"Rappresentiamo oltre il 60% del vino prodotto in Italia e oggi è la prima volta che le tre confederazioni Agci-Agrital, Confcooperative e Legacoop organizzano insieme l'assemblea del settore vinicolo". È Adriano Orsi, presidente del settore vitivinicolo di Fedagri-Confcooperative e di Cavit, ad aprire i lavori della riunione che vede coinvolti i rappresentanti di numerose cantine cooperative per approfondire il tema delle "Nuove opportunità produttive tra autorizzazioni e mercato. Il futuro del vino italiano".
Un'occasione per avanzare precise richieste che verranno presto formalizzate al ministero delle Politiche agricole.

Aumentare dell'1% la superficie vitata dell'Italia, sfruttando tutto il potenziale di crescita consentito dalla nuova normativa europea, così da incrementare il patrimonio viticolo nazionale, la cui superficie è di 640.000 ettari, di ulteriori 6.000 ettari l'anno, distribuiti sotto forma di autorizzazioni per nuovi impianti. "Il vigneto Italia perde circa 7.000 - 8.000 ettari all'anno", spiega Adriano Orsi. "Se vogliamo mantenere un settore vitivinicolo italiano competitivo, dobbiamo cercare di arrestare questo trend negativo ed assicurare alle nostre cantine cooperative una sufficiente quantità di uva da lavorare. Potendo sfruttare, almeno per il primo anno, l'1% di crescita massima, eviteremo di mettere a rischio la redditività delle imprese che sarebbero costrette a fare i conti con un inevitabile aumento dei costi di produzione".

Ruenza Santandrea, presidente del Settore vitivinicolo Legacoop Agroalimentare, ha sottolineato: "sembra sempre più certo che dal 1° gennaio 2016 i diritti di reimpianto ancora in portafoglio non potranno più essere scambiati, ma solo convertiti in autorizzazioni e solo dal proprietario stesso del diritto". Infatti l'Italia aveva chiesto la possibilità di trasferire i diritti di reimpianto ancora "in portafoglio" fino al 31 dicembre 2020, per evitare la perdita di un potenziale di produzione pari a 50.000 ettari, corrispondenti ai diritti di reimpianto "in portafoglio" non ancora esercitati dai produttori. Una richiesta che l'Europa non è disposta ad accogliere. 

"L'export via maestra, ma non è l'eldorado"

Meglio volgere lo sguardo ai trend dell'internazionalizzazione. Continua la Santandrea: "Ci sono mercati esteri molto difficili dove le piccole aziende non possono certo arrivare e anche per quelle strutturate il successo nei paesi lontani non è mai scontato. Molti mercati sono per certi versi saturi ed altri, una volta aperti, spesso si bloccano. Quest'anno le esportazioni di vino in Russia e Ucraina, anche se non direttamente colpite dalle restrizioni dell'embargo, hanno risentito della situazione politica e si sono ridotte. In Cina le importazioni sono calate pesantemente nell'ultimo anno, a risentirne soprattutto la Francia,  a seguito di scelte a favore dei vini locali imposte dal governo. Inoltre gli accordi di libero scambio con paesi come il Cile danneggiano la competitività dei nostri vini. In un altro paese potenzialmente interessante, come la Thailandia, vengono imposte accise sul vino quattro volte superiori a quelle dell'alcool".
"Nonostante tutte le insidie legate alle esportazioni del vino italiano" ha aggiunto Orsi "la cooperazione vitivinicola avanzata ha spinto con forza negli ultimi anni sul fronte dell'export. Oggi le nostre principali cooperative hanno raggiunto una quota di export sul fatturato che arriva in alcuni casi anche al 70% e oltre. Secondo gli ultimi dati, le cooperative che hanno un fatturato superiore ai 40 milioni hanno una quota di fatturato estero sul totale pari al 48%".

Quali sono i paesi che importano più vino?

La classifica, sulla base dei dati Winemonitor-Nomisma, è guidata dagli Stati Uniti, con quasi 4 miliardi di euro di importazioni nel 2013, seguita dal Regno Unito (3,7), Germania (2,3), Canada (1,5), Cina (1,1) e Giappone (1,1).


Ma se si guarda alla percentuale del vino importato rispetto a quella prodotta, si scopre che gli Usa, primo importatore, hanno una produzione nazionale pari al 70% ed importano solo il restante 30%. Stesso discorso per la Cina, che pur avendo avuto una crescita esponenziale di importazioni, passando dai 30 milioni del 2003 ai 1.171 del 2013 (+ 3.800), ha una quota nazionale di vino dell'80%.


Regno Unito e Giappone invece hanno una quota di importazione pari quasi al 100%; tuttavia, come ha spiegato Denis Pantini di Nomisma nella sua relazione, "si tratta di paesi con un tasso di cambio tutt'altro che favorevole. In Cina le esportazioni di vino italiano sono non a caso calate, con una quota italiana sul totale di vino importato che è passata nell'ultimo decennio dal 14% a 7%".

Video interviste

L'Alleanza delle Cooperative Agroalimentari associa 510 cooperative vitivinicole (165.000 soci produttori e 8.000 le persone occupate), che producono il 52% della produzione vitivinicola italiana per un fatturato che supera i 4,1 miliardi di fatturato complessivo. Tra le prime 20 aziende di vino italiane nella classifica pubblicata ogni anno dal Rapporto Mediobanca, ci sono otto società cooperative: Gruppo Cantine Riunite-Gruppo Italiano Vini e Caviro (rispettivamente al primo e al secondo posto), Mezzacorona (5), Cavit (8), Gruppo Cevico (11), Cantina di Soave (12), La Vis (17) e Collis Veneto Wine Group (20).
Nell'ambito dell'assemblea, abbiamo incontrato tre rappresentanti dell'Alleanza e abbiamo chiesto loro un commento sui temi dell'export, delle produzioni e di Expo 2015.
 

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