Per provare a risalire la china, il settore maidicolo ha una via tracciata: investire in innovazione. "Oggi possiamo farlo, ci sono le condizioni per farlo", è la convinzione del professor Amedeo Reyneri del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari (Disafa) dell'Università degli Studi di Torino, una convinzione supportata dai numeri.

 

La necessità di investire per uscire dalla profonda crisi in cui versa il mais italiano è una delle conclusioni che hanno tratto gli esperti durante l'incontro "Redditività e sostenibilità, le nuove soluzioni per la maiscoltura italiana" che si è tenuto a Cremona, lo scorso 21 febbraio, organizzato da Syngenta Italia, Confagricoltura, Nomisma e Associazione Maiscoltori Italiani (Ami).

 

Il presupposto è che al mais non si può rinunciare dal momento che molte produzioni di qualità dell'agroalimentare italiano dipendono proprio dal cereale.

 

A Ersilia Di Tullio di Nomisma il compito di tracciare il quadro macroeconomico della coltura, mentre il professore Reyneri e Cesare Soldi, presidente dell'Associazione Maiscoltori Italiani, hanno provato a tirare le somme e a indicare la strada da percorrere per vedere la luce in fondo al tunnel. La buona notizia è che, con la lettura approfondita fornita dagli esperti, la strada sembra chiara e, forse, con l'annunciato nuovo Piano di settore, la serie di annate negative per i maidicoltori italiani potrebbe vedere le fine.

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I dati macroeconomici raccontano una coltura in crisi: sia a livello italiano che europeo il grado di autoapprovvigionamento è sceso. Italia ed Europa sono in gran parte dipendenti dalle importazioni. Per quanto riguarda l'Unione Europea nel 2022 si è toccato il 71% mentre per l'Italia il grado di autoapprovvigionamento è ormai ampiamente sotto il 50% e si aggira sul 40%.

 

Il 2022 ha visto il crollo delle produzioni sia per una resa inferiore alle aspettative sia per il calo delle superfici, soprattutto in Italia. In Ue il calo delle rese è stato del 29% mentre in Italia del 19%, a causa di una siccità veramente senza tregua ma anche dell'aumento dei costi degli input.

 

Purtroppo, secondo le proiezioni, l'effetto del cambiamento climatico non è destinato a scomparire. Una cartina dell'Italia con le previsioni per le rese dei prossimi anni mostrata da Ersilia Di Tullio non lascia spazio a speranze, soprattutto in Puglia e nella Pianura Padana la situazione si preannuncia critica.

Per quanto riguarda invece l'aumento del costo degli input, un po' di dati resi noti sempre da Nomisma, in ordine sparso: nel 2022 gli input globalmente hanno segnato un +22% rispetto alla campagna 2021. A pesare è stato soprattutto l'aumento dell'energia con un +87% a dicembre 2022 su dicembre 2021.

 

Da mettere sul piatto della bilancia ci sono anche i contributi Pac per il settore mais che, con la nuova programmazione scendono nettamente. Per effetto della convergenza interna, il contributo di base passa dai 380 euro a ettaro della vecchia programmazione, via via fino ai 180 euro a ettaro, nel 2027. I maidicoltori, esclusi dall'aiuto accoppiato, possono aumentare i contributi da Bruxelles aderendo all'Ecoschema 4 che vale 110 euro a ettaro ma che richiede impegni importanti aggiuntivi a quelli obbligatori della condizionalità. Nel 2023 impegni come le rotazioni e l'obbligo di lasciare a riposo i terreni che fanno parte della condizionalità sono sospesi, a causa del conflitto Russia-Ucraina, ma ciò non vale per chi voglia aderire all'Ecoschema 4.

 

Di fronte a questa situazione va considerato che il consumo di mais negli ultimi dieci anni, in Ue, è costantemente cresciuto. Oggi è di 80 milioni di tonnellate e mancano 13 milioni di tonnellate all'appello. A livello mondiale nel 2022 sono state prodotte 1,1 milioni di tonnellate, con un calo del 5% rispetto al 2021. La buona notizia è che i prezzi nel 2022 sono rimasti alti, sia sul mercato internazionale sia su quello italiano. Sul mercato internazionale hanno raggiunto punte di 350 dollari a tonnellata (a causa della crisi dell'import di cereali), sul mercato nazionale hanno addirittura superato quella cifra. A gennaio 2023 i prezzi erano ancora alti con un +9% rispetto a gennaio 2022 sul mercato internazionale e un +11% sui mercati nazionali.

 

Sembra poi che la tendenza si prolungherà ancora, di qui i calcoli e le indicazioni del professore Amedeo Reyneri. "Lo scenario nuovo - ha affermato - vede sostegni ridotti per la coltura e prezzi alti. Le previsioni dicono che fra dicembre 2023 e gennaio 2024 i prezzi dovrebbero assestarsi attorno ai 280-300 euro a tonnellata. I prezzi resteranno alti perché per quattro degli ultimi cinque anni la domanda di mais ha superato l'offerta e gli stock si sono quindi ridotti. Inoltre - ha aggiunto - la maggior parte degli stock mondiali è detenuta dalla Cina. C'è una vera carenza di granella nel medio lungo periodo".

 

Ed ecco che il prezzo alto, anche in prospettiva premierà chi lavora meglio. "Se l'aiuto si riduce, ma il prezzo resta alto, il reddito lordo al variare delle produzioni tende a crescere: in altre parole la redditività, più di qualche anno fa, cresce all'aumentare delle rese. C'è un ritorno proporzionale a quanto si è in grado di investire e produrre. Bisogna investire in fattori di produzione", ha detto lapidario il professore Reyneri.

 

Ma come si fa? Ecco le indicazioni a cui le aziende dovrebbero prestare attenzione. "Occorre aumentare il valore del prodotto" ha continuato il professore. "Siamo legati alle filiere, bisogna aderire a disciplinari di produzione, introdurre vincoli qualitativi e ambientali ulteriori anche perché sono le filiere che lo richiedono. Per abbassare i costi occorre superare l'azienda come unità autonoma, lavorare a reti d'impresa, potenziare la cooperazione ed estendere il ruolo delle aziende agromeccaniche, saranno fondamentali per l'agricoltura di precisione. A un'azienda media, attrezzarsi per l'agricoltura di precisione costa fra gli 80 e i 150mila euro. C'è bisogno dei contoterzisti. Bisogna comunque investire, i fondi ci sono. Ci sono i fondi per l'agricoltura 4.0 dal Pnrr. Fra le innovazioni non vanno dimenticati i biostimolanti. C'è poi un'altra parola chiave dei prossimi anni: carbon farming. Pensare che i comportamenti virtuosi per l'ambiente saranno completamente remunerati dalla Pac è un'illusione. Va venduto il carbonio stoccato e lo pagheranno le industrie che emettono troppo e hanno bisogno di compensare".

 

Per il professore Reyneri la direzione è tracciata e la sua ricetta non si discosta molto da quella di Cesare Soldi. "Se partiamo dalle certezze che abbiamo - ha detto - sappiamo che c'è incertezza geopolitica, che i pagamenti diretti Pac diminuiscono fino a dimezzarsi e che ci sono problemi di approvvigionamento idrico. Sappiamo anche che i mercati, come i costi, resteranno sostenuti. In una situazione come questa occorre puntare sulla produttività e sulla qualità intesa come sanità della granella. Bisogna concentrarsi sulle innovazioni disponibili e aderire ai contratti di filiera che fanno recuperare circa 100 euro a ettaro. Per la sanità della granella mi preme sottolineare l'efficacia del biocontrollo delle aflatossine, oggi solo 15mila ettari utilizzano il biocontrollo".

 

Fra le soluzioni innovative per il mais c'è anche la novità che Syngenta Italia ha presentato proprio durante l'evento di Cremona. Se i costi dei fertilizzanti restano alti può essere utile aumentare l'efficienza della concimazione, fra l'altro la strategia Farm to Fork dice che entro il 2030 l'uso dei fertilizzanti dovrà essere tagliato del 20%.

 

"Aumentare l'efficienza della concimazione è proprio ciò che fa l'Azotobacter salinestris" ha detto Dario Manuello, Cp Arables Marketing manager di Syngenta Italia. "L'AzotoBacter è un fertilizzante di origine naturale che permette di rispondere alle richieste di Bruxelles mantenendo la qualità e la produzione. Il prodotto viene assorbito per via fogliare o radicale e nulla va disperso. In 24-48 ore colonizza la pianta e sopperisce alle richieste d'azoto. Rende possibile ridurre le unità per ettaro di azoto da distribuire. Parliamo di trenta, trentacinque unità in meno per il frumento e di cinquanta, sessanta unità in meno per ettaro nel mais".