Buono, pulito e giusto. È molto più che uno slogan. Dal cibo al vino, è la filosofia slow, che ha conquistato il mondo per opera di Carlo Petrini, l'aedo che dagli Anni Ottanta ha messo al centro dello sviluppo agricolo la biodiversità, l'equilibrio, il mondo contadino. Tanto amato quanto a volte scansato, Petrini ha conquistato persino Papa Francesco, col quale ha condiviso idee, siglando l'introduzione all'Enciclica Laudato Si' e trasportando nel volume "TerraFutura" i dialoghi che Petrini ha avuto con Papa Bergoglio.

 

Nei giorni scorsi si è conclusa a Bologna Slow Wine, rassegna dedicata al mondo del vino appunto "Buono, pulito e giusto", un modello che sempre più sta intercettando un modo di vivere e di consumare più attento e sostenibile, a tutte le latitudini.

 

È il caso, abbastanza curioso, dei maialini assoldati per mantenere pulita l'interfila sotto i vigneti. Una variante alle pecore e all'utilizzo del cavallo per le lavorazioni soffici.
Non vuole essere un elogio del passato, un ritorno al mondo rurale manuale dove la fatica si mescolava alla scarsa speranza di uscire da una spirale di povertà. Oggi vi sono tutti i segnali per poter coniugare la sostenibilità, anche ambientale, in chiave moderna.

 

Una prima riposta deve essere data all'impiego dei mezzi tecnici. Scegliere di abolirli non deve essere un obbligo, ma una libera scelta. Ben vengano i principi del biologico, del biodinamico, dell'agroecologia, rappresentano scelte aziendali e modelli imprenditoriali che devono poter trovare sbocchi di mercato.

Allo stesso tempo, bisogna fare in modo che chi decide di rimanere nell'alveo della chimica, diventi sempre più verde, con nuove molecole, quantità monitorate, soluzioni di recupero dei cosiddetti "sprechi".

 

E come è possibile fare tutto questo, se non attraverso l'agricoltura di precisione e le tecnologie digitali?

 

La scienza, anche quella ultramoderna, avveniristica, può essere una soluzione a pratiche naturali e un connubio fra vino slow e precision farming va incoraggiato. Serve un cambio di passo verso la collaborazione, anche perché incontrerebbe senza ombra di dubbio il gradimento dei consumatori.

 

Buono, pulito e giusto, ma anche resistente. La crisi climatica in atto potrebbe portare uno sconvolgimento alla viticoltura, con vigneti allevati sempre più in alto, oltre i mille metri sul livello del mare. Bisognerà risolvere il nodo di gradazioni alcoliche sempre più elevate per fattori climatici, dalle temperature più elevate alla probabile minore disponibilità di acqua. Conservare la biodiversità e adattarla ai nuovi fenomeni climatici è una missione, ma dobbiamo essere allo stesso tempo preparati per un'evoluzione dei paesaggi, delle produzioni, persino del valore dei terreni (dove si coltivano vigneti e i vini sono di qualità, il prezzo aumenta).

 

E che dire se il "Buono, pulito e giusto" si spinge anche all'economia circolare, al riutilizzo e valorizzazione degli scarti, all'individuazione di nuove potenzialità dell'uva in contesti anche estranei rispetto a quelli tradizionali, come la cosmesi? Dovremmo essere contrari a una nuova frontiera dal punto di vista economico e ambientale? Per quale motivo?

 

Finito senza alcuna giustificazione plausibile sotto attacco dal punto di vista della salute da parte di chi maliziosamente confonde l'uso e l'abuso, nel 2023 sarà l'anno della revisione del sistema delle Indicazioni Geografiche dell'Unione, comprese quelle vitivinicole. Bisognerà fare quadrato per proteggere un patrimonio che è culturale, millenario, sostenerne l'esportazione sui mercati internazionali, difendere la qualità. Ci sono molti modi per farlo, dall'agroecologia alle Tecnologie di Evoluzione Assistita (Tea), dal biologico ad altre soluzioni.

 

Difendiamo il vino e il suo valore, che non è solo quello pecuniario.