Con più di 8mila anni di storia sulle spalle, è difficile mandare in pensione l'aratro. E lo ha dimostrato proprio recentemente l'invasione di circa 300mila persone in tre giorni in Irlanda, per il campionato nazionale di aratura. Un totem apparentemente inscalfibile, e non ce la sentiamo di scomodare Freud in un mondo profondamente ancorato alle tradizioni.

 

Partiamo dalla cronaca e appunto dai 300mila visitatori e appassionati, molti provenienti anche dall'estero, che hanno assistito a prove di abilità e gare con trattrici e aratri tutt'altro che di ultima generazione. È una passione profonda, che non lascia l'aratro solitario come nella poesia di Pascoli, ma che unisce emozione, maestria, competizione, con tanto di numerosi parametri (una ventina, pare) chiamati a stabilire quali fra gli agricoltori alla guida sono stati i migliori aratori.

 

Parliamo di 300mila visitatori in una Nazione come l'Irlanda, che di abitanti ne ha più o meno 5 milioni. Numeri impressionanti e non paragonabili alle grandi manifestazioni fieristiche di successo o alle competizioni di natura agricola in Italia e forse in Europa.

 

Gloria all'aratro, dunque, un attrezzo che davvero ha impresso una svolta all'agricoltura stanziale e, di conseguenza, alla civiltà del mondo. Ma ora? Non era stata annunciata la parabola discendente dell'aratro? Non avrebbe dovuto essere pensionato, dopo millenni di gloriosa attività, per altre tecniche in campo, dalla semina su sodo alla minima lavorazione?

 

Ne abbiamo parlato con Antonio Boselli, allevatore di Pieve Fissiraga (Lodi) con 120 vacche da latte e due robot di mungitura, che ha preso parte alla rassegna in Irlanda nei giorni scorsi, seppure da spettatore. Dunque, aratro addio? Alt. Un attimo.

 

La posizione di Boselli è quella appunto di un allevatore e agricoltore della Pianura Padana, che però non ha mai smesso di osservare, confrontarsi, studiare, cercare soluzioni concrete e adatte alla propria situazione, nella migliore declinazione del termine "resilienza". Nessuna fretta di pensionare l'aratro, dunque, ma approcci su misura.

 

"Saremo molto condizionati da un discorso ambientale e dalle opportunità che l'agricoltura rigenerativa ci può offrire. Noi, in azienda, non lasciamo più il terreno nudo". E così, via alle cover crop, magari con sempre maggiore spazio alle colture leguminose, visto che c'è anche una questione di indisponibilità in Europa di colture proteoleaginose da risolvere. Le leguminose potrebbero essere una risposta efficace tanto in chiave ambientale (non è affatto da sottovalutare, un po' perché lo chiede la Pac con requisiti sempre più stringenti, un po' perché il consumatore è attento sul tema) quanto in prospettiva agronomica e per l'alimentazione delle bovine.
Il doppio raccolto, vuoi per l'esigenza di non lasciare la terra "nuda", vuoi per le nuove tendenze agronomiche e, in aggiunta, per la necessità di ottimizzare la redditività aziendale, diventerà sempre più una regola. Naturalmente dove possibile.

 

In tutto ciò, l'aratro non scomparirà. Ma resterà sullo sfondo. Addio alle arature profonde, al massimo si scende con solchi di una ventina di centimetri, non di più. E pensare che fino agli Anni Ottanta e Novanta ogni due o tre anni si faceva un'aratura andando giù di una settantina di centimetri, perché la terra doveva respirare. E parliamo sempre della Pianura Padana.

 

"Oggi l'attenzione ai cambiamenti climatici e all'ambiente sono aspetti tenuti in particolare considerazione anche in Irlanda - rivela Boselli, presidente in passato di Confagricoltura Milano-Lodi e di Confagricoltura Lombardia -, sebbene la regola per la zootecnia sia il pascolo, al quale è dedicato l'82% della Superficie Agricola Utile".
Nemmeno da loro l'atteggiamento nei confronti dell'aratro è confinato al folklore, ma si alternano approcci diversi, come in Italia. Ma con una sempre maggiore attenzione agli aspetti legati alla sostenibilità economica e ambientale.

 

Energia rinnovabile, interramento dei reflui zootecnici, pascoli in grado di drenare l'acqua e di produrre col più alto tenore proteico possibile (in Irlanda dedicano molte risorse a ricerca e sviluppo, in Italia meno), animali incrociati per incrementare - parliamo di latte - il tenore di grasso e proteine.

L'aratro? Dipende. Quello che è certo è che si divertono un mondo, gli irlandesi, a mostrare la propria abilità a un confronto nazionale che richiama 300mila persone in tre giorni. Chapeau.