardizzazione per la misurazione dei volumi di carbonio stoccati.

 

Se la Commissione Europea sta lavorando ad un framework comune per il settore e molte aziende private sostengono progetti di filiera, è anche vero che sono numerose le startup che lavorano in questo ambito, oltre settanta, con l'Europa che esprime quasi il 50% delle iniziative.

 

E guardando alle tecnologie offerte, il digitale la fa da padrone. Il 78% delle startup offre soluzioni basate su software e portali web, il 61% su data e analytics, il 40% su immagini satellitari, il 39% su intelligenza artificiale, il 25% su mobile app, il 19% su Internet of Things e il 17% su blockchain.

 

Le barriere percepite per la diffusione del carbon farming

Le barriere percepite per la diffusione del carbon farming

(Fonte foto: Osservatorio Smart AgriFood)


Image Line è partner dell'Osservatorio Smart AgriFood