L'olivo è una specie dallo sviluppo piuttosto vigoroso che per mantenere buoni livelli produttivi ha la necessità di essere potata annualmente. Durante l'inverno gli agricoltori procedono dunque con la potatura accatastando a bordo campo grandi quantità di ramaglie.

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In passato i residui di potatura venivano utilizzati nelle abitazioni per produrre calore e per cucinare, ma dal Dopoguerra in poi questa pratica è stata abbandonata e per lungo tempo le ramaglie sono state bruciate direttamente in campo, con ripercussioni negative dal punto di vista ambientale e con il rischio di sviluppare incendi.

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Eppure i residui di potatura dell'olivo potrebbero essere sfruttati per produrre energia elettrica e calore, contribuendo in questo modo a rendere il Paese meno dipendente dalle fonti fossili e aiutando la sostenibilità economica delle aziende agricole.

 

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Quale valorizzazione energetica per gli scarti di potatura?

1 ettaro di oliveto può produrre 6-10 tonnellate di sostanza secca all'anno a seconda della tipologia di cultivar, del sesto d'impianto e di altri fattori, come ad esempio la gestione agronomica. Fino ad oggi questo materiale veniva considerato uno scarto da smaltire, oggi invece si guarda con occhi nuovi, come una ricchezza da sfruttare. Ma in quale modo?

 

"La biomassa legnosa può essere sfruttata in diverse maniere per la produzione di calore o anche di energia elettrica", spiega Alessandro Suardi, ricercatore del Crea.

 

"Ad esempio si può bruciare in una caldaia a biomassa, per produrre calore. Il calore può anche essere prodotto dopo che il materiale è stato trinciato, o prima imballato e successivamente trinciato. I residui di potatura possono anche essere densificati in pellet o bricchetti al fine di migliorare l'efficienza energetica durante la combustione, che normalmente avviene in specifiche caldaie a pellet. I residui possono essere trasformati a seguito di processi termochimici più complessi della classica combustione, come la pirolizzazione e la gassificazione, al fine di produrre combustibili gassosi (syngas) e liquidi (olio di pirolisi) per generare energia elettrica e calore. Il sottoprodotto di questi processi è il biochar, e cioè carbone vegetale, che può essere utilizzato come ammendante nei campi".

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Di seguito vedremo due casi concreti di sfruttamento energetico dei residui di potatura dell'olivo, uno in Puglia e l'altro in Toscana. È bene però ricordare che la biomassa legnosa deve subìre alcune trasformazioni prima di poter essere sfruttata.

 

Un momento della trinciatura dei residui di potatura di olivo

Un momento della trinciatura dei residui di potatura di olivo

(Fonte foto: Alessandro Suardi, ricercatore del Crea)

 

Da residuo di potatura a combustibile

Per aumentare l'efficienza energetica occorre fare essiccare il legno prima di bruciarlo. In Puglia questo di solito viene fatto lasciando le ramaglie circa un mese al suolo dopo la potatura, in modo che il sole e l'aria riducano l'umidità. "L'ideale sarebbe arrivare ad una percentuale inferiore al 20%, ma per alcune tipologie di utilizzo, come la pellettizzazione, occorre scendere fino al 10%", sottolinea Suardi.

 

Successivamente si procede con la cippatura, grazie a delle macchine che sminuzzano la fibra in pezzi di piccole dimensioni che permettono facile movimentazione e stoccaggio. "Sul mercato oggi esiste un gran numero di attrezzature differenti volte a compiere quest'operazione. La scelta si deve basare essenzialmente sulla quantità di materiale che deve essere lavorato, sull'alimentazione della macchina (tramite Pto o motore dedicato) e sulle dimensioni del cippato che, essenzialmente, dipendono dall'uso che se ne vuole fare", specifica Alessandro Suardi.

 

In Toscana invece, a causa del clima più umido, il legno viene raccolto e immagazzinato per un periodo variabile a seconda delle necessità dell'impianto di trasformazione. Solo successivamente viene cippato, per evitare che il contenuto troppo elevato in acqua avvii fermentazioni e fenomeni di marcescenza con conseguenti perdite di sostanza secca.

 

Il biochar può essere utilizzato come ammendante del suolo

Il biochar può essere utilizzato come ammendante del suolo

(Fonte foto: Silvia Baronti, ricercatrice del Cnr-Ibe)

 

Il cippato può essere utilizzato per alimentare una caldaia a biomassa, oppure un impianto di gassificazione o pirolisi. Esistono però in commercio anche dei pellettizzatori montati su camion che, partendo dal cippato, producono il cosiddetto agripellet direttamente a bordo campo. Questo combustibile può poi essere utilizzato in azienda per alimentare stufe a pellet per il riscaldamento dei locali.

 

"La tecnologia ha fatto enormi passi avanti negli ultimi anni e oggi sono disponibili attrezzature in grado di valorizzare, anche su piccola scala, le biomasse legnose di scarto. Nei Paesi del Nord Europa questa pratica è assai comune, mentre in Italia sta lentamente prendendo piede", sottolinea Suardi.

 

"Aziende agricole di medie dimensioni possono dotarsi di proprie attrezzature, anche se i maggiori livelli di efficienza si raggiungono quando si ha una gestione energetica delle biomasse legnose a livello di comprensorio. Si tratta tuttavia di un approccio più complesso da realizzare, in quanto prevede di coordinare la logistica e gli interessi di più soggetti, richiedendo inoltre investimenti economici importanti".

 

Calimera, il paese della Puglia ad impatto zero

Il primo caso che riportiamo è quello del piccolo paese di Calimera, un centro abitato nel cuore del Salento dove l'olivicoltura è da sempre uno dei pilastri dell'economia del territorio. Qui nel 2010 l'imprenditore Marcello Piccinni ha deciso di sfruttare una risorsa sottovalutata, i residui di potatura dell'olivo. L'idea è nata dopo aver visto come nei Paesi del Nord Europa vengono gestite le foreste di abeti, una vera ricchezza a disposizione degli agricoltori.

 

Piccinni ha voluto introdurre il concetto di foresta anche all'olivicoltura e per questo ha realizzato un impianto energetico a biomasse alle porte del paese, al fine di produrre calore ed energia elettrica grazie ai residui di potatura degli olivi della zona.

 

Con un investimento di 8 milioni di euro, nel 2010 è nata Fiusis, un'Azienda che sfrutta i residui di potatura dell'olivo per alimentare un impianto di cogenerazione da 1 MW, utile a produrre energia per circa 2.500 famiglie all'anno. Elemento cruciale per il successo di questo progetto imprenditoriale è stata la filiera di approvvigionamento del legno. Marcello Piccinni ha individuato un'area di 10 chilometri quadrati intorno a Calimera dove sono presenti circa 160mila olivi. Qui gli agricoltori effettuano una potatura triennale che produce circa 10 tonnellate di biomassa legnosa ad ettaro.

 

L'impianto di stoccaggio del cippato presso Fiusis

L'impianto di stoccaggio del cippato presso Fiusis

(Fonte foto: Alessandro Suardi, ricercatore del Crea)

 

Inizialmente Fiusis aveva affidato la raccolta della biomassa ad un contoterzista, successivamente invece si è optato per la costituzione di una società ad hoc per il ritiro delle ramaglie, che vengono cippate direttamente in campo circa un mese dopo la potatura, in modo da agevolare la perdita di foglie e di ridurre l'umidità contenuta nel legno.

 

Il cippato viene poi lasciato in cumuli a bordo campo e ritirato a seconda della necessità dell'impianto di cogenerazione. Nel piazzale di Fiusis è infatti presente solo un piccolo deposito che serve come "polmone" per alimentare l'impianto in maniera continua.

 

"L'elemento di successo di Fiusis sta proprio nell'aver realizzato una filiera efficiente del legno che coinvolge oltre 1.200 agricoltori della zona, che conferiscono i residui di potatura gratuitamente e in cambio ne ottengono lo smaltimento in maniera sostenibile", sottolinea Alessandro Suardi.

 

"Impianti di queste dimensioni hanno infatti bisogno di lavorare a ciclo continuo e per questo motivo l'approvvigionamento di biomassa è cruciale. Ultimamente poi sono state fatte delle migliorìe che permetteranno di sfruttare il calore residuo dell'impianto di cogenerazione per l'essiccazione del materiale legnoso volto alla produzione di pellet".

 

Il caso del Grevepesa, quando l'energia è cooperativa

Un'altra esperienza interessante è quella rappresentata da Castelli del Grevepesa, una Cooperativa con sede a San Casciano Val di Pesa (Fi) che raccoglie 185 aziende associate nel territorio del Chianti. Si tratta di una Cooperativa specializzata nella produzione di olio di oliva, ma anche di vino e di altri prodotti agricoli.

 

Proprio nel 2023 è iniziata una sperimentazione, ancora agli inizi, per valorizzare gli scarti di potatura dell'olivo e della vite. È stato quindi installato un impianto di gassificazione in grado di sprigionare 20 KW di energia elettrica e 40 KW di energia termica. La prima viene utilizzata per alimentare il frantoio e le altre attrezzature presenti in azienda, mentre il calore viene usato per essiccare la biomassa legnosa.

 

"Grazie al gassificatore avremmo potuto anche riscaldare gli ambienti, ma abbiamo già una caldaia a biomassa alimentata a nocciolino che funziona molto bene", spiega Filippo Legnaioli, presidente del Frantoio del Grevepesa.

 

I residui di potatura di vigneto e oliveto vengono raccolti in rotoballe

I residui di potatura di vigneto e oliveto vengono raccolti in rotoballe

(Fonte foto: Filippo Legnaioli, presidente del Frantoio del Grevepesa)

 

La filiera toscana si basa sul recupero in campo dei residui di potatura di olivi e viti, che vengono raccolti e compressi in piccole rotoballe, portate poi in azienda e stoccate. "Il clima umido dell'inverno toscano non rende possibile lasciare questo materiale in campo. Stiamo invece realizzando un essiccatoio che funziona con il calore sprigionato dall'impianto dove lavorare le rotoballe", sottolinea Legnaioli.

 

Il legno essiccato viene poi cippato presso l'impianto appena costruito e trasformato in pellet, una forma di combustibile molto efficiente e facile da stoccare. Il pellet viene poi bruciato in un gassificatore che produce gas, calore e, come sottoprodotto, il biochar.

 

"La gassificazione è una tipologia di combustione che avviene ad alte temperature e in assenza di ossigeno", spiega Silvia Baronti, ricercatrice del Cnr-Ibe che sta seguendo il progetto del Grevepesa. "La combustione avviene a 800-1.200 gradi e a questa temperatura viene rilasciato il cosiddetto syngas, che viene poi sfruttato per alimentare un motore per la produzione di energia elettrica. Mentre il sottoprodotto della gassificazione è il biochar, o carbone vegetale, un ammendante utilizzabile in agricoltura".

 

L'impianto della Cooperativa è di piccole dimensioni e consuma circa 5 quintali di biomassa secca al giorno (circa 20 chilogrammi all'ora). Il fattore frenante al dimensionamento dell'impianto è rappresentato dall'approvvigionamento della biomassa legnosa. Più ci si deve spostare dall'impianto per raccogliere le potature, minore è la convenienza economica e ambientale della filiera. "Abbiamo stimato che il raggio dall'impianto non deve essere superiore a 10 chilometri. Al di fuori raccogliere la legna diventa diseconomico", sottolinea Filippo Legnaioli.

 

Una rotoballa composta da residui di potatura dell'olivo

Una rotoballa composta da residui di potatura dell'olivo

(Fonte foto: Filippo Legnaioli, presidente del Frantoio del Grevepesa)

 

La cosa interessante nel progetto del Grevepesa è la possibilità di utilizzare il biochar, e cioè il carbone vegetale, come ammendante per uso agricolo. "Questo elemento, se incorporato nel terreno, ha la capacità di assorbire l'acqua, come fosse una spugna, e quindi può contribuire a mitigare l'impatto della carenza di piogge", sottolinea Silvia Baronti. "Inoltre, grazie alla sua granulometria, contribuisce a migliorare la ventilazione nei terreni asfittici. Infine acidifica i suoli basici".

 

Ma l'aspetto più interessante è il fatto che il biochar, contenendo all'80% carbonio stabile (che non degrada nel terreno per oltre cento anni), permette di contribuire al sequestro di anidride carbonica dall'atmosfera.

 

Le piante, infatti, quando crescono utilizzano l'anidride carbonica come elemento cardine della propria biologia. La trasformazione della biomassa legnosa in carbone vegetale permette di mineralizzare questo elemento, impedendo che con la marcescenza ritorni in atmosfera. "Si tratta di un contributo importante alla sostenibilità dell'agricoltura, che si inserisce in un contesto molto più ampio, quello del carbon farming, su cui l'Europa sta molto puntando", conclude Silvia Baronti.